AMMINISTRATIVE. Lo stato dei rapporti tra centrosinistra e M5S alla luce del voto nei comuni. Per Conte l'alleanza coi dem «non è da considerarsi strutturale»
L’ultima giornata di campagna elettorale per le amministrative di domani e lunedì è occasione per testare il livello di interazione tra le forze del centrosinistra e il Movimento 5 Stelle.
Alle urne, nella gran parte dei casi, le forze di opposizione si presentano divise. Di fronte a questo scenario Giuseppe Conte tira fuori la formula che aveva caratterizzato il dibattito del M5S subito prima del suo arrivo alla leadership, quando Alessandro Di Battista era ancora dentro. «L’alleanza con il Partito democratico non è da considerarsi strutturale», dice Conte rimandando ogni intesa all’accordo sui temi e sui programmi. E riportando in primo piano le divergenze sulla guerra in Ucraina e sul recente voto a Strasburgo che consente di stornare verso gli armamenti i fondi del Pnrr. «Ci auguriamo una sempre maggiore convergenza di obiettivi politici, al momento non tutti sono condivisi», afferma il leader del M5S lasciando uno spiraglio all’intesa.
«Penso sia necessario che le opposizioni facciano fronte comune», sostiene invece Nicola Fratoianni. Pur assicurando di non considerare un problema lo spostamento del Pd a sinistra, in qualche modo anche il segretario di Sinistra italiana pone l’accento sui temi concreti: «Bisogna rapidamente predisporre proposte comuni e piattaforme e farle vivere nel paese», dice Fratoianni.
Elly Schlein ieri era a Pisa: uno dei capoluoghi in cui il Pd prova a superare il sindaco di destra uscente e si presenta in alleanza con il M5S, ma deve fare i conti con un’agguerrita compagine civica e radicale alla sua sinistra.
Lo schema della leader dem , in questo caso come nelle tante città in cui non ha stretto alleanza con i pentastellati, è quello della recente vittoria di Udine: arrivare al secondo turno e a quel punto rinsaldare in ranghi per battere la destra. Un modo per dimostrare che il campo largo esiste a prescindere dalle identità dei singoli partiti all’opposizione del governo Meloni.
IL VOTO DEL 2024. Le elezioni per il Parlamento europeo sono tra un anno, con il conseguente rinnovo delle alte cariche nella Ue. Anche se non c’è ancora neppure la data ufficiale del voto […]
Le elezioni per il Parlamento europeo sono tra un anno, con il conseguente rinnovo delle alte cariche nella Ue. Anche se non c’è ancora neppure la data ufficiale del voto – la proposta è tra il 9 e il 12 giugno 2024, ma il Portogallo protesta perché il 10 è festa nazionale e teme una forte astensione – le grandi manovre più o meno sotterranee sono già iniziate.
Il meccanismo dello Spitzenkandidat (indicazione del candidato da parte dei vari gruppi politici prima del voto) per il momento resta nel cassetto e difficilmente verrà resuscitato vista la crescente frammentazione politica a Strasburgo, ma quello che è certo è che sarà il gruppo politico arrivato in testa ad avere la Commissione, per il Trattato di Lisbona il Consiglio deve «tener conto» dei risultati elettorali e poi ci vuole l’approvazione dell’Europarlamento. L’attuale presidente, Ursula von der Leyen (nominata nel 2019 senza essere passata per l’elezione a europarlamentare, travolgendo l’ipotesi dello Spitzenkandidat) non ha confermato di volere un secondo mandato, se ne saprà di più dopo il vertice Nato di Vilnius a luglio, visto che il nome dell’ex ministra della Difesa tedesca è anche in corsa per la successione di Jens Stoltenberg. Von der Leyen è della Cdu (Ppe), c’è chi la spinge a presentarsi al voto in Bassa Sassonia, ma per il momento a sostenerla sono più i leader europei appartenenti ad altri partiti (Scholz dell’Spd, Macron di Renew) che quelli del gruppo Ppe.
Il panorama politico europeo è sempre più frammentato, l’estrema destra è in crescita, l’egemonia Ppe-S&D è un ricordo del passato, i socialisti sono in crisi in molti paesi.
Il Ppe è al centro di grandi manovre. In nessuno dei paesi fondatori c’è un governo a guida Ppe e i cristiano-democratici, da sempre il primo gruppo a Strasburgo, temono di perdere terreno. Obtorto collo hanno allontanato il Fidesz di Orbán nel marzo 2021. Poiché sembra sbiadire l’ipotesi di una fusione tra i due gruppi di estrema destra, Conservatori e Riformisti Europei (in Ecr ci sono i polacchi del Pis e Fratelli d’Italia) e Identità e Democrazia (in Id invece la Lega e i francesi del Rassemblement national), da mesi è in corso un movimento di avvicinamento tra Ppe e Ecr, alla manovra il capogruppo Ppe, Manfred Weber (Csu bavarese) e Giorgia Meloni, mediatore Raffaele Fitto ex Forza Italia (partito Ppe). Una fusione Ppe-Ecr non piace però alla Cdu tedesca ed è per ora bloccata dalla Piattaforma civica di Donald Tusk, che è uno dei due partiti polacchi nel Ppe e che rifiuta un accordo con il Pis (ma le elezioni a ottobre potrebbero cambiare lo scenario).
In molti altri paesi l’intesa tra Ppe e estrema destra è già in corso: «Abbiamo idee vicine a Meloni» ha affermato il primo ministro ceco Petr Fiala nell’accogliere Meloni a Praga, dove nella coalizione di governo Spolu partecipano anche partiti affiliati al Ppe e a Ecr e Weber preme per avere l’Ods di Fiala nel Ppe per le europee del 2024.
Accordi tra destra e estrema destra crescono in Europa, l’ultimo caso in Svezia. In Spagna, dove ci saranno elezioni a fine anno, ci sono accordi a livello locale tra Partido popular (Ppe) e l’ultradestra di Vox (Ecr). In Grecia, Nuova Democrazia di Mitsotakis (Ppe) pensa alla possibilità di un accordo con i populisti di Elliniki Lisy (Ecr) dopo le prossime elezioni. In Portogallo cresce l’estrema destra di Chega. L’alleanza tra la destra democristiana e i nazionalisti ha già permesso nel gennaio 2022 l’elezione dell’attuale presidente dell’Europarlamento, la maltese Roberta Metsola. In Francia, il partito di Macron sta già giocando la sola carta che ha in mano: l’europeismo (con un voto sull’obbligo della bandiera Ue nei municipi, ha spaccato la Nupes).
Un ricordo di Martino "Una figura molto importante non solo per noi che abbiamo vissuto al suo fianco ma per tutta la nostra città. Voglio ricordarlo come un esponente di un cattolicesimo democratico che ha saputo immaginare una ipotesi diversa per questo paese, a partire dalla decisione di aderire al PCI. Rivedo ancora - allora ero un bambino - il giorno in cui Vasco Errani arrivò a casa per proporgli di candidarsi alle regionali".
Dalla mattinata di mercoledì è allestita la camera mortuaria dell'ospedale di Faenza. I funerali sono fissati per giovedì, con partenza alle 10 alla volta della chiesa di San Giovanni Evangelista di Granarolo, l'inizio della funzione è prevista per le 10,30.
Al reddito di cittadinanza, secondo i nuovi strumenti del Governo Meloni, mancherebbero circa 3 miliardi. Barbaresi, Cgil: “Misure divisive e sbagliate"
La povertà in Italia aumenta, lo afferma l'Istat, eppure il governo Meloni ha deciso di abolire l'unico strumento che abbiamo di contrasto e sostegno per chi non ce la fa. A mezzo stampa è stato comunicato che il prossimo 1 maggio verrà approvato un decreto che conterrà una serie di misure che dovrebbero sostituire il reddito di cittadinanza.
Misure "Divisive e sbagliate" per Daniela Barbaresi, segretaria confederale della Cgil, che ritiene grave ciò che sta succedendo visto che l'obiettivo dichiarato è quello del risparmio: 3 miliardi in meno rispetto a quanto destinato al Rdc. E poi c'è il metodo: l'esecutivo continua a ignorare il sindacato, nessun incontro, nessuna comunicazione.
Abbiamo appena letto il rapporto Bes dell'Istat, da quei numeri arriva la triste conferma che l'aumento della povertà e delle diseguaglianze nel nostro Paese è una costante. È pensabile in un momento come questo, eliminare o stravolgere l'unico strumento di sostegno alla povertà?
Crescono diseguaglianze e povertà, ci sarebbe bisogno di interventi, di sostegni, di presa in carico delle persone e di contrasto al disagio, alla povertà delle famiglie. Ciò che emerge, invece, è l'impianto identitario e ideologico di questo governo. Da quel che si sa, la scelta dell’esecutivo va esattamente nella direzione opposta. Si interviene sostanzialmente per fare cassa sui poveri, e si introduce una logica assolutamente sbagliate e pericolosa, quella di dividere la platea delle persone e delle famiglie, a prescindere dalla reale condizione di povertà.
Fino a oggi lo strumento di contrasto alla povertà è stato di natura universalistica, l'operazione che vuole fare il governo, anticipata in Legge di Bilancio, è dividere i poveri, quelli svantaggiati per condizione anagrafica o per disabilità, e quelli che hanno la colpa di non avere un lavoro. È accettabile?
È inaccettabile e pericoloso. È sbagliato perché si affronta il tema della povertà dividendo in base allo stato di famiglia anziché alla reale condizione economica e sociale di chi si trova in una condizione di fragilità. È una impostazione familistica. Il fatto stesso che siano considerati non occupabili coloro che vivono in nuclei familiari dove ci sono minori, anziani, disabili, lascia intendere che di quei bisogni se ne debba fare carico esclusivamente la famiglia anziché un sistema di welfare che dovrebbe prendere in carico, dare risposte. All’opposto, credo che tra le cause dell’impoverimento ci sia proprio il nostro sistema di servizi a partire da quelli per infanzia, gli anziani, la non autosufficienza, sempre più ristretto e non adeguato ai bisogni. E la lettura del Documento di economia e finanza appena presentato non fa che rafforzare la preoccupazione: si è messo nero su bianco la riduzione delle risorse per la sanità, l’istruzione, la povertà.
E poi ci sono i cosiddetti occupabili. Tra gli attuali percettori del reddito di cittadinanza, quelli ritenuti occupabili hanno in media cinquant'anni, sono lontani dal mondo del lavoro da oltre tre anni e nella stragrande maggioranza dei casi a stento arrivano alla terza media. Quali sono gli imprenditori che vogliono dar lavoro a queste persone?
Questo è il punto. Il Governo parte dal considerare “occupabili” coloro nei cui nuclei familiari non ci sono minori, anziani, disabili senza considerare le effettive condizioni di occupabilità, senza tener minimamente conto di quelle che sono le caratteristiche delle persone, le condizioni e le competenze, il fatto – appunto - che si tratta in gran parte di persone lontane dal mercato del lavoro da lungo tempo. E, inoltre, senza tener conto delle caratteristiche del mercato del lavoro, di quelle che sono le figure professionali richieste. E che sia la ministra del Lavoro e delle politiche sociali a proporre un impianto di questo tipo è estremamente pericoloso e sbagliato, e sottende l'impostazione di colpevolizzazione dei poveri. La povertà è colpa del singolo e non determinata da condizioni sociali ed economiche complessive. La verità è che questo governo e questa ministra non sembrano voler conoscere e affrontare ciò che determina la condizione di povertà e di disagio.
C'è un dato che forse sfugge nei commenti e che, invece, è il tratto dominante di questi nuovi provvedimenti: si alza la soglia dell'Isee per avere accesso allo strumento, si diminuisce la quantità di risorse destinate al singolo assegno e diminuisce il tempo in cui l'assegno verrà corrisposto. Insomma, l'unica cosa che emerge è che si riducono le risorse?
Il filo conduttore è il risparmio, si fa cassa sui poveri. L'effetto, se non l'obiettivo, è proprio quello di risparmiare sui poveri, sullo sfondo di una logica, appunto, colpevolizzante. E a regime i risparmi saranno notevoli, si stimano circa 3 miliardi in meno sulle misure di contrasto alla povertà rispetto agli attuali 8. Insomma si elimina l’unica misura universale di contrasto alla povertà, si dividono percorsi, importi e durata dei nuovi strumenti, si riducono le risorse e si penalizzano i giovani perché se sono vere le cose che si leggono nelle bozze che circolano, i giovani maggiorenni vengono inclusi nel nucleo familiare ma poi sono esclusi dalla scala di equivalenza e quindi non incidono nella determinazione dell'importo.
Parlavi di bozze...
Bozze che non ci sono state consegnate ufficialmente così come non ci sono stati incontri. In realtà continua il problema di metodo, su un tema così rilevante che interessa così tante persone, il governo non ha avuto e non ha previsto il benché minimo confronto con le organizzazioni sindacali. Insomma, stiamo ragionando di indiscrezioni giornalistiche o di testi che circolano. Aggiungo: se davvero si volesse affrontare il tema della povertà, la necessità sarebbe quella di migliorare uno strumento universale di contrasto alla povertà e di sostegno alle persone in condizione di fragilità così come prevede l’Europa. E poi, contemporaneamente, andrebbe messa in campo un'azione di presa in carico sociale che solamente un adeguamento e un rafforzamento del sistema di welfare può garantire. Se davvero dovessero approvare questi “cosiddetti nuovi strumenti” il 1 maggio, come viene annunciato, si rafforzerebbero le ragioni della mobilitazione unitaria che ci vedrà in piazza il 6, il 13 e il 20 maggio.
L'APPROFONDIMENTO
Il governo scarica sui singoli la causa della condizione di fragilità che vivono. Ma difficoltà economiche e sociali sono una responsabilità collettiva
LOTTE SINDACALI. Elezione degli Rls nella fabbrica simbolo del metodo Marchionne. Ai metalmeccanici Cgil il 36% dei voti Landini: risultato straordinario, ora Stellantis cambi
I delegati della Fiom di Pomigliano festeggiano la vittoria nelle elezioni per gli Rls
Tredici anni dopo la «rivoluzione di Marchionne», a Pomigliano la Fiom torna a vincere una elezione. Cacciati dallo stabilimento napoletano come da tutte le fabbriche Fiat per non aver accettato il ricatto diritti in cambio del lavoro nel 2010-2011, i metalmeccanici della Cgil sono rientrati grazie alla sentenza della Corte costituzionale del 2013 che ha sancito l’illegittimità della strategia di Marchionne. Nel 2015 la Fiom partecipò alle elezioni per i Rappresentanti dei lavoratori della sicurezza – Rls – ottenendo tra gli operai la percentuale della Fiom del 17,2%, finendo dietro Fim Cisl, Uilm e Fismic.
Otto anni dopo, ieri si sono chiuse le elezioni per degli Rls della nuova gestione Stellantis al Giambattista Vico: hanno partecipato 3902 lavoratori ( 94,29% degli aventi diritto). La Fiom ha ottenuto 1387 voti, pari al 36,6%, la Fim 837 voti (21,75%), la Uilm 787 voti (20,45%), il Fismic 691 (17,69%), Ugl 157 (4,8%). Gli Rls eletti sono: 3 della Fiom, 2 della Fim, 2 della Uilm, 1 del Fismic.
Si tratta «dell’unica elezione in cui i lavoratori sono liberi di scegliere il sindacato e i delegati», sottolinea la Fiom, visto che per i rappresentanti aziendali (Rsa) l’effetto della sentenza della Consulta è quello di una nomina di una quota per la Fiom, diversamente esclusa nella perdurante apartheid confermata anche da Stellantis. Anche l’appena rinnovato Ccsl (il contratto aziendale, ndr) è «un contratto non votato dalle lavoratrici e dai lavoratori», sottolinea ancora la Fiom di Napoli.
«I lavoratori hanno riconosciuto alla Fiom il fatto di aver lottato nel corso di questi anni per riaffermare il diritto alla contrattazione – commenta il segretario generale Fiom Michele De Palma – . Da oggi si cambia: si può in un paese democratico escludere dalla contrattazione il primo sindacato? A questa domanda non deve rispondere soltanto Stellantis, ma anche i ministeri del Lavoro e dello Sviluppo», conclude De Palma.
Anche Maurizio Landini, all’epoca appena eletto segretario Fiom, ha festeggiato: «È un risultato straordinario. Il disegno autoritario della Fiat non è passato È il momento che Stellantis ne prenda atto, è il momento di cambiare: non lo chiede la Fiom né la Cgil, lo chiede il voto democratico dei lavoratori»