La macchina dell’economia globale pattina sul ghiaccio, quel poco rimasto. In questi casi i manuali di guida consigliano di evitare brusche frenate e al momento giusto usare con delicatezza l’acceleratore. In molti Paesi invece lo shock energetico dell’ultimo anno sta facendo crescere la spinta a frenare di colpo la transizione ecologica, e riprende quota perfino il consumo del carbone, il peggiore dei combustibili fossili dal punto di vista climatico. A livello economico non è il trend dominante: l’Agenzia internazionale dell’energia prevede che il picco di emissioni di CO2 avverrà a breve, nel 2025, perché proprio l’incertezza degli approvvigionamenti fossili accelererà il passaggio alle rinnovabili. Tuttavia, a livello politico, l’attenzione è concentrata non sull’onda lunga della trasformazione energetica, ma sulla fluttuazione a breve che vede in primo piano le difficoltà politiche.
L’obiettivo della Cop27, la conferenza Onu sul clima che si tiene dal 6 al 18 novembre a Sharm el-Sheikh, in Egitto, è quindi molto impegnativo. Si tratta di riuscire a convincere il mondo a mantenere lucidità durante questa sbandata, la più pericolosa in un percorso che ci ha già portato sul ciglio del burrone. Conservare il sangue freddo quando il gas arriva a quote fino a ieri inimmaginabili – con gli inevitabili riflessi su un’economia che non è ancora riuscita a emanciparsi dalla dipendenza dai fossili - non è facile. Ma necessario.
Per farlo servirebbe ricordare che la guerra in Ucraina ha solo accelerato l’instabilità dei prezzi dell’energia (e di molte materie prime) perché l’economia mondiale tentando di uscire dal forte rallentamento imposto dalla pandemia ha misurato la fragilità delle basi fisiche su cui poggia. Le ragioni profonde della crisi sono strutturali e dipendono dal contrasto tra consumi sempre più velocemente in crescita e risorse finite. Lo si evince chiaramente dai rapporti delle varie agenzie internazionali. inequivocabili nell’indicare la rapida fuoriuscita dai combustibili fossili come condizione indispensabile per evitare l’aggravarsi dei disastri che sono sotto gli occhi di tutti.
L’Unep ha ricordato che gli impegni di taglio delle emissioni finora presi dai governi (e non sempre mantenuti) non sono sufficienti perché porterebbero a un aumento della temperatura globale che si avvicina ai 3 gradi.
L’Organizzazione meteorologica mondiale ha precisato che questo aumento sarà molto più accentuato in alcune aree del pianeta, tra cui l’Europa in cui negli ultimi 30 anni il riscaldamento ha viaggiato a una velocità più che doppia rispetto alla media globale. L’Unesco ha aggiunto che un terzo dei ghiacciai che appartengono al patrimonio mondiale dell’umanità sparirà entro il 2050 e che la difesa degli altri due terzi dipende dal rispetto degli accordi di Parigi del 2015 che hanno fissato, come limite massimo da non superare, un aumento compreso tra 1,5 e 2 gradi.
Si tratta dunque di portare gli impegni volontari assunti dai governi ai livelli necessari a rispettare le indicazioni che vengono dalla comunità scientifica e che sono state ratificate dalla conferenza Onu di 7 anni fa. Riusciranno i 40 mila delegati di più di 190 Paesi riunti sul Mar Rosso a ottenere valide rassicurazioni in questo senso? Era difficile all’inizio di questo 2022. E’ diventato quasi impossibile nel corso di un anno in cui i ponti diplomatici tra i grandi blocchi politici sono saltati a causa della guerra in Ucraina e dell’aggravarsi delle tensioni attorno a Taiwan. Il fatto poi che la Cop si svolga in un Paese in cui il livello di rispetto dei diritti civili è così basso da aver indotto molti ambientalisti a disertare l’appuntamento fa anche venir meno la piena espressione di una voce importante nel dibattito complessivo.
Quando le cose si mettono male entra in campo il linguaggio diplomatico. La conferenza di Sharm el-Sheikh è stata ribattezzata come una Cop “ponte”, un semplice passaggio tra i momenti importanti del percorso negoziale. Tuttavia alcuni temi sono stati posti sul tappeto e le risposte che arriveranno avranno un peso.
Il primo tema è l’adeguamento degli impegni di taglio delle emissioni finora presi dai governi. Chi metterà sul piatto una sforbiciata più consistente? Finora in pochi si sono fatti avanti. Dalla Cop26 di Glasgow, solo 26 Paesi hanno intensificato la loro azione di contenimento delle emissioni di gas serra. “Siamo sulla buona strada per un caos climatico irreversibile”, ha ammonito il segretario dell’Onu Antonio Guterres. “La COP27 deve essere il luogo in cui ricostruire la fiducia e ristabilire l’ambizione necessaria per evitare di condurre il nostro pianeta oltre il precipizio climatico”.
Il secondo tema caldo all’ordine del giorno, anche per la collocazione geografica della conferenza, è quello del loss and damage, cioè il calcolo dei danni causati dalla crisi climatica e la definizione delle responsabilità. Il continente che ospita la conferenza è responsabile solo di meno del 4% delle emissioni serra cumulative ma sta pagando il conto più salato per gli effetti del cambiamento climatico. E il Pakistan, chiamato a co-presiedere la seduta inaugurale, è stato vittima proprio nelle settimane scorse di inondazioni che hanno avuto un impatto drammatico. In discussione è l’attuazione dell’impegno da parte dei Paesi a industrializzazione avanzata, ribadito anche a Glasgow, di versare ai Paesi che devono fare i primi passi sulla strada della transizione ecologica 100 miliardi di dollari l’anno nel periodo 2020-2025 per contribuire a ridurre le loro emissioni e adattarsi ai cambiamenti climatici. Nel 2020 questi aiuti sono arrivati a quota 83 miliardi.
Come colmare la differenza? Certo ci vogliono risorse aggiuntive, ma soprattutto servirebbe un approccio diverso. Se la green economy è vissuta come una tassa difficilmente decollerà. Al contrario se si rimuoveranno gli ostacoli che la rallentano (ad esempio gli aiuti pubblici alle imprese del mondo fossile) il decollo delle rinnovabili, dell’efficienza energetica, dell’economia circolare diventerà un processo spontaneo.
E’ quello che prevede l’Agenzia internazionale dell’energia. Secondo l’Iea gli investimenti in energia pulita arriveranno a oltre 2 mila miliardi di dollari l’anno entro il 2030, con un aumento di oltre il 50% rispetto a oggi. In questo scenario la quota di combustibili fossili nel mix energetico globale scenderà dall’80 al 60% entro metà secolo. Non è ancora abbastanza. Ma è una tendenza che potrebbe accelerare rimettendo mano all’architettura della finanza climatica. Cop27 riuscirà a fare un piccolo passo per accelerare questo percorso?
|