COMMENTI. Ecco un trafficante «nostro» interlocutore a Tripoli: è il ministro degli Interni Trabelsi, che ha incontrato Piantedosi. Per Onu, Usa e Amnesty è «tra i peggiori violatori di diritti umani»
Tripoli, un gruppo di migranti intercettati e sorvegliati dalla polizia libica - foto Ap
In Libia sappiamo chi manovra il traffico di migranti e gestisce i campi di tortura, basta sfogliare “Libyagate”, libro-inchiesta fresco di stampa di Nello Scavo e di un gruppo di giornalisti italiani e stranieri. Basta guardare in casa nostra per saperlo, non c’è bisogno come fa il governo di tirare in ballo i mercenari russi, trincerati in Cirenaica, della Wagner – che ieri secondo l’Ansa, hanno messo una taglia sul ministro della Difesa Crosetto, una mossa killer, tanto incendiaria quanto provocatoria da respingere al mittente.
Per capire davvero chi manovra il traffico di migranti, chiediamoci piuttosto chi sono i nostri interlocutori a Tripoli per gestire le migrazioni. Uno di questi è il ministro degli Interni Emad Trabelsi, che il 26 febbraio incontrava a Roma il suo omologo Piantedosi: il 3 marzo Trabelsi è stato brevemente arrestato all’aereoporto di Parigi Charles de Gaulle. Sembra che avesse mezzo milione di euro in contanti, ma soprattutto figurava in una lista di indagati per traffico di migranti, come riportato anche in un’interrogazione parlamentare del deputato di Sinistra italiana Marco Grimaldi.
CAPO DELLE MILIZIE di Zintan, Trabelsi era stato nominato a novembre ministro degli Interni dal premier Ddeibah ma il suo nome figura in più di un rapporto internazionale dell’Onu, del dipartimento di stato americano e di Amnesty International come «uno dei peggiori violatori di diritti umani e del diritto umanitario internazionale». In combutta – leggendo “Libyagate” – anche con il famigerato comandate libico Al Milad, conosciuto con il nome di battaglia di Bija, capo delle guardia di costiera di Zawihah, uno dei più spietati contrabbandieri di esseri umani, prima arrestato e poi riabilitato dal governo libico.
Ma quella di Tripoli forse è una strategia raffinata: chi meglio di un ex trafficante che fa il ministro per trattare con altri trafficanti? Le ondate incontrollate di migranti dalla Libia sono iniziate con la caduta di Gheddafi nel 2011 voluta da Francia, Usa e Gran Bretagna. I mercenari russi della Wagner, accusata da Roma, allora neppure esisteva. In Tripolitania, poi, non c’è la Wagner ma ci sono le milizie locali e quelle della Turchia che hanno il controllo sulle motovedette della guardia costiera fornite dall’Italia. In Cirenaica i più influenti sono il generale Khalifa Haftar e gli egiziani che qui scaricano migliaia di poveri.
Incolpare la Wagner è un modo per giustificare un governo, smentito per altro dai rapporti più recenti dell’intelligence, che ha appena stretto accordi sul petrolio con Tripoli e nulla dice di campi di concentramento e tortura con dentro almeno mezzo milione di persone. Inoltre risulta che la maggioranza degli sbarchi oggi arrivi dalla Tunisia – dalla frontiera «porosa» con la Libia – sull’orlo del fallimento finanziario, dove il presidente Saied giustifica i fallimenti suoi e dei predecessori attaccando i migranti dal Sahel.
FORSE IL NOSTRO GOVERNO puntando il dito sulla Wagner intende sollecitare, in contemporanea con la guerra in Ucraina, un intervento dell’Alleanza anche nel Mediterraneo per fermare le rotte migratorie. Un’ipotesi, per altro non tanto priva di fondamento visto che in Italia ci sono 64, costose assai, basi militari Usa e Nato e con mezzi navali e di tracciamento sofisticati.
Il ritorno della Russia in Libia con la Wagner nel 2018, chiamata dal generale Khalifa Haftar, è stata una delle conseguenze della fine di Gheddafi nel 2011: Usa e Nato (Italia compresa), insieme all’Europa, hanno lasciato che il Paese cadesse nell’anarchia e senza alcun controllo alle frontiere, con una spaccatura tra Tripolitania e Cirenaica che persiste da anni. Nel 2019 l’offensiva contro Tripoli dell’uomo forte della Cirenaica, il generale Haftar, si è risolta in un fallimento perché il governo Sarraj, dopo avere visto respingere le sue richieste di aiuto militare rivolte a Italia, Usa e Gran Bretagna, è stato sostenuto dalla Turchia di Erdogan, oggi presente con istruttori militari e mercenari. Si è ripetuto lo schema della Siria e dell’Azerbaijan, quando l’Occidente ha lasciato che fosse Erdogan a contrastare Putin e poi a mettersi d’accordo con Mosca per la spartizione delle zone di influenza.
LA PRESENZA DELLA WAGNER in Libia è comunque strategica per i russi, a metà strada tra Siria e Africa subsahariana dove i mercenari di Evgheni Prighozin, l’ambizioso e violento amico di Putin, sono schierati anche in Mali, Repubblica Centrafricana, Sudan e Burkina Faso, con un modello economico predatorio: sicurezza in cambio di petrolio, miniere d’oro e metalli rari. Per Mosca i miliziani possono essere utili a gestire il conflitto in Europa e assicurarsi il supporto degli stati africani anche all’Onu.
Ma in Cirenaica la Wagner è arrivata con un accordo tra Mosca, Haftar e il beneplacito del raìs egiziano Al Sisi che ha ottimi rapporti con Mosca e in Libia è alleato con gli Emirati arabi uniti, sotto lo sguardo non disinteressato della Francia. Dopo l’insuccesso dell’offensiva contro Tripoli, i mercenari della Wagner hanno protetto la ritirata delle forze di Haftar ed eretto una serie postazioni militari nella Sirte, sono rimasti nei siti petroliferi in Cirenaica e in Fezzan con una presenza stimata intorno alle 1.500 unità. In particolare il gruppo Wagner sta lavorando come fa da anni la Russia per riportare al potere il figlio di Gheddafi Seif al-Islam. Ma con i russi è spesso così: c’è un passato che non passa