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La crisi post-elettorale. Governo e opposizioni d’accordo solo nel bocciare la proposta di voto bis fatta da Lula. Per il resto piazze contrapposte su tutto. È chiaro ormai che la pubblicazione dei verbali ufficiali, chiesta da più parti a gran voce, non ci sarà

In Venezuela non c’è  soluzione. E Maduro va alla prova di forza Nicolás Maduro in conferenza stampa - Ap

Almeno su una cosa governo e opposizione concordano: la proposta del Brasile di ripetere le elezioni, dicono, è irricevibile. In realtà Lula aveva solo accennato a tale possibilità, indicando come alternativa anche la creazione di un governo di coalizione, magari accompagnata dal ritiro di tutte le sanzioni contro il Venezuela e un’amnistia generale.

NESSUNA SOLUZIONE, tuttavia, sembra al momento possibile. I conflitti di qualunque natura che possano sorgere in Venezuela «devono risolverli i venezuelani, con le loro istituzioni, le loro leggi e la loro costituzione», ha reagito Nicolás Maduro, ricordando che in Brasile, quando Bolsonaro aveva gridato ai brogli, «era stata la giustizia a decidere» e nessuno, tantomeno il Venezuela, si era intromesso. Ma i toni più duri il presidente li ha riservati, ovviamente, agli Stati Uniti (inizialmente a favore della proposta di Lula, per smarcarsi subito dopo), respingendo «in maniera completa e assoluta» la loro pretesa di «trasformarsi nell’autorità elettorale del Venezuela o di qualunque altra regione».

Non meno secco è stato anche il “no” di María Corina Machado, che ha definito la proposta come «una mancanza di rispetto»: «Andiamo a una seconda elezione e poi, se il risultato non va bene, a una terza, una quarta, una quinta? Finché l’esito non sia di gradimento di Maduro? Accetterebbero questo nei loro paesi?».

DALLA PROPOSTA di nuove elezioni ha preso le distanze anche López Obrador, il quale peraltro aveva già fatto un passo indietro rispetto al Brasile e alla Colombia – paesi confinanti con il Venezuela e dunque necessariamente più coinvolti -, annunciando di voler attendere, prima di qualsiasi altro passo, il pronunciamento del Tribunale Supremo di Giustizia sulla regolarità del processo elettorale. Una decisione, la sua, che, lascia presagire il riconoscimento della vittoria di Maduro anche in assenza della pubblicazione dei verbali.

Assai più difficile, benché non sia da escludere del tutto, sarà invece un passo analogo da parte di Lula, il quale, alla domanda sul riconoscimento di Maduro, ha risposto «ancora no»: il presidente, ha spiegato, «sa di dovere una spiegazione alla società brasiliana e al mondo». E lo ha ribadito anche il suo consigliere speciale Celso Amorim, pur escludendo qualsiasi «ultimatum»: senza la divulgazione degli atti di scrutinio, «se non ci sarà qualche accordo che renda possibile fare dei passi avanti, non credo che riconosceremo il governo».

IL PUNTO, insomma, è sempre quello: la pubblicazione dei verbali ufficiali dei seggi, che tuttavia, sembra ormai chiaro, non ci sarà. «Abbiamo il 100% delle scatole dei verbali e dobbiamo aprirle alla presenza di testimoni nazionali e internazionali. O forse anche le scatole sono state hackerate?», ha provocato Enrique Márquez, l’ex candidato dal passato anti-chavista sostenuto dal Pcv, il Partito comunista del Venezuela.

Ed è sulla mancanza di trasparenza che ha insistito anche il gruppo di quattro esperti dell’Onu, invitati dal governo come osservatori, nel loro rapporto premilinare sulle elezioni del 28 luglio: un’altra bocciatura del processo elettorale dopo quella del Centro Carter.

La risposta di Maduro non si è fatta attendere, attraverso l’annuncio di una riforma delle leggi elettorali che impedisca, tra l’altro, proprio l’entrata nel paese di missioni «spazzatura» come quelle del Centro Carter e dell’Onu. Ma il governo è andato anche oltre, puntando a ridurre in maniera sempre più decisa gli spazi di manovra delle opposizioni: dalla presentazione di un insieme di disposizioni per combattere «la propagazione dell’odio, del terrorismo e delle espressioni fasciste» alla proposta di regolamentazione dei social network, fino all’approvazione di una legge che impone una regolamentazione più severa alle ong attive nel paese.

UN NUOVA PROVA DI FORZA da parte sia del governo che dell’opposizione era intanto prevista ieri per le strade del Venezuela e non solo: da una parte la Grande protesta per la verità, la manifestazione globale dell’opposizione organizzata in 380 città del mondo, compresa Roma (ma anche Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo); dall’altra la Grande marcia nazionale lanciata dal governo in un centinaio di città del paese