Nessuna tregua all’orizzonte L’esercito ha ripreso Khartoum e le Rsf attaccano nel Darfur. I paramilitari nel campo profughi di Zamzam. Spari sulla Croce rossa e disastro umanitario senza fine. Falliti tutti i tentativi di mediazione.
Minni innawi, governatore del Darfur e capo dell'Esercito di liberazione del Sudan (Sla) – Getty Image
I paramilitari delle Forze di Supporto Rapido (Rsf), in un comunicato ufficiale di ieri, hanno indicato di aver preso il controllo del campo profughi di Zamzam, nella regione del Darfur settentrionale, con l’obiettivo di «proteggere i civili, il personale medico e ricevere i convogli per gli aiuti umanitari».
Il campo per sfollati di Zamzam – con oltre 500mila rifugiati – è uno dei più grandi nella regione desertica del Darfur, al confine con il Ciad. Si tratta di uno dei tre grandi campi colpiti dalla carestia secondo il Programma Alimentare Mondiale (Pam) ed è situato alla periferia della grande città di El-Fasher, dove infuriano i combattimenti.
Il Sudan, terzo paese più grande dell’Africa, è dilaniato da una guerra civile tra il capo dell’esercito sudanese (Fas), il generale Abdel Fattah Al-Burhan, e il generale Mohammed Hamdan Dagalo, leader dei paramilitari delle Rsf. Il conflitto è iniziato esattamente due anni fa – il 15 aprile 2023 – e ha causato finora oltre 150mila morti e più di 12 milioni di sfollati interni o rifugiati nei paesi vicini come Egitto, Libia, Ciad, Repubblica Centrafricana, Etiopia e Sud Sudan. Secondo l’Onu e l’Unione Africana, si tratta della «peggiore crisi umanitaria al mondo». Entrambi gli schieramenti accusati «di atrocità e crimini di guerra».
Dopo due anni di combattimenti le Fas di Al-Burhan hanno il controllo del nord e dell’est del paese, mentre le Rsf sono asserragliate in alcune aree del sud e hanno il quasi totale controllo dell’ovest, nella regione del Darfur. Dopo che l’esercito ha riconquistato a marzo la capitale Khartoum, le Rsf hanno intensificato i combattimenti verso El-Fasher – capoluogo del Darfur settentrionale con circa 2 milioni di abitanti – assediata dal maggio 2024.
L’eventuale caduta di El-Fasher preoccupa le Nazioni Unite, perché una piena conquista della regione potrebbe portare alla creazione di «uno stato separatista guidato da Dagalo e dai suoi paramilitari» e giustificherebbe «la strategia della pulizia etnica nella regione».
Da questo venerdì, le Rsf hanno avviato diversi attacchi su El-Fasher e sui campi profughi limitrofi di Zamzam e Abou Chouk. L’Onu teme più di «100 morti negli attacchi», con «migliaia di profughi inermi, vittime delle violenze da parte dei paramilitari». Domenica Minni Minnawi, governatore del Darfur e leader del movimento dell’Esercito di liberazione del Sudan (Sla) – alleato di Al-Burhan – ha dichiarato che da venerdì oltre «450 civili sono stati uccisi a El-Fasher e nei suoi dintorni», con «decine di migliaia di profughi fuggiti dal campo per paura delle rappresaglie delle Rsf».
Le Nazioni Unite, gli Stati Uniti e le organizzazioni umanitarie hanno condannato l’attacco delle Rsf a Zamzam e l’uccisione di personale della Croce Rossa Internazionale (Cri) all’interno dell’ultimo ospedale ancora funzionante nel campo. Riguardo al totale collasso delle infrastrutture sanitarie nel paese, un ultimo rapporto della Croce Rossa, dello scorso giovedì, rileva che «oltre due terzi dei sudanesi sono privati di cure mediche», precisando che «l’80% degli ospedali del paese non sono più operativi».
Sul versante della mediazione, le poche iniziative tentate si scontrano con l’indifferenza dei due schieramenti. A poco sono valsi in questi due anni gli sforzi da parte dell’Arabia Saudita, degli Stati Uniti e dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad) – che raggruppa i diversi stati del Corno d’Africa – per «portare le due fazioni a una tregua, con l’obiettivo di proteggere i civili e garantire l’accesso umanitario». Anche recentemente il generale Al-Burhan ha indicato che «una pace duratura sarà possibile solo con la totale sconfitta delle milizie di Dagalo».