Faenza 26 01 2022
Altri annunci sulla circonvallazione nord. E se invece si facesse uno studio complessivo sulla mobilità nel territorio ?
(Magari all'interno del Piano Urbanistico Generale)
Tornano di nuovo agli onori delle cronache annunci sulla circonvallazione a nord di Faenza. Se ne è parlato nel 2009 - 2010 nel Piano Strutturale Comunale Associato, nel PRIT, ma non è mai stato preso in seria considerazione per diversi motivi: innanzitutto per i costi (“un tragitto tra i 5 e i 10 km, per la metà su strade da adeguare, con un minimo di due nuovi ponti, e possibili tratti in galleria…”); per il consumo di ulteriore suolo agricolo; perché è una scelta di incentivazione ulteriore del traffico, privato e logistico, solo su gomma.
Opportunamente, alcuni commenti sulla stampa evidenziano i nodi dell'impatto economico e ambientale.
Il citato PSC dell'URF, prevedeva un reticolo di tante nuove strade, oggi con l'avvio della predisposizione del Piano Urbanistico Generale (PUG) sarebbe necessaria una revisione e un adeguamento alle effettive esigenze, anche tenendo conto delle indicazioni contenute nel Piano Urbano per la Mobilità sostenibile (PUMS).
A questo proposito, invece che uno studio su una ipotetica circonvallazione nord, il PUG dovrebbe approfondire tutte le migliori soluzioni per una mobilità sostenibile, a partire da alcune ipotesi di lavoro già prese in considerazione in diversi piani e strumenti programmatori (PUMS, Piano strategico 2030 dell'URF, ecc.). Ne indichiamo alcune:
Misure per eliminare, o quanto meno fortemente ridurre, il traffico pesante nel centro abitato, a questo fine nel PUMS alcune misure sono previste (come un servizio di consegna merci nel centro storico, con piccoli mezzi elettrici e a basso impatto) ma inoltre, vanno stabilite misure per evitare che troppi mezzi pesanti transitino sulla via Emilia verso le zone industriali, in particolare sul cavalcavia, andranno quindi previste misure di limitazione al traffico pesante, indirizzandolo invece verso l'uso dell'autostrada.
Progetto bandiera #1 - Tram treno, inserito nel Piano strategico 2030, che valuta la fattibilità di “una rete metropolitana di superficie, con collegamenti intermodali con altre linee di trasporto pubblico locale sull’asse Brisighella – Granarolo, coinvolgendo attivamente imprese e altri attori del territorio. Vi è una forte polarità di flussi di spostamento sull’asse - lungo 35 chilometri - che da Brisighella San Cassiano conduce a Granarolo, attraversando il centro di Faenza e passando dal casello autostradale”.
Il ventilato progetto delle F.S. di uno svincolo ferroviario da Forlì verso Ravenna, che prevede anch'esso un nuovo attraversamento del fiume Lamone, avrebbe il pregio di spostare su ferro una parte del trasporto di merci e potrebbe riaprire l'ipotesi di uno scalo merci nella zona naviglio.
In ogni caso si tratta di ipotesi andrebbero comparate con tutte le altre variabili territoriali, tenendo conto che, in particolare le ultime due, hanno la necessità di un coinvolgimento delle F.S. che non avrebbe tempi brevi.
Proprio per questo è necessario attivarsi subito. Ma non con semplici annunci, con una visione strategica, da mettere a punto con una vera partecipazione di tutti gli attori delle comunità locali, delineando poi una serie di azioni, alcune delle quali possono essere attivate subito, altre con tempi più lunghi.
Dato che l'annuncio attuale è semplicemente il deposito di una mozione, che dovrà essere poi discussa dal Consiglio Comunale, invitiamo, in particolare le forze politiche della maggioranza, ma anche tutti i Consiglieri, a valutare queste nostre considerazioni. Evitando di farsi l'illusione che tutte le ipotesi annunciate possono essere finanziate dai fondi del PNRR.
Circolo Legambiente Lamone Faenza
Non ci piace il termine giochi, in questo caso. E’ uno dei passaggi più alti nella vita della Repubblica, l’elezione della/del Presidente. Ma lo spettacolo di questi mesi evoca giochi pesanti, molto al di sotto della solennità necessaria. Senza retorica, solennità. Perché la/il Presidente sarà custode e interprete della Costituzione. Per mesi, sul piatto del gioco è stato presente il nome di chi, un tempo governante, disse Governare con questa Costituzione è un inferno. Ha fatto lui un passo indietro, ma i partiti che lo hanno proposto giocheranno, da domani, un loro pesante gioco. Inoltre, tutti i Partiti stanno mostrando grandi difficoltà, nell’individuare una scelta.
Con un gioco, a nostro avviso pericoloso, di confusione fra ruolo di un Presidente del Consiglio e ruolo di un Presidente della Repubblica.
Vedremo.
Anche di questo abbiamo parlato, il 22 gennaio, con i Parlamentari del centrosinistra.
Sono stati incontri che valutiamo positivamente, perché non formali. L’interazione è stata reale e con un tempo a disposizione di non breve durata.
Siamo partiti dalla legge elettorale. I Parlamentari concordano con noi sulla necessità di una nuova legge elettorale proporzionale, con soglia più o meno bassa. Collina insiste su una soglia non bassa, per la vecchia questione della governabilità. Pagani auspica personalmente il proporzionale, in attesa che il suo Partito decida in tal senso, cosa che non è ancora avvenuta. Decisamente favorevole al proporzionale Errani. Ci è parso di capire con soglia bassa, per dare quindi peso alla rappresentanza. L’attuale Rosatellum è un disastro - Errani concorda - aggravato dal taglio del numero dei Parlamentari. Su questo noi abbiamo insistito, criticando la scelta di PD e LEU di sostenere il taglio. A proposito di governabilità che non ha dato, in questi anni, buona prova.
La seconda questione affrontata, l’Autonomia differenziata. In molti nostri documenti abbiamo spiegato le ragioni del nostro NO. L’Emilia Romagna ha rincorso la Lega, allontanandosi dalla propria storia, che ha fatto coesistere buona amministrazione e solidarietà nazionale. La riforma del Titolo V, a suo tempo, ha dato vita a contraddizioni.
Su questo punto, registriamo la piena approvazione di Collina e Pagani per la scelta di maggiore Autonomia della nostra Regione, confidando nel PNRR per il superamento del divario ancora molto pesante fra Nord e Sud. Errani critica con fermezza la scelta di Bonaccini, e ricorda che la buona sanità nella Regione Emila Romagna è stata realizzata con la riforma del 1978 di Rosi Bindi. Regionalizzare Sanità e Scuola sarebbe un vulnus all’unità della Repubblica, Alla nostra preoccupazione che l’autonomia differenziata, inserita nella legge finanziaria, possa essere non più discutibile, Errani rassicura. La questione è stata collegata come intenzione, ma, se procede, dovrà diventare materia parlamentare. Di discussione pubblica, chiediamo noi. Errani concorda.
Ultimo tema, il Presidente della Repubblica. Troviamo nei Parlamentari da noi ascoltati preoccupazione e, non verremmo esagerare, anche un certo sconcerto. Molto accadrà, di imprevedibile, nelle prossime ore. E’ condiviso l’identikit. Personalità di altissima levatura morale e civile. Autonoma nelle decisioni da prendere. Sottolineiamo che nessun nome sentito dai Partiti, o dintorni, ha le caratteristiche, anche di esperienza politica, di Sergio Mattarella.
In ogni caso - su questo i Parlamentari insistono e concordano - con il nuovo Presidente tutto potrà cambiare, in positivo o in negativo, a partire dalla legge elettorale.
Hanno partecipato agli incontri Mirka Bettoli, Vittorio Bardi, Silvano Martini, del Comitato di Faenza, con Stefano Collina nella sede del PD di Faenza. Presente anche Maria Paola Patuelli
All’incontro nella sede del PD di Ravenna con Vasco Errani e Alberto Pagani, erano presenti Stefano Kegljevic, presidente del Comitato di Ravenna e rappresentante di LeG, Angelo Morini, presidente Associazione Mazziniana e segretario del Movimento Federalista, sezione di Ravenna, Giovanni Piccinelli, di Cervia, Antonella Piraccini, vicepresidente del Comitato di Ravenna e Maria Paola Patuelli.
I Parlamentari concordano con la nostra richiesta di mantenere anche in futuro momenti di confronto. Invieremo a loro direttamente i documenti che produrremo, a livello nazionale, regionale e locale, che fino ad oggi non hanno o ricevuto o personalmente visionato.
Maria Paola Patuelli
portavoce Coordinamento per la Democrazia Costituzionale della provincia di Ravenna
Tanti dubbi sul piano, appena partito con il bando da 3,7 miliardi per portare connessioni gigabit. Il ruolo del pubblico dovrebbe essere più chiaro, a tutela dell'interesse collettivo. Servirebbe una gestione unica invece che frammentata. Lo scrive il segretario confederale della Cgil su Agendadigitale.eu
Sabato 15 gennaio è stato dato il via al bando del Piano Italia a 1 Giga, 3,7 miliardi per coprire 7 milioni di indirizzi civici. È il primo dei maxi bandi da quasi 6,7 miliardi totali che insieme al Piano per il 5G (2 miliardi) e ai Piani Scuola (261 milioni) e Sanità connessa (501,5 milioni) e punta a garantire entro il 2026 una velocità di connessione delle reti fisse ad almeno 1 Gbit/s.
Italia gigabit, piano ambizioso
Si tratta di un piano ambizioso, che punta ad anticipare addirittura di quattro anni i tempi previsti dal Digital Compass e a dare una spallata a uno dei grandi nodi della modernizzazione del nostro Paese. Si chiede al mercato di mettere una “tesserina” ad un puzzle il cui disegno però non è sufficientemente chiaro e definito. E questo non è accettabile.
Il cavo, in sé, è inerte. La “posa”, in sé, è affare semplice e alla portata di tante imprese, grandi, medie o piccole. Non è questo il tema. Il cuore del problema sono l’architettura di rete, la gestione delle connessioni e la necessità di produrre innovazione attraverso investimenti che, per loro natura, non possono che essere pensati su scala larga. Voglio dire che non si sta costruendo una infrastruttura qualsiasi, né l’obiettivo della costruzione della rete in fibra può essere quello di velocizzare la spesa o sostenere le piccole imprese, tanto meno su questo si misura la capacità di “aprire mercati fin qui protetti”.
Del resto non è, questa, una prassi in uso nel resto d’Europa. Il sistema di tlc ha sempre retto la competitività interna sulla base del tasso di innovazione che gli operatori hanno saputo mettere in campo. È questo che chiedono gli utenti. Significa che sarà necessario collegare la rete a infrastrutture tecnologiche, e che ci sarà necessità di investimenti e aggiornamenti continui.
I dubbi della Cgil sul piano Colao “gigabit”
Chi investirà in innovazione tecnologica nelle aree meno remunerative? Avremo mai una rete “pensante” a Milano come a Enna? Ecco, i dubbi principali vengono da qui. Dal fatto, cioè, che quello del Ministro Colao sembra essere un piano di opere pubbliche e non di trasformazione digitale del Paese.
Rete unica
Siamo sicuri che sarà indifferente, a questo proposito, capire se l’Italia sceglierà la strada saggia della rete unica oppure no?
Siamo certi che il modello italiano si connoterà come tripartita tra una rete nazionale, una ausiliaria e, infine quella degli emarginati? Il bando invece va esattamente in questa direzione, riferendosi a 15 lotti e stabilendo che le imprese che partecipano potranno aggiudicarsene un massimo di otto. E questa è la prima grande questione, perché la fibra sarà anche parte integrante dello sviluppo del sistema 5G e questa possibile disomogeneità di composizione rischia di non semplificare ma, al contrario, di aggiungere difficoltà.
Il ruolo del pubblico
Poi c’è un’altra riflessione da fare: con questa operazione stiamo trasferendo risorse pubbliche ai privati per fare tratti di infrastruttura (chi si aggiudicherà la commessa avrà diritto a incassare fino al 70 percento delle spese sostenute), ma questo avviene nello stesso momento in cui Cdp sembra aver deciso di affrontare il ragionamento riguardante la costruzione della rete unica.
Cosa succederà una volta che gli operatori avranno realizzato con denaro pubblico porzioni di infrastruttura, diventandone proprietari, le rivenderanno allo Stato? Il rischio è evidentemente quello di avere un doppio fallimento. Il primo tecnologico, perché 10, 20 o 100 piccole reti non fanno l’infrastruttura di un Paese; il secondo riguarda la gestione dei conti e delle risorse.
Il tutto accade mentre non è ancora chiaro quale sarà il destino di Tim, il nostro (ex?) “incumbent” nazionale.
Aumento del digital divide
Credo che avere chiarezza su questi punti serva al Governo e al Paese. Per questi motivi non convince l’impianto presentato, perché c’è bisogno, soprattutto in questo settore, di economie di scala come presupposto per reggere la prova degli investimenti e dell’innovazione.
Al contrario, l’impostazione data dalla costruzione del bando spingerà i soggetti che parteciperanno alla gara a fare due conti, selezionando i lotti sulla base del massimo del profitto che immagineranno di ottenere. È evidente dunque che guardando anche semplicemente alla geografia del Paese alcuni lotti saranno più appetibili, altri meno, come ha dimostrato quanto è accaduto con il bando per il Piano Isole minori, che è andato deserto.
Anche l’idea stessa che “…resta inteso che in alcune aree rurali o a scarsa densità di popolazione, alcuni prodotti di accesso che richiedono costosi interventi sull’infrastruttura sovvenzionata non altrimenti previsti (ad esempio la co-locazione in punti di distribuzione intermedia) potranno essere offerti soltanto in presenza di una domanda ragionevole da parte di un operatore terzo…”, dimostra che dinnanzi ad una logica puramente mercatista, il rischio di continuare a condannare l’Italia ad una doppia velocità rimane immutato.
Nelle dichiarazioni del Governo il Piano in esame “intende favorire lo sviluppo di reti a banda ultralarga nelle restanti aree del Paese in cui si registra carenza di investimenti da parte degli operatori a causa di una minore redditività degli stessi rispetto ad aree più profittevoli”.
Temiamo, per le ragioni fin qui espresse, che questo difficilmente riguarderà le zone del Paese a minore densità di popolazione o geograficamente più disagiate, alimentando quel digital divide che non è più accettabile.
Così come siamo convinti che il sistema di telecomunicazioni nel nostro Paese non può servire solo a promuovere spesa, o puntare esclusivamente a favorire la concorrenza. Non può essere questo il nodo centrale di tutta l’operazione.
Serve una gestione unica
Del resto, osservando il modo in cui funzionano i grandi sistemi infrastrutturali del Paese, da Autostrade a Ferrovie italiane, vediamo che l’impostazione data va in direzione opposta. Lì la gestione è unica. Vi è una dimensione generale riguardo alla manutenzione così come alla tecnologia.
Noi invece stiamo trattando la rete di telecomunicazione andando per tratti, come per le opere pubbliche “inerti”, ignorando il fatto che stiamo parlando della struttura portante dell’intero impianto contenuto nelle missioni del Pnrr e dunque indispensabile per il rilancio del Paese. Il che pone il rischio di avere, a seconda dell’operatore, un avanzamento o un arretramento di tratti della rete, una disomogeneità che nel tempo mostrerà tutta la fragilità di questa operazione.
L’obiettivo da realizzare è quello di modernizzare il Paese, renderlo più efficiente, migliorare la vita di tutti senza dimenticare che questa può essere l’occasione di ripensare un grande settore la cui crisi è di origine politica e non industriale. Per questo siamo fermamente convinti che un’operazione di questo tipo non si possa fare senza avere chiari i termini del riassetto di Tim e di Open Fiber. Si torna al punto di partenza, dunque. E ci sembrerebbe anche una scelta opportuna.
* Emilio Miceli, segretario confederale Cgil
Articolo pubblicato su Agendadigitale.eu
Incontriamo i Parlamentari eletti nella nostra circoscrizione.
Prima che abbiano inizio le votazioni per il Presidente della Repubblica.
Perché?
Quale il significato dell’incontro che abbiamo chiesto e ottenuto dai Parlamentari del centrosinistra eletti nella nostra circoscrizione?
Le ragioni sono semplici.
La prima. Negli ultimi anni abbiamo inviato, come Coordinamento per la Democrazia Costituzionale nazionale e dell’Emila Romagna lettere aperte ai Parlamentari e ai Governi, consegnandoli anche nelle mani del nostro Prefetto. Non abbiamo avuto riscontri.
La seconda. E’ sempre più evidente la lontananza della cittadinanza italiana dalle Istituzioni. Il dato clamoroso e incontrovertibile dell’astensionismo lo attesta. Votare è inutile, lo pensa una quasi maggioranza del popolo italiano. E anche fra di noi, non astensionisti, serpeggia un dubbio. Ha senso questo incontro?
La terza. Dare il nostro significato a questo gesto. A nostro avviso la prova data da chi ha abitato il Parlamento è stata da molto tempo assai al di sotto di quanto richiesto dalla Costituzione, che ha fondato una Repubblica parlamentare. Da tempo, invece, il Parlamento è stato silente, o quasi. Decreti legge e voti di fiducia imposti lo hanno silenziato. I Parlamentari hanno subito. Non dovevano subire.
Continuiamo però a pensare che le Istituzioni repubblicane non vadano ignorate e che il popolo non astensionista di cui facciamo parte, qualora non abbia altrimenti risposte, li debba interpellare direttamente. Con incontri in presenza, in questo caso, con volti e parole dal vivo.
Fra il 21 e il 24 gennaio incontreremo Stefano Collina, Vasco Errani, Alberto Pagani.
Porteremo loro lettere e documenti che a suo tempo non ebbero risposta. La nuova legge elettorale che fine ha fatto? L’Autonomia differenziata è da noi severamente criticata. Cosa ne pensate?
Inoltre, porteremo quello che a nostro avviso deve essere l’identikit di una/un Presidente all’altezza della nostra Costituzione. Politologi, giuristi e costituzionalisti, con numerosi interventi pubblici, hanno dato chiare indicazioni, Costituzione alla mano.
Il fatto che da mesi, ormai, si discuta sulla candidatura di Berlusconi alla massima carica dello Stato è un segnale che desta allarme. Possibile che nella scena politica italiana debba avere corso un simile spettacolo?
La delegazione che incontrerà i Parlamentari è composta da cittadine e cittadini dei Comitati di Bagnacavallo, Cervia, Faenza, Lugo, Ravenna.
Informeremo la cittadinanza sull’esito degli incontri.
Maria Paola Patuelli
Portavoce del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale della provincia di Ravenna
Ravenna, 18 gennaio 2022
La lettera aperta ai grandi elettori. Tre ex presidenti della Corte Costituzionale e centinaia di giuristi e intellettuali: la candidatura di Berlusconi al Quirinale è "un’offesa alla dignità della Repubblica e di milioni di cittadini italiani"
La Fondazione Basso ha promosso un appello (redatto da Lugi Ferrajoli, Gaetano Azzariti e Franco Ippolito), rivolto ai grandi elettori, sulla candidatura di Silvio Berlusconi alla Presidenza della Repubblica.
Il testo è stato già sottoscritto da tre ex presidenti della Corte costituzionale (Valerio Onida, Gustavo Zagrebelsky, Gaetano Silvestri), da molti autorevoli giuristi e costituzionalisti (tra cui Roberto Bin, Paolo Caretti, Lorenza Carlassare, Mario Dogliani, Riccardo Guastini, Francesco Pallante, Roberto Romboli, Massimo Villone, Mauro Volpi, Vladimiro Zagrebelsky, Roberto Zaccaria), da filosofi della politica (tra cui Giacomo Marramao, Marco Revelli, Nadia Urbinati), da personalità della cultura (tra cui Dacia Maraini, Carlo Ginzburg).
Ecco il testo:
Il Presidente della Repubblica deve essere espressione dell’«unità nazionale», come richiede l’articolo 87, 1° comma della Costituzione. È garante di questa Costituzione e deve assicurare fedeltà ad essa come impone l’articolo 91.
L’ufficio di Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica, come è preteso dall’articolo 84, 2° comma. Egli presiede il Consiglio Superiore della Magistratura a garanzia dell’autonomia e indipendenza dell’ordine della magistratura da qualsiasi altro potere, come è scritto negli articoli 87 e 104.
Silvio Berlusconi, protagonista di uno scontro che per lunghi anni ha diviso il nostro Paese, già esponente della loggia P2 che aveva come fine l’instaurazione in Italia di un’altra Repubblica, titolare tuttora di un vistoso conflitto di interessi, condannato per gravi reati, prosciolto per prescrizione da delitti di corruzione e tuttora imputato in procedimenti penali, non ha i requisiti per poter svolgere le funzioni di Capo dello Stato.
Riteniamo pertanto un’offesa alla dignità della Repubblica e di milioni di cittadini italiani il fatto che venga candidato a Presidente della Repubblica.
Roma, 17 gennaio 2022
Hanno aderito:
Maria Fausta Adriani, Vittorio Agnoletto, Fabio Alberti, Alessandra Algostino, Mario Agostinelli, Stefano Anastasia, Valerio Aprea, Maurizio Acerbo, David Armando, Franco Astengo, Gaetano Azzariti, Luca Baccelli, Francesco Baicchi, Maria Vittoria Ballestrero, Mauro Barberis, Fabrizio Barca, Laura Barile, Antonella Barina, Vincenzo Barnaba, Elena Basso, Paola Basso, Sofia Basso, Francesca Barzini, Vittorio Bellavite, Sergio Bellucci, Antonella Bellutti, Giovanni Benzoni, Myriam Bergamaschi, Irene Berlingò, Mario Beschi, Piero Bevilacqua, Anna Maria Bianchi, Roberto Bin, Italo Birocchi, Michelangelo Bovero, Marco Brigaglia, Massimo Brutti, Romeo Bufalo, Giovanna Caggia, Antonello Calore, Roberta Calvano, Antonio Cantaro, Piero Caprari, Francesco Carchedi, Paolo Caretti, Devino Caregnato, Lorenza Carlassare, Paolo Carnevale, Thomas Casadei, Elisabetta Catenacci, Adolfo Ceretti, David Cerri, Furio Cerutti, Irene Cervellera, Silvia Chiatante Corsi, Maurizio Chierici, Antonello Ciervo, Nicola Colaianni, Amalia Collisani, Luigi Condorelli, Giancarlo Consonni, Paolo Corsini, Pietro Costa, Giuseppe Cotturri, Andrea Deffenu, Stefano Deliperi, Raffaele De Leo, Roberta De Monticelli, Giovanna De Sensi, Francesco De Vanna, Enrico Diciotti, Paolo Di Lucia, Francesco Di Matteo, Piero Di Siena, Mario Dogliani, Francesco Donfrancesco, Giannina Dore, Angelo D’Orsi, Alessandra Facchi, Anna Falcone, Maria Fano, Fiorenzo Fantaccini, Gianni Farneti, Tommaso Fattori, Paolo Favilli, Luigi Ferrajoli, Alessandro Ferrara, Maria Rosaria Ferrarese, Roberto Ferrucci, Francesca Fici, Mara Filippi Morrione, Roberto Finelli, Mario Fiorentini, Carlo Fiorio, Domenico Gallo, Luigi Ganapini, Olivia Ghiandoni, Alfonso Gianni, Giovanni Giannoli, Carlo Ginzburg, Lisa Ginzburg, Chiara Giorgi, Elisa Giunchi, Enrico Giusti, Alfiero Grandi, Dino Greco, Riccardo Guastini, Maria Pia Guermando, Maria Teresa Iannelli, Franco Ippolito, Pino Ippolito Armino, Giulio Itzcovich, Antonio Jovene, Francesca Koch, Maria Lalatta Costerbosa, Rossella Latempa, Raniero La Valle, Cristina Lavinio, Marina Leone, Maria Concetta Liberatore, Massimo Loche, Anna Loretoni, Mario G. Losano, Claudio Luzzati, Cristiana Mancinelli Scotti, Dacia Maraini, Nicoletta Maraschio, Fabio Marcelli, Valeria Marcenò, Laura Marchetti, Giacomo Marramao, Paola Marsocci, Eleonora Martelli, Maria Antonella Martelli, Antonio Marturano, Luca Masera, Ignazio Masulli, Lorenzo Mattotti, Silvio Mazzarese, Tecla Mazzarese, Ezio Menzione, Gian Giacomo Migone, Marino Missirini, Sara Modigliani, Giancarlo Monina, Tomaso Montanari, Andrea Mulas, Paolo Napoli, Luigi Narducci, Hannà Nassisi, Cinzia Niccolai, Vito Noviello, Valerio Onida, Daniela Padoan, Paola Paesano, Francesco Pallante, Marina Pallottini, Massimo Pàlmera, Giovanni Palombarini, Paola Palombaro, Maria Pia Palombini, Ilaria Minio Paluello, Francesco Pardi, Elena Pariotti, Rita Paris, Paola Parolari, Francesca Paruzzo, Valentina Pazé, Rossano Pazzagli, Barbara Pezzini, Pierluigi Pedretti, Vera Pegna, Livio Pepino, Enrico Peyretti, Attilio Pisanò, Tamar Pitch, Piero Pollastro, Pier Paolo Portinaro, Lucia Re, Silvia Rea, Adrian Renteria Diaz, Giuseppe Ugo Rescigno, Eligio Resta, Marco Revelli, Francesco Riccobono, Salvatore Ritrovato, Nicola Riva, Roberto Romboli, Graziella Rumer Mori, Andreina Russo, Giuseppe Salmè, Mariuccia Salvati, Vittorio Salvatore, Maria Cristina Sangelantoni, Maria Adelaide Sanna, Valia Santella, Emilio Santoro, Giuseppe Saponaro, Gino Satta, Maria Teresa Savio Hooke, Aldo Schiavello, Gaetano Silvestri, Paolo Solimeno, Alessandro Somma, Maria Stiffoni, Rita Svandrlik, Manuela Tatti, Alessandra Tempesta, Vito Teti, Persio Tincani, Walter Tocci, Gianni Tognoni, Graziella Tonon, Fausto Tortora, Franco Toscani, Gabriella Turnaturi, Nadia Urbinati, Federica Vacca, Roberta Vacca, Silvio Vacca, Enzo Varano, Luigi Vavalà, Guido Viale, Giacomo Viggiani, Vittorio Villa, Massimo Villone, Vincenzo Vita, Itala Vivan, Mauro Volpi, Roberto Zaccaria, Gustavo Zagrebelsky, Loriana Zanuttigh, Alberto Ziparo.
Per la vicesegretaria della Cgil Gianna Fracassi, affrontare le sfide della riconversione e della decarbonizzazione significa mettere in campo una pluralità di interventi, a partire dal potenziamento delle rinnovabili. Con la bussola puntata sull'occupazione: tutelare il lavoro e crearne di nuovo
Il 2021 doveva essere l’anno dei cambiamenti per la salvaguardia dell’ambiente. L’aumento delle temperature e della frequenza delle ondate di calore, l’incremento delle precipitazioni intense, la fusione dei ghiacci e l’innalzamento del livello del mare vanno nella direzione attesa dai climatologi, alla velocità più o meno preventivata. A questi fenomeni si è aggiusta l’inaspettata vastità degli incendi. Per questo lo scorso anno doveva essere cruciale, appunto, per la lotta al riscaldamento globale. E invece si è fatto ben poco. Ecco perché il 2022 diventa fondamentale.
“Dobbiamo agire e farlo in fretta, sgombrando il campo dalle ambiguità – afferma Gianna Fracassi, vicesegretaria generale della Cgil - o dai tentativi di distrarre dai traguardi, a cui abbiamo assistito in queste settimane, durante le quali sono state tirate in ballo ipotesi lontane nel tempo o poco rilevanti rispetto agli obiettivi di decarbonizzazione. Mi riferisco in particolare al nucleare e al dibattito che ne è seguito. Riaprire questa discussione significa non tenere conto, oltre che delle decisioni attraverso i referendum, dell’emergenza climatica in atto e delle necessità del nostro Paese: per costruire una nuova centrale occorrono almeno 15 anni, periodo che ci porta fuori dagli obiettivi fissati al 2030, senza contare che almeno in Italia non abbiamo ancora definito il luogo dove smaltire le scorie”.
Nella bozza dell’atto delegato complementare della Commissione europea sulla tassonomia, la normativa dell’Unione che stabilisce quali attività economiche e fonti di energia possono essere definite “green” nel processo di transizione ecologica, gas e nucleare vengono inclusi nella lista di attività che danno un sostanziale contributo alla riduzione dei cambiamenti climatici, nonostante il parere contrario dei tecnici e di alcuni Stati membri.
“Questa decisione dell’Europa (che verrà adottata dopo il 21 gennaio, ndr) trovo che sia contraddittoria – prosegue Fracassi -, o quanto meno in conflitto con il Next Generation, ed è frutto di compromessi politici. Ma in Italia lo sguardo rispetto alla transizione deve essere complessivo, abbiamo bisogno di una pluralità di interventi. Da un lato abbiamo la necessità di spingere molto sul terreno dell’innovazione e della riconversione ecologica delle produzioni e di dare un significato a che cosa vuol dire giusta transizione nel nostro Paese, dall’altro occorre fare una scelta molto netta sul terreno della decarbonizzazione e del contrasto al cambiamento climatico, a partire dagli investimenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza”.
E in effetti l’Italia vanta straordinarie ricchezze energetiche su cui investire: il sole e il vento, quindi il fotovoltaico e l’eolico, e poi l’idroelettrico e la geotermia, tutti settori che da più parti si spinge affinché vengano potenziati. “La bussola per le scelte è coniugare lavoro e sostenibilità ambientale – riprende la sindacalista -. Se c’è un terreno che manca in Italia rispetto al Pnrr è proprio questo: il sostegno alle filiere collegate ai processi di riconversione verde. Nella condizione complicata che stiamo vivendo rischiamo di perdere di vista questo elemento fondamentale”.
Mentre in tutto il mondo l’industria delle rinnovabili sta affrontando alcune delle sue sfide più significative nel breve termine, con 227 gigawatt di nuova potenza installata negli ultimi 12 mesi e parecchi progetti messi in cantiere da parte di governi e aziende, complici anche gli impegni verso l’obiettivo zero emissioni di CO2 presi alla Conferenza sul clima Cop26 di Glasgow, da noi ancora si fatica a tradurre in scelte il percorso della transizione. “Dobbiamo dare gambe industriali e ancora non ci siamo – prosegue Gianna Fracassi -. I terreni su cui lavorare sono tanti: un nuovo modello di mobilità sostenibile, la riconversione energetica, con le rinnovabili che devono fare la parte del leone perché le tecnologie sono mature e a basso costo, l’economia circolare, ambito quest’ultimo in cui siamo un’eccellenza in Europa, mentre nel Pnrr si investe pochissimo e solo sul settore dei rifiuti. E poi c’è l’efficienza energetica, una strada che va perseguita anche con strumenti strutturali”.
In questo quadro complesso si inserisce un elemento ancora più importante, quello del lavoro. “Se non lo tuteli, inevitabilmente si apre una contrapposizione tra le scelte di natura ambientale o comunque legate alla decarbonizzazione, e il lavoro - continua la vicesegretaria generale della Cgil -. Per questo c’è bisogno di un confronto serio, trasparente, serrato tra tutti i soggetti: è uno straordinario passaggio che necessita di straordinari strumenti”. I processi di cambiamento delle produzioni richiederanno quindi più formazione, maggiore riqualificazione e anche garanzie per i lavoratori.
Gli esempi già ci sono. Prendiamo il caso di Civitavecchia, dove c’è un progetto complessivo che prevede oltre a un parco eolico off shore, la valorizzazione del porto e dell’indotto manifatturiero, progetto condiviso da sindacati, associazioni ambientaliste, imprenditori, istituzioni locali e regionali, e che potrebbe essere nel giro di qualche mese discusso con il ministero della Transizione ecologica. “Il ruolo del sindacato è centrale quale soggetto che agisce sul versante contrattuale, per lo sviluppo e territoriale e della contrattazione collettiva, e nel rapporto con il territorio”.
“La transizione green ha bisogno di politiche economiche, sociali e fiscali attraverso investimenti straordinari come il Next Generation Eu – conclude Fracassi -, che auspichiamo diventi almeno decennale, ma anche di risorse ordinarie. Per questo sarà importante la discussione che si aprirà sul Patto di stabilità e crescita a livello europeo. Farà la differenza per un Paese come il nostro di mettere in campo politiche espansive per accompagnare questa fase. Ma i processi che ci attendono devono essere governati, devono cioè avere un interprete, un protagonista principale che ricopra la funzione di coordinamento e di governance, e di intervento diretto in alcune situazioni. Ruolo che potrà essere svolto solo ed esclusivamente dallo Stato e non dal mercato”.