L'AZIONE DI HAMAS UNISCE LE FAZIONI PALESTINESI. Quattro miliziani del partito di Dio sono rimasti uccisi dagli israeliani nel Sud del paese
L’inevitabile ripercussione sul Libano della guerra Hamas-Israele si sta facendo sentire. Ieri pomeriggio le Brigate al-Quds del Jihad Islamico hanno rivendicato un attacco e un’incursione in territorio israeliano dal sud del Libano, presso Dhayra. Due degli incursori sono stati uccisi certamente dalle forze israeliane, che hanno registrato 7 feriti e che avevano già annunciato il rafforzamento delle linee dall’altro lato della Linea Blu tra i due paesi presidiata dall’Unifil. Hezbollah aveva nel pomeriggio dichiarato di essere estraneo all’azione, poi rivendicata dalle Brigate.
Il partito armato libanese ha però poi in seguito fatto sapere che quattro dei sui uomini sono caduti in una delle numerose offensive aeree dell’esercito israeliano in territorio libanese.
Continuano intanto gli scontri e il numero dei feriti e delle vittime è incerto. Le aree da entrambi i lati sono state sgomberate. Le montagne bruciano in seguito agli attacchi aerei israeliani. Domenica mattina presto c’era stato uno scambio di artiglieria nelle Fattorie Sheba’a occupate da Israele nel 1967 e da allora contese da Libano, Siria e Israele. Hezbollah aveva lanciato cinque razzi che non avevano colpito obiettivi militari, né civili, a cui era seguita una contenuta e simile controffensiva israeliana, in un’azione tutto sommato simbolica per entrambi.
Il messaggio adesso è che i palestinesi in Libano sono pronti. Le fazioni opposte ad Hamas – si sono registrati scontri a luglio e agosto nel campo di Ain l-Helueh – come Fatah mettono da parte le divergenze per questa operazione «eroica».
In Libano la condizione dei palestinesi nei 12 campi è complessa. Dalla Nakba (1948), l’esodo palestinese nell’anno della fondazione di Israele, che ha impedito il ritorno dei profughi fino ad oggi, i circa 450mila palestinesi registrati in Libano vivono restrizioni che impediscono loro l’integrazione nel tessuto libanese: non possono arrivare a posizioni sociali apicali, avere la cittadinanza, avere permessi per riparare le infrastrutture nei campi. Ciò impoverisce, secondo l’Unrwa, oltre il 93 per cento dei palestinesi rifugiati nel paese.
La mancata integrazione è stata giustificata dal fatto che essendo il Libano un paese confessionale e i palestinesi in larghissima parte musulmani, ci sarebbe stato uno sbilanciamento della politica interna che avrebbe destabilizzato il piccolo paese di appena dieci km quadrati e circa 5 milioni di abitanti.
C’è una giustificata paura di ritrovarsi catapultati nella guerra Hamas-Israele durante il quarto anno di una crisi che ha prosciugato i conti bancari dei libanesi, svalutato la moneta fino a picchi del 200 per cento, allargato la forbice della diseguaglianza sociale e aumentato la povertà multidimensionale nel paese. Oltre a quella economica, il Libano vive una profonda crisi politica, con un governo ad interim nonostante le elezioni del maggio 2022 e senza il presidente della repubblica, dopo la fine del mandato di Aoun un anno fa. È questo infatti il nodo da sciogliere: trovare un presidente che metta d’accordo gli attori politici principali. Fino ad allora, sarà impossibile attuare le riforme necessarie che farebbero arrivare gli aiuti del Fondo monetario internazionale i stanziati.
«Le truppe di pace mantengono le posizioni e sono in allerta. Al momento parliamo con le parti per una de-escalation» ha diciarato Tenenti, portavoce dell’Unifil.
La presidente Meloni ha ieri in una telefonata al suo omologo Mikati assicurato la vicinanza e «la volontà dell’Italia di continuare a contribuire alla sicurezza e alla stabilità del Libano in questo delicato frangente».
Il coinvolgimento diretto di Hezbollah rappresenta una minaccia per l’integrità del Libano in un momento così delicato per il paese e stravolgerebbe la natura della guerra con conseguenze impredicibili