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Legge di bilancio È finalmente stata approvata la Legge di Bilancio del 2025, una manovra che cuba 30 miliardi. La montagna ha partorito un topolino che si chiama Mario Draghi. Infatti, più del […]

Mario Draghi e Giancarlo Giorgetti sui banchi del governo nel 2021 Mario Draghi e Giancarlo Giorgetti sui banchi del governo nel 2021 – LaPresse

È finalmente stata approvata la Legge di Bilancio del 2025, una manovra che cuba 30 miliardi.

La montagna ha partorito un topolino che si chiama Mario Draghi. Infatti, più del 40% dei fondi della manovra (13 miliardi) sono utilizzati per confermare il taglio al cuneo fiscale e sostenere così le retribuzioni dei lavoratori.

Se il governo avesse introdotto il salario minimo, si sarebbe potuto ottenere lo stesso risultato senza alcun aggravio per le finanze pubbliche e con un costo sostenibile per le imprese che non avrebbero ridotto l’occupazione.

È confermata la riduzione a tre aliquote dell’Irpef (4,7 miliardi), ma è saltato il taglio di due punti percentuali all’aliquota del secondo scaglione: come era prevedibile il Concordato Fiscale è stato un fiasco.

Anche quest’anno il governo ha deciso di ignorare i costi dell’inflazione sui contribuenti dovuti al famigerato fiscal drag, cioè alla mancata indicizzazione degli scaglioni dell’Irpef e delle detrazioni.

Stime conservative (fonte lavoce.info) suggeriscono che nel 2024, lo Stato ha incassato 16,5 miliardi di maggiori entrate fiscali. I lavoratori sono quindi colpiti due volte dall’inflazione: le loro retribuzioni non si adeguano al maggior costo della vita, ma devono pagare più imposte. L’introduzione di un tetto alle detrazioni genera maggiori risorse e introduce una dose omeopatica di equità nel nostro sistema fiscale, con un meccanismo bizantino basato su redditi e quozienti familiari.

Un aumento temporaneo delle entrate è pure ottenuto chiedendo un «prestito» di 7 miliardi a banche e assicurazioni attraverso anticipi sulle imposte future.

Dato il periodo pre-natalizio, si rinverdisce la stagione dei bonus: ce ne sono per le ristrutturazioni edilizie, l’acquisto di elettrodomestici, le attività sportive e ludiche extra-scolastiche, le nuove nascite, gli affitti, il supporto psicologico.

Per gli italiani meno abbienti è meglio di nulla, ma servirebbero investimenti strutturali in sanità, istruzione, e nel sostegno alle famiglie. In quest’ultimo caso, il governo ha deciso di regalare risorse nelle scuole paritarie che accolgono alunni con disabilità.

Di fronte alla spending review dei ministeri (2,6 miliardi), se la sanità è mantenuta in coma vigile dall’assenza di ulteriori tagli, quelli all’università rischiano di dare un colpo mortale all’istruzione superiore pubblica.

L’insensatezza di questi tagli è ancora più lampante se si considera che siamo agli ultimi posti in Europa per la spesa universitaria e che c’è un ampio consenso tra gli economisti (fonte Reuters) sulla necessità di investire urgentemente in ricerca e università per rilanciare la produttività del Paese che ristagna da decenni.

Il governo la pensa diversamente, puntando sull’Ires premiale (466 milioni) che detassa gli utili reinvestiti nelle imprese, su una maxi-deduzione per le imprese che assumono nuovi dipendenti a tempo indeterminato e sul rinnovato sostegno alle piccole e medie imprese.

Il maggiore investimento (1,4 miliardi) riguarda il Ponte sullo Stretto, la fata morgana delle grandi opere pubbliche

Il maggiore investimento (1,4 miliardi) riguarda il Ponte sullo Stretto, la fata morgana delle grandi opere pubbliche. È pure stanziato un miliardo per la Tav e un altro per le ferrovie, sperando che i ritardi costanti dell’ultimo anno si affievoliscano.

In conclusione, è stata approvata una legge di bilancio draghiana che pure si distingue per la distribuzione di mance e prebende ai vari gruppi d’interesse che sostengono il governo, come mostrato dalle 89 mini misure sotto i 5 milioni (fonte Il Sole24Ore).

È una manovra insufficiente, che non tenta neppure di risolvere il problema dell’anemica crescita economica dell’economia italiana, e mostra la desolante politica del governo.

E ciò avviene in un tetro quadro congiunturale per l’economia italiana: la produzione industriale è ininterrottamente in calo da 21 mesi (fonte Istat) e la crescita del Pil per il 2024 si ferma allo 0,5% rispetto all’1% previsto dal governo.

La situazione peggiorerà ulteriormente per i maggiori dazi imposti dalla presidenza Trump e per la volontà di aumentare considerevolmente la spesa militare, che ha un impatto marginale sulla crescita economica, ma sottrae preziose risorse pubbliche per sanità, istruzione e interventi per combattere il cambiamento climatico.