Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

Politica. Il presidente dei 5S: «Lasciargli spazio è un grande harakiri». Il leader di Iv: «Noi con Kamala». La segretaria dem: «Le alleanze non si fanno da nome a nome ma da tema a tema»

Giuseppe Conte, nel video alle spalle Matteo Renzi foto LaPresse Giuseppe Conte, nel video alle spalle Matteo Renzi - foto LaPresse

In un sabato sonnolento di fine estate Matteo Renzi ha trovato il modo per dominare comunque il dibattito politico. Stavolta l’iniziativa non è sua ma, da consumato comunicatore, l’ex presidente del Consiglio ha saputo sfruttare il momento. È stato il leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, a chiamarlo in causa. Commentando con l’Ansa l’intervento del dem Goffredo Bettini sul Foglio, l’avvocato ha tuonato contro l’eventualità di un ingresso di Italia Viva nel campo largo: «lasciargli spazio è un grande harakiri». Conte si dice «convinto che resuscitare Renzi, premiandolo dopo la disfatta elettorale europea e i suoi ripetuti fallimenti, sia una scelta con un costo pesantissimo per la serietà e credibilità del progetto di alternativa a Meloni».

SECONDO IL PRESIDENTE pentastellato la mossa risulterebbe «incomprensibile per gli elettori, visto che Iv in questa legislatura ha votato sistematicamente con il centrodestra e governa con le destre in molte amministrazioni territoriali». Il solo pensiero di trovare accordi elettorale con i renziani è «inaccettabile» così come «lasciare questo spazio a Renzi e incoronarlo platealmente come credibile rappresentante di un polo moderato».

IL SOTTOTESTO È CHIARO: il messaggio è per Elly Schlein anche perché in realtà nel suo intervento Bettini non chiude le porte a Iv. Del resto non potrebbe dato che ha sempre spinto il campo largo e visto che è stato proprio il suo compagno di corrente. Matteo Ricci, a invitare Renzi alla Festa dell’Unità di Pesaro, neanche una settimana fa. Da quel palco, dopo un mese di ammiccamenti verso il Pd, il segretario Iv aveva dettato le sue condizioni: «con il M5S non ci sto».

BETTINI NON RISPARMIA critiche a Renzi: «stravagante dargli le chiavi dell’allargamento del centrosinistra, ha esaurito un ciclo» ma ritiene «giusto far cadere i veti». Anche se, ragiona l’esponente Pd, «il quadro da inopportuno si sta trasformando in un letale errore politico: quello che potrebbe essere possibile per il Pd (non credo), non è digeribile dal resto della sinistra e dal M5S». E questo Conte lo conferma. Non a caso nelle dichiarazioni di ieri ha lamentato il modo con cui si sta costruendo l’apertura ai renziani, come sempre attraverso i giornali e non nelle piazze che sembrano freddissime all’ipotesi di un ritorno di chi, fino alle elezioni europee, cercava sponde con la destra. «Il metodo e il merito con cui tutto ciò viene assecondato dai vertici del Pd – dice Conte – sta aprendo una grave ferita con il M5S».

E RIGUARDO ALLA SUA simpatia per Donald Trump, che ha causato distinguo anche nel M5S, avvisa: «Se qualcuno pensa che Renzi possa facilitare un dialogo diretto con il Partito democratico statunitense e con il governo israeliano allora occorre un forte chiarimento sulla politica estera: per noi i governi italiani non si decidono a Washington». Chiamato in ballo, il senatore di Rignano ha risposto subito. «L’attenzione di Conte alle questioni di politica estera è meritevole di un approfondimento serio – ha scritto Renzi sui social- Per la nostra idea di centrosinistra il rapporto con gli americani non è in discussione: non facciamo scegliere i governi a Washington e non lasciamo che sia Mosca a decidere». «Quanto alla politica americana: stiamo dalla parte di Kamala», ha continuato, tacendo però sulle questioni interne. A partire dall’appoggio alla giunta del sindaco Bucci a Genova.

IN SERATA LA SEGRETARIA del Pd, ospite su La7, cerca di chiudere la questione. «È un dibattito un po’ surreale – dice Schlein – le alleanze non si fanno da nome a nome, ma da tema a tema». «Ci sono delle differenze altrimenti saremmo tutti nello stesso partito – aggiunge – a volte si riesce a tenere insieme tutte le forze di opposizione alternative a questa destra, a volte no»

 

Commenta (0 Commenti)

Facciamo finta che tutto va bene. Dopo un’estate di litigi, il vertice di maggioranza si chiude con un comunicato che glissa su Ius Scholae, nomine Rai, balneari e autonomia. Parole vaghe anche sulla manovra senza coperture. Ma una «svista» rivela le distanze sull’Ucraina

Politica. «Totale sintonia su tutti i dossier», dice un comunicato preparato prima dell’incontro. Ma una «svista» rivela le distanze sull’Ucraina

Antonio Tajani e Giorgia Meloni foto Ansa Antonio Tajani e Giorgia Meloni - foto Ansa

Il comunicato conclusivo di un vertice di maggioranza tanto atteso quanto lungo, tre ore buone con i tre leader più Maurizio Lupi intorno al tavolo, è di quelli che si potrebbero scrivere alla vigilia e poi diffondere senza cambiare niente. Il summit non era convocato per chiarire e dipanare ma per chiudere, almeno ufficialmente, la guerriglia estiva. Questo e solo questo voleva la premier e questo è stato. Ecco dunque le varie e troppo ripetute attestazioni di granitica unità, indefessa determinazione nell’arrivare a fine legislatura portando a termine riforme e programma, addirittura «totale sintonia su tutti i dossier a partire dalla politica estera». Su un solo punto la premier, nella prolusione introduttiva, è tassativa: «Basta insistere con richieste impossibile in manovra come quota 41 o le pensioni minime a mille euro. Così si illudono i cittadini». E l’inevitabile delusione diventa un boomerang.

È Meloni stessa a dettare i tre punti credibili in una legge di bilancio «seria ed equilibrata»: «Taglio delle tasse, sostegno a giovani, natalità e famiglie, interventi per le imprese che assumono». Di pensioni non si parla.

Tajani, che prima del vertice aveva riunito lo stato maggiore azzurro, arriva combattivo. Non su qualche singola questione ma in generale. Rivendica il suo ruolo centrale nella trattativa sin qui vincente sulle deleghe per il commissario Fitto, la cui indicazione il Consiglio dei ministri ufficializzerà subito dopo il vertice. Reclama quella postazione centrale che il compagno di eurogruppo Weber, presidente del Ppe, già gli riconosce parlando senza mezzi termini di «governo Meloni-Tajani». Nel merito però il leader azzurro non si sottrae all’imperativo della premier: dal vertice bisogna uscire sbandierando una ritrovata unità. Anche a costo di una inaudita reticenza, di una conclusione che fa leva solo sulla vaghezza e più spesso sul rinvio.

L’INCIDENTE si verifica proprio sul punto su cui è d’obbligo glissare per quanto possibile, la

Commenta (0 Commenti)

Si vota oggi in due Land orientali della Germania, Turingia e Sassonia. Ma non è solo un test locale: i sondaggi prevedono l’exploit della destra neofascista di Afd, il candidato di punta è un antisemita conclamato. Socialisti e sinistra in crisi ed è il primo atto della corsa elettorale

Vento dell'est. Il voto di oggi in Sassonia e Turingia è destinato a innescare un terremoto in tutto il Paese, che andrà alle urne tra un anno. Il muro dei partiti tradizionali contro i deliri negazionisti di Höcke & co.

I sostenitori del partito di estrema destra AfD durante il discorso di Bjorn Höcke a Erfurt foto Ansa I sostenitori del partito di estrema destra AfD durante il discorso di Bjorn Höcke a Erfurt - Ansa

«Mi pesa il cuore pensando al risultato di questa sera». La confessione di Saskia Esken, segretaria della Spd, poche ore prima dell’apertura dei seggi, riflette in pieno l’importanza della posta politica in gioco oggi. Sulla carta il valore delle urne in Sassonia e Turingia è appena l’equivalente del rinnovo di due giunte regionali italiane nell’area più depressa del Paese, anche se i Land tedeschi sono veri e propri Stati semi-autonomi.

In realtà il doppio voto nella ex Ddr è destinato a innescare un terremoto politico in tutta la Germania al di là del mero esito del conteggio delle schede: sarà l’anticipazione dell’identico bubbone nero e rossobruno pronto a scoppiare alle elezioni in Brandeburgo tra 23 giorni ma anche il trend politico destinato a condizionare il voto per il rinnovo del Bundestag fissato per il 26 settembre 2025.

Ma queste urne rappresentano un vero e proprio incubo per la comunità ebraica non solo tedesca: Bjorn Höcke, spitzenkandidat di Alternative für Deutschland (Afd) in Turingia, capo della corrente di ultra-destra del partito, è un antisemita conclamato già condannato dal tribunale per aver usato slogan del Terzo Reich a chiusura di un suo comizio a Erfurt. I primi a preoccuparsi sono i responsabili del Memoriale di Buchenwald per niente convinti che quelle dell’aspitante-governatore di Afd siano solo innocue sparate elettorali. Specialmente se Hoecke non può davvero sostenere di non sapere ciò che dice: oltre che deputato al Landtag di Erfurt il negazionista della Shoah è anche un insegnante di Storia, seppure in aspettativa.

Sassonia
Secondo i sondaggi la partita per la conquista del parlamento di Dresda si riduce alla sfida a due fra il governatore uscente della Cdu, Michael Kretschmer, 49 anni, astro crescente nella galassia democristiana, e il “moderato” di Afd, Jörg Urban, ingegnere sessantenne con un passato nella riforestazione del Madagascar con Green League, transitato dal partito dei Piraten ai fascio-populisti che secondo lui «non sono di estrema destra». Del resto si ritiene «un ambientalista».

All’ultima rilevazione risultavano testa a testa con la Cdu a quota 33% e Afd al 31%, seguiti dal vuoto pneumatico degli altri partiti a eccezione della marcia trionfale di Sahra Wagenknecht. La sua Alleanza (Bsw) gode del 12% del consenso, un record considerando la data di nascita del suo partito, l’8 gennaio 2024, in seguito alla scissione della Linke. In proporzione la crescita del Bsw è stata quattro volte più veloce della pur rapidissima ascesa di Afd.

Qui il peso sul cuore di Saskia Esken si deve essenzialmente al 7% alla Spd, passata da partito di massa a forza politica di nicchia, mentre il Sole dei Verdi rappresentato dalla capolista, Katja Meier, ministra aggiunta della Giustizia del Land dal 2019, con un passato da punk, acerrima nemica di Afd nella aule giudiziarie, piange incollato al palo 6%: un soffio sopra alla soglia di sbarramento per l’accesso al parlamento.

La Linke ci prova candidando simbolicamente i due co-leader locali del partito, l’infermiera Susanne Schaper e il consulente Stefan Hartmann, ma parte dal 3% nei

Commenta (0 Commenti)

Governo e dintorni. Lite sulla rimodulazione dell'Assegno Unico

Manovra senza programma. A pagare sono le famiglie Il ministro Giorgetti - La Presse

«Una manovra a toppe più che a tappe». La frase di Maria Cecilia Guerra, responsabile Lavoro nella segreteria nazionale Pd, riassume bene la linea politica dietro la terza legge di bilancio del governo Meloni: inesistente.

NON SI TRATTA DEL SOLITO esercizio annuale: questa volta il Nadef, il documento che ogni anno serviva ad aggiornare le stime macroeconomiche di primavera è stato assorbito dal Piano strutturale di bilancio che ridefinisce il percorso di riduzione del deficit in un orizzonte almeno settennale e va consegnato a Bruxelles entro il 20 settembre. Nelle bozze circolate in questi giorni la programmazione non si vede: «Le risposte dovrebbero avere un’ottica di medio periodo ma mi sembra che il governo non si faccia neanche le domande: ci sono da affrontare transizione tecnologica, crisi industriali, inflazione ma non c’è nessuna misura strutturale, solo spot con qualche piccola decontribuzione qui e lì», dice ancora Guerra.

NON SOLO NON CI SONO soldi per le promesse elettorali dei partiti che compongono la maggioranza, non ci sono neanche per rifinanziare le misure del 2024. Servono almeno 20 miliardi e il vecchio metodo delle privatizzazioni degli asset statali non può bastare, e non risolverebbe molto. Solo la conferma del taglio del cuneo fiscale per 14 milioni di lavoratori costa 11 miliardi, l’accorpamento delle prime due aliquote Irpef per il ceto medio, 4. Il vertice di oggi tra Meloni e i suoi vice premier, Salvini e Tajani con Maurizio Lupi di Noi Moderati (a cui seguirà il Consiglio dei Ministri) dovrebbe servire a definire le priorità, ammesso che siano le stesse per tutti. Le scelte fatte quest’anno dall’esecutivo hanno già spolpato le risorse: è stato tagliato il Fondo Sociale di Coesione, quello sulle opere indifferibili, e quello per le infrastrutture, il Piano nazionale complementare al Pnrr e il progetto Strade Sicure. Che si aggiungono alle sforbiciate su Salute, Università e Ricerca, ricostruzioni post terremoto. Quasi impossibile trovare altre voci di spesa da ridurre. E anche il desiderato allentamento degli obblighi europei a causa delle difficoltà di Francia e Germania potrebbe non servire: la coperta è tanto corta che rischia di rimanere scoperta anche la parte su cui più si gioca la propaganda di governo, la famiglia.

La redazione consiglia:

Lega e Forza Italia litigano sulle pensioni ma i fondi non ci sono

LO DIMOSTRA BENE il nervosismo con cui ieri la destra si è difesa dall’accusa di voler risparmiare sull’Assegno unico e universale per i figli a carico, varato dal governo Draghi che oggi interessa oltre 6 milioni di famiglie per un totale di circa 9, 5 milioni. Un fatto «gravissimo» secondo la segretaria del Pd, Elly Schlein. Dopo una giornata di dichiarazioni tutte uguali da parte degli esponenti dei partiti della maggioranza, «è un fake», è intervenuta la presidente del Consiglio postando sui social un video con il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti: «Non aboliremo l’assegno unico – dice Meloni – Diffidate dalle fantasiose ricostruzioni su una manovra ancora da scrivere». Con la consueta narrativa delle destre che tiene insieme “Europa cattiva” e “migranti approfittatori”: «La Commissione europei ci dice che dovremmo darlo anche a tutti i lavoratori immigrati che esistono in Italia, che vorrebbe dire di fatto uccidere l’assegno unico», si giustifica la premier. Ma fonti di maggioranza non negano che un intervento sull’assegno è necessario visto che ha causato una procedura di infrazione Ue per discriminazione per il fatto che possono beneficiarne solo persone che risiedono in Italia da almeno due anni se risiedono nella stessa abitazione dei loro figli.

«STRAVOLGERE È COME cancellare – spiega Maria Cecilia Guerra – Quella è una misura strutturale che è stata pensata come una risposta razionale per tutte coppie con figli, comprese le famiglie mono genitoriali e i lavoratori autonomi. Il governo vuole intervenire proprio sulla parte universale e usare quei soldi per rifinanziare misure molto parcellizzate e con scarsi effetti, come la decontribuzione per madri di due o tre figli che lavorano con tempo indeterminato, o addirittura i benefit che non sono una risposta ai problemi economici delle famiglie con figli perché sono elargizioni unilaterali del datore di lavoro con soldi pubblici».

L’OSSESSIONE della premier per le “madri cristiane” si rivela nel paradosso che quel poco che si farà nella Legge di Bilancio sarà a favore delle mamme ma non delle famiglie. Come se le donne che hanno partorito vivessero in un paese parallelo immune dall’inflazione, dai tagli alla sanità e al welfare. «Poi però alle loro famiglie viene tolto appunto l’assegno ai figli o non riescono a curarsi, agli anziani viene tagliata la pensione ma che ragionamento è? – si chiede Guerra – Bisogna avere una visione d’insieme, dei progetti, invece se trovano un po’ di gettito in più pensano di spenderlo in una riduzione dell’Irpef che crea degli strappi da un’altra parte da correggere senza nessuna logica». L’opposizione ha chiesto a Giorgetti di riferire in Aula. «Il Governo è nel pallone è necessario che il Ministro dell’Economia venga a dire al Parlamento e al Paese la verità sui conti»

Commenta (0 Commenti)

A piccole dosi. Allerta sanitaria nella Striscia: Israele e Hamas accettano un accordo che permetterà per 7 giorni di vaccinare i bambini gazawi

Paura polio, scatta la minitregua umanitaria L’esercito israeliano al campo di Nur Shams foto di M.Mohammed/Ap

La paura di un’epidemia di poliomielite a Gaza è più forte della puzza dei 40mila cadaveri lasciati a terra da 11 mesi di invasione israeliana nella Striscia. O forse si è trattato solo delle pressioni degli Stati Uniti che si sono trincerati in un silenzio assordante dopo gli assalti delle forze israeliane in Cisgiordania degli ultimi due giorni. Ma la questione avanzata da molti media arabi pende sui buoni propositi occidentali come una mannaia: a cosa serve parlare di pausa umanitaria circoscritta se poi quegli stessi bambini vaccinati rischiano di morire un istante dopo sotto le bombe delle forze armate israeliane?

Nel corso del vertice diplomatico di Doha per un cessate il fuoco che si è rivelato, ancora una volta, fallimentare, si è diffusa la notizia che: «l’Onu si sta preparando a vaccinare circa 640mila bambini sotto i 10 anni a Gaza , dopo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che un bambino di 10 mesi è stato paralizzato dal poliovirus di tipo 2, il primo caso del genere nel territorio in 25 anni». Si dovrebbe trattare di 7 giorni di tregua parziale, circoscritta alle aree dove l’Oms porterà le dosi di vaccino da somministrare ai bambini gazawi. Intorno, la guerra che «ormai non ha lasciato nessuna area sicura» come ha dichiarato l’Onu nei giorni scorsi, continuerà.

L’OMS HA DICHIARATO di aver ottenuto «l’impegno preliminare per una pausa umanitaria in aree delimitate» da parte di Israele, notizia confermata dal canale tv Channel 13 di Tel Aviv. Anche Hamas avrebbe già accettato in via preliminare l’accordo. I funzionari egiziani e statunitensi a conoscenza della questione, tuttavia, hanno sottolineato che il patto non riguarda i negoziati in corso e che sarà circoscritto all’attuazione delle misure di profilassi sanitaria. Il premier israeliano, Benyamin Netanyahu, sarebbe stato convinto dal Segretario di Stato Usa, Antony Blinken, durante la visita di quest’ultimo in Israele, la scorsa settimana. Netanyahu avrebbe dato il suo beneplacito consultando solo i comandanti dei servizi di sicurezza ma non i ministri competenti. Il che confermerebbe ancora una volta l’impostazione del tutto verticistica che il premier ha adottato dopo i fatti del 7 ottobre 2023. Il 30 luglio scorso il ministro della Salute di Gaza aveva dichiarato il territorio palestinese una «zona di epidemia poliomielitica» annunciando la riapparizione del virus in seguito alla distruzione delle infrastrutture civili (in particolare le fogne e le condutture dell’acqua) e sanitarie a Gaza.

ANCHE L’UNIONE EUROPEA, in concomitanza con il Consiglio informale dei ministri degli Esteri a Bruxelles, ha chiesto una «pausa umanitaria immediata» in quanto «è estremamente allarmante che il poliovirus sia stato riscontrato a Gaza e il primo caso sia già confermato». L’Ue ha insistito sull’importanza dell’apertura del governo israeliano a una collaborazione con l’Oms, l’Unrwa e l’Unicef.

La redazione consiglia:

Emergency sbarca a Gaza: «Qui la peggiore delle crisi»

È significativo notare che il primo caso di contagio si è registrato a Deir el-Balah, nell’area scelta da Medici senza frontiere per la costruzione di un nuovo ospedale da campo dopo che l’esercito israeliano ha ordinato l’evacuazione forzata di 650 pazienti dall’ospedale Al-Aqsa. La struttura d’emergenza, che avrebbe dovuto iniziare a fornire assistenza sanitaria a fine settembre, è già diventata il rifugio per centinaia di pazienti. Le condizioni igieniche – spiegano da Msf – unite alla malnutrizione, all’assenza di medicinali a causa dell’embargo imposto dalle autorità di Tel Aviv al passaggio di aiuti umanitari e medici al valico di Rafah e alla carenza d’acqua potabile rischiano di essere terreno fertile per le epidemie.

SE TUTTE LE PREMESSE della vigilia dovessero essere confermate, la via per un cessate il fuoco effettivo a Gaza al momento rimane comunque un campo minato. Ora si apprende i colloqui a Doha «avevano lo scopo di avvicinare le parti su questioni tecniche» e che nei prossimi giorni i mediatori, Usa in testa, «presenteranno una nuova proposta» che tenti di superare l’ostruzionismo israeliano sui corridori Philadelphi (confine Gaza-Egitto) e Netzarim (che taglia la Striscia al centro) e di ridimensionare le richieste di Hamas per un ritiro immediato dell’esercito israeliano. Da Pechino, il consigliere per la sicurezza nazionale degli Usa, Jake Sullivan, ha parlato di «progressi» nel negoziato, ma si è rifiutato di commentare le operazioni israeliane in Cisgiordania. Gli Usa sono il principale partner militare di Israele e, nonostante le voci di malumori all’interno dell’amministrazione Biden per l’esponenziale aumento della violenza delle azioni israeliane, continuano a fornire armi a Tel Aviv e hanno più volte dichiarato che «qualsiasi attacco contro Israele porterà alla risposta militare delle forze statunitensi».

STAVOLTA sono stati costretti a prendere parola anche i politici europei, incalzati dalle dichiarazioni dell’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione, Josep Borrell, che ha paventato l’ipotesi di sanzionare i ministri israeliani che «lanciano inaccettabili messaggi d’odio contro i palestinesi e propongono misure che violano chiaramente il diritto internazionale». Prima di Borrel si era espressa la vice-primo ministro belga, Petra De Sutter, che aveva dichiarato di «appoggiare pienamente» sanzioni contro i ministri israeliani Ben-Gvir e Smotrich, che si erano spinti fino a invocare la cacciata dei palestinesi e l’insediamento coatto di coloni israeliani in Cisgiordania. D’accordo l’Irlanda che, tramite il ministro degli Esteri Martin ha dichiarato non solo di appoggiare le sanzioni ma di ritenere necessario «riconsiderare i rapporti commerciali con Israele finché durerà la guerra a Gaza».

Francia e Gran Bretagna si sono limitate a ribadire «la richiesta per un cessate il fuoco», mentre la Germania si è detta «molto preoccupata» per le«crescenti violenze, il numero di civili uccisi e l’estensione delle violazioni del diritto internazionale» in Cisgiordania. Tra le frasi che hanno generato l’indignazione internazionale spicca quella del ministro della sicurezza nazionale Ben-Gvir «il nostro diritto di trasferirci in Cisgiordania supera quello dei palestinesi che vivono lì» e del ministro degli Affari Esteri Katz, per il quale «non è da escludere una riallocazione temporanea dei palestinesi fuori dalla Cisgiordania». Il Segretario Generale dell’Onu si è detto «estremamente preoccupato per le azioni israeliane che stanno contribuendo all’instabilità della regione e a minare l’Anp».

MENTRE LE PRESSIONI sembrano ancora una volta cadere nel nulla, a Gaza si continua a morire. Nella sola giornata di ieri almeno 30 persone sono state uccise dall’esercito israeliano tanto da spingere Sigrid Kaag, coordinatrice dell’Onu per gli aiuti umanitari e la ricostruzione per Gaza, a definire la situazione «una tragedia umanitaria di proporzioni senza precedenti, con una mole di distruzione e sofferenza umana che non abbiamo visto nel 21° secolo di queste dimensioni»

 

Commenta (0 Commenti)
Destra scomunicata. Salvini lancia un sondaggio sui social contro i vescovi, Fdi difende la linea dura contro gli sbarchi. Forza Italia frena la spacca-Italia.Il governatore della Calabria Occhiuto alla premier: serve uno stop alle intese con le regioni
Autonomia e migranti, Lega contro la Chiesa: «Ospitateli in Vaticano» Antonio Tajani con monsignor Matteo Zuppi - Ansa

Tra autonomia e migranti non c’è pace per la destra di governo. O meglio: non c’è assoluzione dopo che ieri Papa Francesco ha praticamente scomunicato i governanti che respingono gli immigrati. E il giorno prima monsignor Francesco Savino, numero due della Cei, ha bollato l’autonomia di Calderoli come un «pericolo mortale» che trasformerebbe l’Italia in un far west.

UN’OFFENSIVA CHE, indubbiamente, complica la vita a Meloni e al suo governo. Con Salvini pronto a sparare bordate contro il Vaticano , mentre Tajani, che domenica era a Verona con gli scout e monsignor Zuppi, si mostra sempre più sensibile ai richiami che arrivano da Oltretevere, ed è pronto a frenare la strada dell’autonomia. Quanto alla premier, nonostante il gelo dei suoi colonnelli che difendono le politiche anti-migranti, il rapporto con Papa Francesco non è un problema facilmente derubricabile: a giugno il Papa è stato suo ospite al G7, e lei, «madre e cristiana», sa che non può permettersi un frontale col Vaticano.

SALVINI NON SI PONE questo problema, nonostante la sua abitudine a ostendere crocefissi a vangeli nei comizi: «I vescovi italiani (tutti?) sparano a zero contro l’Autonomia, approvata in Parlamento e riconosciuta in Costituzione. Non sono assolutamente d’accordo. Voi che ne pensate degli attacchi dei vescovi?», scrive su Facebook, lanciando una sorta di sondaggione. «Lettura fuorviante e fortemente di parte» quella della Cei secondo Luca Zaia.

Anche il segretario della Lega in Veneto Alberto Stefani spara a zero: «È inquietante che il vicepresidente della Cei intervenga a gamba tesa. Milioni di cattolici in Italia hanno votato a favore dei referendum autonomisti di Veneto e Lombardia. Credo che le Cei debba occuparsi di ben altro e voglio sperare che quella di Savino sia una posizione puramente personale». Ieri Meloni ha ricevuto il governatore della Calabria Occhiuto, di Fi, che le ha chiesto una moratoria: stop alle intese con le regioni anche su materie non Lep. «Dilaga il nervosismo della Lega per il successo delle firme contro l’autonomia», fa notare Marco Sarracino del Pd.

SUL TEMA MIGRANTI i rapporti Lega- Chiesa sono ancora più tesi: «La Cei dovrebbe dire ai fedeli quanti migranti intende ospitare in Vaticano. Non vogliamo credere che i vescovi possano essere influenzati in alcun modo dalla politica», l’avvertimento del salviniano Igor Iezzi. «Dietro a questo monito deve esserci necessariamente un piano per governare l’immigrazione, sul quale i vescovi sicuramente ci informeranno. Magati dicendo se intendono investire i soldi dell’8 per mille», gli fa eco la senatrice Minasi. «Incentivare l’immigrazione clandestina finanziando personaggi dei centri sociali è un atteggiamento che molti cattolici non condividono», la stoccata di Rossano Sasso.

DA FDI IL CAPOGRUPPO Foti e Augusta Montaruli prendono di mira la magistratura per il caso della mancata convalida della detenzione di alcuni immigrati nel nuovo centro di Porto Empedocle. Evitano di citare il Papa, ma ribadiscono la linea dura. «Indebita invasione di campo dei magistrati di Palermo», s’infuria Foti. E l’ex sottosegretaria: «Andiamo avanti, nonostante le ostruzioni. Il governo Meloni sta lavorando bene fermando gli arrivi incontrollati». «Mentre il governo rispetta la volontà popolare e vara norme per contrastare l’immigrazione illegale di massa, una parte della magistratura ideologizzata disapplica le norme e fa di tutto per favorire l’immigrazione illegale», aggiunge il senatore Sandro Sisler.

Sullo ius scholae, cavallo di battaglia estivo di Tajani, è in arrivo l’emendamento di Azione al ddl sicurezza (al voto già dal 10 settembre in aula alla Camera) che fotografa la proposta di Fi: cittadinanza dopo un ciclo scolastico di 10 anni. «Se Forza Italia avrà la forza di essere coerente con la sua campagna estiva ne darà prova accogliendo il nostro emendamento», spiega Osvaldo Napoli. «Basta rumore, vediamo chi ci sta», la sfida di Calenda

 
 
Commenta (0 Commenti)