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Il governo prova a salvare il “modello Albania” con il decreto sui «Paesi sicuri». Nordio alza la voce: «I giudici non possono disapplicare una legge». E la sentenza della Corte Ue? «Non l’hanno capita perché scritta in francese». Meloni rinvia la conferenza stampa di oggi

A quel Paese La lista dei Paesi sicuri trasformata in legge. Nordio: «Magistrati tenuti a rispettarla, altrimenti devono ricorrere alla Consulta». Per il ministro la sentenza europea male interpretata anche perché scritta in francese

Il Presidente Giorgia Meloni in Albania durante una visita congiunta con il Primo Ministro della Repubblica di Albania Edi Rama alle aree previste dal protocollo di collaborazione Italia-Albania in materia migratoria foto LaPresse Giorgia Meloni in Albania con il primo ministro Edi Rama – foto LaPresse

È un decreto lampo: deciso di corsa, approvato nel giro di mezz’ora. Non va oltre quanto previsto, la trasformazione in norma primaria, cioè in legge, della lista di Paesi che l’Italia considera sicuri. Dai 22 originari ne sono stati cancellati 3, Camerun, Colombia e Nigeria: una prova di disponibilità al dialogo a costo zero, trattandosi almeno nei primi due casi di Paesi a bassissimo tasso d’immigrazione. Cosa significhi la trasformazione in norma primaria lo chiarisce il guardasigilli Nordio in conferenza stampa: «Essendo legge i magistrati sono tenuti a rispettarla. Se ritengono che violi la Costituzione devono ricorrere alla Consulta».

È UNA PORTA LASCIATA aperta alla resa non incondizionata. I magistrati della sezione Immigrazione potrebbero infatti insistere sul fatto che la sentenza della Corte di giustizia europea del 4 ottobre, avendo valore costituzionale, è sovraordinata rispetto alle leggi nazionali e sentenziare di nuovo sui trasferimenti senza coinvolgere la Consulta. Il sottosegretario Alfredo Mantovano lascia capire che al quel punto il governo potrebbe usare l’arma fine-di-mondo, cioè sottrarre per decreto al Tribunale di Roma il compito di sentenziare in materia. La minaccia è esplicita: «Ulteriori interventi non si escludono». Ma probabilmente è un’arma spuntata. Significherebbe arrivare allo scontro frontale anche con il Quirinale, cosa che la premier preferirebbe di gran lunga evitare.

IL DECRETO È STATO in effetti scritto tenendosi in contatto continuo con gli uffici legislativi del Colle. Mattarella però non lo avrebbe ancora letto, essendo ieri sera impegnato nella cena di Stato con l’emiro del Qatar. La rapidità con cui emanerà il decreto sarà comunque indicativa: se lo terrà a lungo sulla scrivania sarà un segnale preciso. Il rinvio invece è improbabile. È una mossa estrema, non nello stile del presidente e a maggior ragione dopo i conciliaboli tra gli uffici legislativi per definire il testo.

I ministri che hanno presentato ieri il decreto, oltre a Mantovano e Nordio anche Matteo Piantedosi, insistono sulla assoluta assenza di conflittualità con la sentenza della Corte europea. Quella sentenza, disserta Nordio, «è molto complessa, dunque forse non compresa o non letta, anche perché era in francese».

Dopo aver dato degli “ignorantoni” ai magistrati della sezione Immigrazione il guardasigilli legge (in francese) i passaggi che a suo parere sono stati

disattesi a Roma, quelli che imporrebbero di motivare il rifiuto dei trasferimenti nel dettaglio e caso per caso: «Andatevi a leggere gli articoli dall’87 al 94 della sentenza europea, poi le cinque righette di quella di Roma e giudicate voi». È il solo passaggio apertamente polemico con la magistratura che il governo si permette. Per il resto Mantovano e Piantedosi sono quasi mielosi. Non è escluso che a richiedere il guanto di velluto, in concreto di evitare polemiche troppo contundenti, sia stato proprio il Colle, certamente preoccupatissimo per la prospettiva di un conflitto frontale tra poteri dello Stato.

PIANTEDOSI, CONCILIANTE nelle forme, aggiunge argomenti meno polemici di quelli addotti dal collega Nordio. Per i trattati europei sono considerati «sicuri» quei Paesi i cui cittadini vedono accolte le richieste di asilo in percentuale inferiore al 20%. La lista dei Paesi sicuri, promette, verrà rivista annualmente e discussa in Parlamento. Ma l’argomentazione principale la espone Mantovano: «Con la sentenza di Roma i rimpatri semplicemente non esistono più e a quel punto dovremmo rispondere in sede europea del perché non tuteliamo i confini dell’Unione».

I portavoce della Commissione, poco prima, avevano effettivamente affrontato il caso del Protocollo tra Italia e Albania ma con parole sostanzialmente ambigue. Da un lato avevano sottolineato che «tutte le decisioni italiane devono essere in conformità con l’applicazione del diritto europeo». Dall’altro avevano ammesso che si dovrà mettere a punto «una lista dei Paesi sicuri che al momento non esiste».

LA PREMIER MELONI ha cancellato la conferenza stampa prevista per oggi forse per abbassare la tensione. Il governo sembra dunque intenzionato a non forzare sullo scontro finale con la magistratura, limitandosi a chiedere la resa sul fronte albanese. Poi saranno i giudici sella sezione Immigrazione a dover scegliere come procedere