La guerra che domani compie un anno registra un altro giorno di pesanti bombardamenti sul Libano e sulla Striscia di Gaza con decine di vittime. Israele ora pensa a un’azione «più forte» contro la Siria. E per ricordare il 7 ottobre potrebbe partire l’attacco all’Iran
Vigilia di sangue Incerta la sorte del successore di Nasrallah. Campi profughi palestinesi sotto attacco
Beirut foto di Wael Hamzeh/Epa
Continuano i bombardamenti in quella che pare sempre di più una guerra tesa all’annientamento e alla distruzione fisica dei luoghi di Hezbollah, di Hamas in Libano e di quello che resta dei movimenti di resistenza palestinese nei 12 campi profughi del paese. Proprio ieri è stato colpito per la prima volta il campo di Beddawi, a Tripoli, nel nord est, in una zona non interessata dal conflitto fino a questo momento. Un drone israeliano ha infatti colpito l’appartamento di Said Attallah Ali, membro dell’ala militare di Hamas, uccidendo lui e altri tre membri della sua famiglia.
ANCORA BOMBE SU BEIRUT nella notte tra venerdì e sabato e durante la giornata di ieri, sempre sulla Dahieh, la periferia a sud di Beirut. Il presidente del consiglio esecutivo di Hezbollah, Hashem Safieddine (probabile successore di Nasrallah), è «irragiungibile» dalle prime ore di venerdì, quando un bombardamento violentissimo pare lo abbia preso nella Dahieh.
Nel pomeriggio ieri colpito Burj el Barajneh, quartiere di Beirut sud, e in serata una sede del comitato sanitario islamico, affiliato a Hezbollah, a Jiyeh, nella regione dello Chouf, a una ventina di chilometri da Beirut. Tre i morti e otto feriti, un primissimo bilancio in serata, ma non si hanno ancora i nomi. Non è la prima volta che Israele attacca personale medico e paramedico.
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Non era finito, anzi. Un anno da NetanyahuL’aviazione israeliana ha lanciato missili su Kfar Kila, Deir Mimas e Khiam a Marjeyoun, a Nabatiyeh el-Faouqa (Nabatiyeh) nel sud, a Taraya (Baalbek) nel nord est, solo per citare alcuni dei luoghi.
HEZBOLLAH HA RIVENDICATO invece un attacco alla caserma di Maale Golani alle 16 locali e, secondo le fonti israeliane, alcuni missili hanno colpito una palazzina a Deir el-Assad, nel nord di Israele, facendo delle vittime.
Un soldato della 36ma divisione dell’esercito israeliano è stato gravemente ferito nel sud del Libano, nell’offensiva di terra lanciata da Israele che non sta avendo i risultati dichiarati da
Netanyahu. Questo tipo di operazione, a differenza delle altre dove la superiorità di Israele è schiacciante, se non favorisce in numeri assoluti Hezbollah, rimane comunque un campo sul quale la milizia può certamente dire la sua, come avvenuto nel 2006, nell’ultima invasione israeliana del Libano durata un mese, nella quale Hezbollah costrinse Israele ad arretrare.
Che questo sia un momento in cui vengono ridefiniti tanto gli equilibri della regione quanto quelli interni, non è un mistero. C’è, assieme a tanta sofferenza, anche molto fermento. Gli avversari storici di Hezbollah si compattano, dunque, e il fronte della destra estrema cristiana, formato principalemente da Kataeb e Forze Libanesi, è più che mai vivo e che non vuole perdere questo appuntamento con la storia. C’è l’altro partito maggiore cristiano – il movimento patriottico libero, fondato dall’ex presidente Michel Aoun e ora guidato dal genero, Bassil – che è però alleato del partito-milizia sciita. I cristiani esprimono il capo dello stato.
Il Libano è uno stato multicentrico, in cui il potere è gestito secondo logiche nepoltistiche. Da due anni senza un presidente della repubblica, ago della bilancia di questa spartizione di potere, nel 2019 aveva visto, in occasione della più massiccia crisi economico-finanziaria della sua storia, migliaia di persone riversarsi in piazza contro una politica a gestione familiare.
MARWAN ABDALLAH, capo del dipartimento degli Affari esteri della Falange (questa la traduzione di Kataeb), partito dell’ultradestra cristiana nato nel 1936 e ispirato dal fascismo, ha confermato il momento di grande fermento. «Sono stato poco tempo fa a Bruxelles per un meeting con gli esponenti del Ppe per parlare del Libano e della situazione attuale. Ora facciamo fronte a questa emergenza, aiutando tutti gli sfollati cristiani del sud» ci dice e aggiunge che «la situazione a Beirut e in altre aree è ormai insostenibile con questo gran numero di sfollati.
Noi siamo in continuo contatto con le nostre comunità anche per ragioni di sicurezza e, se ci dovessero essere dei problemi, ci difenderemo».
«Quello che ci preme è l’attuazione della risoluzione 1701, il disarmo completo di Hezbollah e la fine della sua egemonia sul Libano, assieme alla fine dell’egemonia iraniana» ci dice Richard Kouyoumjian, capo degli Affari esteri e già ministro degli affari sociali delle Forze Libanesi.
LA QUESTIONE gira tutta sul nome del presidente della repubblica futuro, più che mai necessario adesso, ma soprattutto a guerra finita. Si torna a parlare di Joseph Aoun, capo di un esercito, quello libanese, pagato quasi interamente da Stati uniti e sauditi. E si pensa già a quando ci sarà una ricostruzione da fare e verranno sbloccati i soldi del Fondo monetario internazionale, promessi al Libano per uscire dalla crisi