Centrosinistra Il «lodo Franceschini» fa discutere: no di Prodi, dubbi nel Pd, sì dal M5S. De Cristofaro (Avs): «Al di là di accorgimenti tecnici, occorre un accordo politico»
Giuseppe Conte, Angelo Bonelli, Nicola Fratoianni – Ansa
Mentre la destra avanza per strappi e forzature, oltre che alzando l’asticella dello scontro con il potere giudiziario, dalle parti delle opposizioni aleggia ancora la «proposta Franceschini». L’idea è stata articolata sulle pagine di questo giornale dal politologo Antonio Floridia e poi ripresa dall’ex segretario dem. Ruota attorno alla possibilità che le forze che si oppongono alla destra raggiungano un accordo elettorale per non perdere in partenza i collegi uninominali ma non si presentino come alleanza organica.
L’ATTUALE LEGGE elettorale non prevede la possibilità di voti disgiunti e quindi di praticare la tattica della desistenza. Si potrebbero però definire prima a tavolino le candidature uninominali e poi lasciare che gli elettori si esprimano barrando il simbolo sul lato proporzionale. Ieri sull’ipotesi si è espresso, parlando con Repubblica, Romano Prodi. Il quale non è parso entusiasta. «Potrebbe essere l’ultima spiaggia alla vigilia del voto – ha detto il fondatore dell’Ulivo – Ma se partiamo dall’idea che non ci si può mettere d’accordo su un programma, mi pare difficile vincere le elezioni». In altri termini, l’ex presidente del consiglio considera prematuro, per non dire sospetto, che a più di due anni dal voto già si debba dare per smarrita la strada che condurrebbe ad una coalizione di centrosinistra con un programma riconoscibile.
IL LODO FRANCESCHINI ufficialmente non è stato commentato dalle parti del Pd, il cui gruppo dirigente fin dall’inizio si è dato l’obiettivo di tessere l’alleanza per sconfiggere Giorgia Meloni. Va anche detto che senza l’onere di una squadra definita e agganciata a un accordo, Elly Schlein si troverebbe svincolata dall’ossessione di trovare la figura del «federatore» e potrebbe condurre la battaglia alla destra sulla scorta dei numeri, che la danno come segretaria della prima forza d’opposizione. Insomma, se il marchingegno dovesse funzionare e mettere le destre in minoranza, sarebbe Schlein a dare le carte per il governo. L’idea di marciare divisi è stata accolta dal M5S, che in questo modo avrebbe le mani libere per la campagna elettorale e per dare corpo all’indicazione uscita dall’assemblea costituente: quella che disegna la linea sì «progressista» ma anche «indipendente». In questo schema, Giuseppe Conte è convinto d massimizzare i consensi. Siccome la politica disegna alchimie non lineari, vale la pena di sottolineare che l’avvocato in questo caso si trova perfettamente in sintonia con Matteo Renzi.
LA TERZA FORZA d’opposizione, data ormai stabilmente dai sondaggi nazionali sopra il 6%, è Alleanza Verdi Sinistra. Il portavoce di Europa Verde Angelo Bonelli, uno dei soci della compagine, ha detto chiaramente di considerare un errore l’abbandono di ogni prospettiva di coalizione. Dalla parte di Sinistra italiana non sono arrivate parole esplicite. Il mood, nel partito di Nicola Fratoianni, è simile a quello esplicitato da Bonelli. Ragionando con il manifesto, il capogruppo al senato Peppe De Cristofaro introduce un’altra variabile: la possibilità, che circola da qualche giorno, di una nuova legge elettorale. «Se la legge dovesse cambiare in senso proporzionale puro la proposta di Franceschini avrebbe senso – dice – Però non credo che ciò avvenga. E allora si può anche pensare a qualche accorgimento tecnico, ma servirebbe comunque un’alleanza organica, con un nucleo poltico. Sarebbe una scelta di chiarezza nei confronti degli elettori». L’idea che circola in Si è che, con questa legge elettorale, in casi estremi, e in collegi marginali, si potrebbe anche pensare ad accordi ad hoc per non regalare le quote uninominali alla destra. Ciò non toglie, si sostiene, che un accordo tout court tra Pd, M5S e Avs debba essere l’infrastruttura di base per battere le destre. E se anche dovesse passare il «porcellum corretto» (ma la corte costituzionale aveva bocciato la mancanza di preferenze e la mancanza della soglia per il premio di maggioranza) ci si troverebbe ad un meccanismo simile a quello maggioritario delle regionali. Non ci sarebbero le quote uninominali a confondere le acque, ma servirebbe comunque una coalizione
Commenta (0 Commenti)Finché la barca va Il Viminale promette: «Avanti con convinzione». Ma a livello interno ha armi spuntate. L’ipotesi di anticipare punti del Patto europeo. «Partner comunitari e Commissione stanno pensando di rafforzare le norme Ue che sostengono le procedure in frontiera applicate anche in Albania», dice il ministero dell'Interno
Shengjin, i 43 migranti trattenuti nel centro di Gjader salgono sulla nave della guardia costiera per andare
in Italia – Ansa
«Andare avanti a ogni costo»: sì, ma come? Il giorno dopo l’ennesimo flop del progetto Albania le dichiarazioni bellicose del governo stridono con la realtà: a meno di nuove e ben più gravi forzature del quadro normativo, i centri d’oltre Adriatico resteranno vuoti per un po’. «Continueremo su questa strada con convinzione», dice il Viminale, a cui fanno eco i parlamentari FdI. Intanto, però, agli operatori italiani della cooperativa che gestisce le strutture di Shengjin e Gjader è stato detto di tornare a casa. Mentre i 43 migranti, bangladeshi ed egiziani, sono stati trasferiti ieri nel Cara di Bari, accolti in porto tra gli applausi da un presidio dell’Arci. Per ora la prossima scadenza sul tavolo è l’udienza della Corte di giustizia Ue sui rinvii pregiudiziali a tema «paesi di origine sicuri» fissata il 25 febbraio. Per la decisione servirà qualche mese, è attesa in primavera.
SIAMO «AL LAVORO per superare anche questo ostacolo», aveva fatto sapere palazzo Chigi venerdì, subito dopo che la Corte d’appello ha rimesso la vicenda ai giudici del Lussemburgo determinando la liberazione di tutti i cittadini stranieri trattenuti al di là del mare. Il governo, però, non è entrato nel merito di come intende procedere. A oggi non ci sarebbero nuovi interventi legislativi già pronti e anche le indiscrezioni che circolavano l’altro ieri su un nuovo ricorso in Cassazione sono state smentite. Anche perché la Suprema corte ha già sospeso il giudizio nei casi relativi ai primi trasferimenti e da allora è cambiato ben poco.
Come previsto da giuristi ed esperti, trasformare la lista dei «paesi sicuri» in una norma primaria non ha ribaltato l’esito delle richieste di convalida. Tra le altre cose, quella legge stabilisce che il Consiglio dei ministri deve preparare entro il 15 gennaio di ogni anno, sulla base delle informazioni delle fonti qualificate citate dalla direttiva Ue, una relazione che entri nel merito della situazione di ogni Stato presente nell’elenco. Per il 2025 ancora non c’è, tanto che il tribunale di secondo grado della capitale ha richiamato le «schede paese» allegate al vecchio decreto interministeriale di maggio dell’anno scorso, zeppe di eccezioni per categorie di persone sia in Bangladesh che in Egitto.
IL RAGIONAMENTO che ha seguito è lo stesso delle sezioni specializzate in immigrazione, a cui la competenza era stata sottratta a dicembre. Se l’esecutivo l’ha attribuita alle Corti d’appello è perché scarseggiavano altre possibilità. Come quella, pur ventilata, del giudice di pace o perfino del Tar. Una forzatura molto grave perché sarebbero consegnate decisioni che riguardano la sfera dei diritti soggettivi, come l’asilo e la libertà personale, a organi che si occupano di tutt’altro. È però vero che i giudici di pace decidono sui trattenimenti nei Cpr dei cittadini stranieri in situazione di irregolarità amministrativa. In ogni caso se non hanno già trasferito a loro anche la competenza sulla detenzione dei richiedenti asilo, magari in virtù degli altissimi tassi di convalida, qualche motivo deve esserci. Probabilmente la contrarietà del Colle. Farlo adesso per aggirare il secondo organo giurisdizionale sgradito renderebbe ancor più evidente la pretesa di scegliersi i giudici.
L’altra ipotesi del governo italiano è un intervento a livello Ue. In questo senso vanno le ultime dichiarazioni del Viminale. «I partner comunitari in piena sintonia con la Commissione stanno pensando di rafforzare le norme Ue che sostengono le procedure in frontiera applicate anche in Albania non solo con una anticipazione dell’entrata in vigore di alcune norme del Patto ma anche con soluzioni innovative», ha ribadito ieri il ministero. Concretamente si tratterebbe di rendere subito validi alcuni punti del Patto su immigrazione e asilo che sarà effettivo dal giugno 2026. Basterebbe farlo con l’articolo che riguarda i «paesi sicuri»: prevede la possibilità di considerare tali anche quelli che presentano eccezioni territoriali e per categorie di persone.
PER GIORGIA MELONI e Matteo Piantedosi significherebbe smentire la linea sostenuta per mesi, secondo la quale le norme attuali permettono i trattenimenti in Albania. Ma in questi casi non conta avere ragione, conta portare a casa l’obiettivo: la coerenza è un agnello sacrificale di poco valore.
Finora la possibilità di anticipare alcuni punti del Patto è stata ventilata solo a livello informale, ma tecnicamente è possibile. La Commissione dovrebbe presentare una proposta, piuttosto semplice perché limitata a pochi articoli, poi parlamento e Consiglio dovrebbero approvarla. Siamo nel campo delle ipotesi, ma il clima globale è quel che è: da Washington a Berlino la propaganda anti-migranti è sempre più forte. Su questo scommette il governo Meloni.
Commenta (0 Commenti)Approda a Bari la motovedetta con a bordo altri 43 migranti costretti a inutili peripezie. Meloni cerca di uscire con ogni mezzo dal labirinto, perché ha giurato che i centri «funzioneranno». Altrimenti sarà colpa dei giudici. Avanti con forzature, fake news e propaganda
Finché la barca va Doveva essere una normale direzione nazionale, si è trasformata nella nascita del «Grande Partito della Nazione»
Doveva essere una normale direzione nazionale, si è trasformata nella nascita del «Grande Partito della Nazione». Almeno stando ai toni quasi messianici utilizzati, in scia alla moda trumpiana. Nel centro congressi a pochi passi da Piazza di Spagna, a Roma, affittato da Fratelli d’Italia, si riuniscono deputati e senatori meloniani, più la pattuglia dei ministri. Ci sono quello alla Difesa e fondatore del partito, Guido Crosetto, la titolare del Lavoro Elvira Calderone, il neo ministro delle Politiche Ue Tommaso Foti, quello allo Sport Andrea Abodi e quello delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso, il responsabile della Protezione civile Nello Musumeci e poi Giovanni Donzelli, Lucio Malan, Edmondo Cirielli. L’ordine di scuderia era di restituire compattezza.
FRANCESCO LOLLOBRIGIDA ha aperto i lavori con un insolito ruolo di primo piano rispetto agli ultimi mesi, quando era stato messo in ombra a causa delle gaffe e delle vicende personali. Li ha chiusi Arianna Meloni, responsabile della segreteria politica e del tesseramento FdI, che di Lollobrigida era la compagna e della premier è sorella. Il rapporto tra le due è sempre stato solido, ora è diventato mistico: «Ho l’onore di essere la sorella di Giorgia Meloni, una grande donna a cui ho visto fare in questa nuova fase un salto 10 volte più alto di tutti questi durissimi anni: ha messo gli italiani prima della sua famiglia e di sé stessa».
PER QUANTIFICARNE la grandezza, descrive la «traversata nel deserto» e il «salto nel buio» compiuti e fa riferimento all’unico libro che la destra di Colle Oppio ha letto con certezza e usa come feticcio: Il signore degli Anelli di Tolkien. La premier è «il nostro Frodo e noi siamo la Compagnia dell’anello – arringa Arianna Meloni -. L’anello è pesante, dobbiamo aiutarla nella fatica di portarlo senza mai indossarlo: ognuno è chiamato a fare la propria parte».
La «parte» è quella di resistere al resto del mondo, tenere la linea, qualunque essa sia: su Elmasry, sulla magistratura «politicizzata» che indagherebbe ad orologeria la premier, sul piano Albania smontato dai giudici «di sinistra». E poi diffondere i sondaggi che li vedono in testa, negare problemi, adombrare complotti, rivendicare traguardi, avanzare compatti.
GIORGIA MELONI è tentata di andare a elezioni anticipate per dare una prova di forza e respingere definitivamente gli infingardi. Così, se all’ordine del giorno c’erano la
Leggi tutto: Il partito mistico di Arianna: «Meloni è il nostro Frodo» - di Luciana Cimino
Commenta (0 Commenti)Alla fine In 50 usciranno dal valico di Rafah per ricevere cure urgenti. Altri 14mila in lista d’attesa. Oggi Hamas libererà altri due civili e il capitano Bibas. E verranno in cambio scarcerati 183 detenuti politici. In Egitto proteste contro l’idea di ospitare i gazawi deportati. Trump insiste: «Lo farete»
La vista su Khan Younis da una casa distrutta – Ap/Abed Rahim Khatib
Cinquanta palestinesi con necessità di cure mediche urgenti usciranno oggi da Gaza attraverso il valico di Rafah. È la prima operazione del genere dall’inizio del cessate il fuoco tra Israele e Hamas. Il Ministero della Salute della Striscia sta organizzando la procedura di evacuazione. Avverrà in coordinamento con l’esercito israeliano, che controlla la parte palestinese del passaggio al confine con l’Egitto.
L’APERTURA è un’ottima notizia, anche se si tratta di una goccia nell’oceano: l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) stima che «dalle 12mila alle 14mila persone necessitano dell’evacuazione medica fuori da Gaza». L’Oms ha chiesto per questo che i trasferimenti avvengano a un ritmo accelerato, «attraverso tutte le possibili rotte, e che riprendano gli invii in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est». Quest’ultima possibilità non sembra rappresenti al momento per Israele un’opzione, anche se una volta usciti i palestinesi saranno trasferiti all’estero, in diversi Paesi, per poter avere accesso alle necessarie cure salvavita.
Anche l’Unione europea ha ufficialmente riavviato, ieri, la missione civile per monitorare il confine e supervisionare il trasferimento fuori da Gaza. Ma, intanto, ciò che entra non è abbastanza. Secondo Al Jazeera, i camion che hanno superato il confine sono meno di 8mila, 7.926 per la precisione. E trasportavano soprattutto cibo. Le tende portate nell’enclave, 208, sono assolutamente inferiori alle necessità della popolazione (circa 600mila persone ritornate nel nord distrutto). E lo stesso vale per le forniture mediche: i palestinesi che hanno bisogno di cure sono decine di migliaia, così come quelli rimasti senza casa. La protezione civile ha dichiarato che non sono entrati a Gaza macchinari né attrezzature pesanti, fondamentali per poter recuperare i corpi ancora intrappolati sotto le macerie.
DAL LATO EGIZIANO del valico di Rafah, ieri centinaia di persone si sono radunate per protestare contro il piano del presidente Usa Donald Trump che prevederebbe la deportazione della popolazione di Gaza in Egitto e in Giordania. Nonostante il netto rifiuto di Amman e del Cairo, Trump è tornato alla carica proprio ieri e in merito alla posizione dei due Paesi arabi ha dichiarato senza aggiungere spiegazioni: «Lo faranno. Noi facciamo molto per loro, e loro lo faranno».
L’Egitto è stato l’unico Paese, insieme a Israele, a rimanere fuori dal congelamento degli aiuti esteri degli Stati uniti ordinato da Trump la settimana scorsa. Insieme a Netanyahu, al-Sisi continuerà a ricevere dall’alleato lauti finanziamenti militari, per i quali il tycoon potrebbe chiedere una collaborazione straordinaria.
A Gaza, dove ieri è stato ucciso un altro pescatore di 19 anni, ci si prepara oggi al quarto scambio di prigionieri e ostaggi. Stavolta Hamas dovrà assicurare un’organizzazione migliore, se vorrà evitare che Israele si rifiuti di liberare i palestinesi, come accaduto giovedì. La folla dovrà essere controllata, anche se il gruppo islamico non rinuncerà alla rappresentazione trionfante della scena del rilascio.
SARANNO LIBERATI DUE CIVILI, l’israeliano-americano Keith Siegel, di 65 anni e Ofer Kalderon, 54. E poi il capitano di 35 anni, Yarden Bibas. La moglie di Siegel e i due figli di Kalderon, pure catturati da Hamas, sono stati rilasciati nello scambio di novembre 2023. Il gruppo islamico non ha dato notizie della moglie e dei due figli di Bibas, anche loro catturati nell’attacco del 7 ottobre. Le autorità israeliane ritengono alta la probabilità che non siano sopravvissuti. Il bambino più piccolo aveva nove mesi quando è stato portato a Gaza. Tel Aviv libererà invece 183 detenuti politici palestinesi, 18 condannati all’ergastolo e 54 a lunghe pene carcerarie.
In Israele si parla, in questi giorni, del coinvolgimento di due riservisti di 21 anni in una cospirazione iraniana. I militari sono stati arrestati per spionaggio. Uno dei due, secondo le accuse, aveva avuto accesso a informazioni riservate sul sistema di difesa Iron Dome, che avrebbe venduto a Teheran, causando danni significativi alle operazioni dell’esercito.
Nella Cisgiordania occupata, intanto, Israele continua le sue violente operazioni militari. Numerosi rinforzi sono stati inviati a Jenin, assediata ormai da 11 giorni consecutivi. Molti di più, se si tiene conto dell’isolamento e degli attacchi da parte delle forze dell’Autorità nazionale palestinese, durati più di un mese.
A Ramallah, due bambini di 11 e 12 anni sono stati feriti in un raid israeliano; a Burin, nei pressi di Nablus, un gruppo di coloni dell’avamposto di Givat Ronen, illegale secondo le leggi internazionali, ha dato alle fiamme gli uliveti degli abitanti. Le incursioni e le spedizioni punitive dei coloni vanno avanti da anni a Burin, ma gli insediamenti israeliani continuano a crescere annettendo nuova terra palestinese.
* Storica, esperta di Paesi Islamici, documentarista
Commenta (0 Commenti)La Germania rialza il muro 350 sì e 338 no (su 693): il Bundestag boccia la stretta sui migranti Alice Weidel scioccata: «Il partito conservatore è imploso». Clamorosa vittoria, a tre settimane dalle elezioni, di Spd, Verdi e Linke
Il voto al Bundestag sul piano del leader della Cdu, Friedrich Merz, contro il diritto d’asilo – Ap
I franchi-tiratori della Cdu e di Fdp affondano la legge Merz. Nella sorpresa generale di tutti i leader politici, e contrariamente a ogni pronostico, il Bundestag respinge la proposta del leader cristiano-democratico di abolire il diritto di asilo per i migranti, blindare i confini ed estendere i poteri della polizia.
UNA CLAMOROSA VITTORIA di Spd, Verdi e Linke: le tre forze politiche del fronte anti-Afd si sono dimostrate in grado di convincere, all’ultimo momento, i deputati democratici degli altri partiti indisposti a offrire l’ennesima sponda istituzionale ai fascio-populisti. Non sono pochi i voti mancati al segretario della Cdu. Si è volatilizzato un quarto del sostegno dei liberali, come si era già intuito prima del voto con l’interruzione di tre ore della seduta parlamentare per mancanza di accordo fra Merz e Fdp, ma pesa anche la defezione di 12 parlamentari del gruppo Cdu-Csu, segno che il leader dell’Union non è riuscito, prima di tutto, a tenere i merkeliani risvegliati dalla critica di “Mutti” a Merz due giorni fa.
Scioccata Alice Weidel, cancelliera di Afd. Ha strabuzzato gli occhi di fronte al tabellone con l’esito del voto, in attesa di conoscere l’elenco del voto nominale che le ha sottratto l’ennesima vittoria che pareva a portata di mano fino a poche ore prima della votazione. Riesce a balbettare che «è una chiara sconfitta per Merz».
Ma è una porta in faccia anche per Sahra Wagenknecht, altrettanto pronta a offrire la stampella del Bsw alla legge Merz, salvo pochi malpancisti. Con 350 voti contrari e 338 a favore e 5 astenuti ha potuto fare ben poco nei confronti del sussulto bipartisan che ha scompigliato gli opposti schieramenti sulla norma anti-asilo. Al contrario della Linke, i cui voti invece sono stati vitali per dire nein a Merz.
IN UN CLIMA INFUOCATO come mai. A Berlino ieri si è scatenato il dibattito più feroce della legislatura con accuse, insulti reciproci e polemiche uscite dall’Aula. Cdu e Fdp contro Spd e Verdi; i Verdi e la Linke contro la Cdu, e il Bsw e Afd contro tutti.
È finita che «si sono tirati anzitutto indietro i liberali», come ammette a denti stretti Merz denunciando i 23 voti contrari e la marea di non votanti di Fdp. Non era negli accordi, conferma il vicepresidente di Fdp, Wolfgang Kubicki, per niente contento del tradimento di troppi suoi deputati: «Sono sbalordito dal loro comportamento di sicuro non aiuterà il nostro partito nella campagna elettorale. Prima del voto all’interno del nostro gruppo avevamo concordato che la legge della Cdu fosse corretta e necessaria». I liberali si sono spaccati: solamente 67 su 90 hanno seguito le indicazioni del segretario Christian Lindner, altro grande perdente della seduta di ieri che non è riuscito a gestire come avrebbe immaginato.
«Comunque, sono in pace con me stesso. Sono contento almeno di averci provato» si consola Merz, prima di lasciare a passo di corsa il Bundestag per volare verso Erfurt, capitale della Turingia e roccaforte di Afd guidata dal deputato di ultra-destra Bjorn-Höcke, dove il leader Cdu punta a raccogliere voti in vista delle urne del 23 febbraio.
Lascia un partito in subbuglio al punto che ieri, subito dopo la sonora bocciatura della legge, la direzione della Cdu-Csu ha inviato una mail con la spiegazione auto-assolvente a tutti i membri. «Abbiamo provato fino all’ultimo minuto a convincere il governo Scholz ad agire sull’immigrazione e oggi cercavamo una maggioranza nel centro democratico per una vera svolta sul diritto di asilo. Non è passata per colpa di Spd e Verdi».
NON UNA PAROLA sull’effetto Merkel, nonostante il libro di memorie dell’ex cancelliera svettasse fra i banchi del governo, in bella vista, come monito per chi volesse cambiare per sempre la storia della Cdu.
Mentre il capogruppo parlamentare della Spd, Rolf Mützenich, prende in giro (ma neanche tanto) il leader Merz: «Gli sono mancati tre dozzine di voti da questa nuova coalizione che ha voluto formare insieme ai suoi nuovi alleati di Afd. Ringrazio i deputati di Cdu e Cdu pronti a rifiutare di votare la sua legge sul diritto di asilo».
PEGGIO DI COSÌ per il candidato-cancelliere dei democristiani non poteva finire. Dopo avere incassato la mozione anti-migranti dal valore pressoché nullo approvata dal Bundestag tre giorni fa, si vede bocciare la legge fotocopia che sarebbe stata vincolante per il governo.
Commenta (0 Commenti)Niente da fare: per la terza volta i giudici smontano il «modello Albania». Ordinano di riportare in Italia e liberare 43 richiedenti asilo deportati fuori dai confini. A nulla serve cambiare la competenza delle corti. È la legge, ma per la destra è un altro complotto delle toghe
Riporto sicuro Tutti liberi i 43 richiedenti asilo di Bangladesh ed Egitto reclusi a Gjader. Dopo il terzo flop, saranno trasferiti a Bari. Partenza prevista per le 12 di questa mattina. I giudici di secondo grado hanno rinviato tutto alla Corte di giustizia Ue
Migranti sbarcano da una nave della Marina Militare italiana a Shengjin in Albania – Vlasov Sulaj/Ap
Cambiando l’ordine degli addendi non cambia il risultato: tutti i 43 richiedenti asilo rinchiusi nel centro di Gjader, 35 del Bangladesh e 8 dell’Egitto, tornano liberi. Stavolta il no ai trattenimenti è arrivato dalla Corte d’appello della capitale, dopo che il governo aveva sottratto la competenza alla sezione romana specializzata in immigrazione, che il 18 ottobre e l’11 novembre dell’anno scorso aveva deciso nello stesso modo. In questo caso le toghe capitoline hanno sospeso il giudizio rinviando tutto alla Corte di giustizia Ue.
UN PROVVEDIMENTO che si inserisce nella scia di rinvii pregiudiziali a Lussemburgo partiti dai tribunali di Bologna, Palermo e Roma e della sospensione del giudizio della Cassazione in attesa dell’udienza europea del 25 febbraio e poi della sentenza che dovrebbe arrivare entro la primavera. In tutti questi procedimenti la richiesta dei giudici nazionali a quelli comunitari è di chiarire se sia legittimo, ai sensi delle direttive Ue, considerare «sicuri» paesi che non lo sono per alcune categorie di persone.
Categorie che spesso includono migliaia e migliaia di persone, come in Egitto e Bangladesh. Lo dimostrano le relative schede paese redatte sulla base delle fonti qualificate e allegate al vecchio decreto interministeriale del maggio 2024. Schede che dovrebbero essere sostituite, secondo la nuova legge, da una relazione del Consiglio dei ministri da trasmettere alle competenti Commissioni parlamentari. Il termine per scriverla era il 15 gennaio ma, a quanto risulta da un’interrogazione presentata dal deputato di +Europa Riccardo Magi, la settimana scorsa risultava ancora «in via di definizione».
NELLA SUA DECISIONE la Corte d’appello richiama lo «specifico dovere», che la sentenza europea del 4 ottobre scorso attribuisce al giudice, di «verificare d’ufficio» la legittimità della designazione di «paese sicuro» da parte delle autorità governative. Cita anche l’ordinanza interlocutoria della Cassazione che, pur non
Leggi tutto: Albania, governo bocciato anche in Appello - di Giansandro Merli
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