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Medio Oriente Di fronte a sé Netanyahu ha l’opportunità storica che, prima di lui, si presentò solo al “padre della patria” David Ben Gurion: ridisegnare le frontiere fisiche dello Stato di Israele; costringere il popolo palestinese a scegliere tra la diaspora o una vita da schiavi sulla propria terra; e restringere (ancora) il perimetro della «democrazia etnica» su cui dal 1948 lo Stato ebraico fonda la sua legittimazione internazionale

Gaza City, la distruzione lasciata dall'offensiva aerea e terrestre israeliana nella zona di Al Shifa Ap Gaza City, la distruzione lasciata dall'offensiva aerea e terrestre israeliana nella zona dell'ospedale Al Shifa – Ap

Da quattordici mesi analisti e commentatori tentano di stare al passo del governo di Benyamin Netanyahu per carpirne gli obiettivi militari definitivi, la linea oltre la quale Tel Aviv possa dirsi soddisfatta della carneficina compiuto e rivendicata. L’entusiasmo dell’ultima settimana intorno al cessate il fuoco con Hamas si è andato via via spegnendo, identico destino di tutti gli entusiasmi precedenti.

CAPIRE se la tregua, seppur parziale, sia stavolta davvero a un passo è materia per stregoni, non per analisti.

Si è detto che l’obiettivo di Netanyahu fosse la guerra per la guerra, proseguire nell’annientamento di Gaza per non finire sotto processo e per trasformare la Striscia in un luogo invivibile. La campagna libanese prima e quella siriana oggi disegnano un’altra realtà: di fronte a sé Netanyahu ha l’opportunità storica che, prima di lui, si presentò solo al “padre della patria” David Ben Gurion.

Ridisegnare le frontiere fisiche dello Stato di Israele; costringere il popolo palestinese a scegliere tra la diaspora o una vita da schiavi sulla propria terra; e restringere (ancora) il perimetro della «democrazia etnica» su cui dal 1948 lo Stato ebraico fonda la sua legittimazione internazionale.

L’OBIETTIVO è il superamento dei confini – territoriali, morali e politici – secondo la visione messianica di un’estrema destra iper nazionalista e razzista che travalica gli argini su cui il primo sionismo aveva costruito il racconto di sé: la separazione, cifra originaria dello Stato, che ha sempre seguito linee sociali ed etniche, ora alza barriere anche dentro la popolazione privilegiata, quella bianca europea. Al nemico interno per eccellenza, il popolo palestinese, si affiancano nuovi nemici, chi diserta, chi contesta, chi promuove una stampa dissidente.

Netanyahu sta ridisegnando il Medio Oriente secondo coordinate coloniali e di potenza – con un genocidio a Gaza, una pulizia etnica in Cisgiordania e l’indebolimento strutturale dei paesi “nemici” – come ridisegna l’immagine del suo paese, facendo cadere una volta per tutte quella finzione democratica che i palestinesi denunciano da sette decenni. L’ovvia deriva autoritaria di un regime coloniale e di segregazione razziale non può che passare per la guerra infinita e per l’imposizione di un’idea di «sicurezza» che coincide con l’annientamento dell’altro.