IL CASO. Nell'esecutivo dilagano i dubbi sul taglio delle pensioni dei dirigenti medici e di altri dipendenti pubblici. Ma se la norma saltasse si dovrebbero trovare altrove oltre 2 miliardi di euro a saldi invariati. E' la legge dell'austerità in cui si muove la maggioranza. I camici bianchi: «Il ministero dell’economia sembra essere il commissario della sanità»
Doveva essere «blindata» la manovra senza emendamenti da parte della maggioranza. In attesa di rovesci la cui ombra già si staglia all’orizzonte (il Fondo Monetario che boccia la legge di bilancio, il 21 novembre la Commissione Europea potrebbe chiedere modifiche) il governo sembra nel frattempo volere mettere le prime toppe e salvare la faccia. Per non contraddire Meloni & Co. che tengono a non fare presentare emendamenti alla manovra, le eventuali modifiche potrebbero essere raccolte in un maxi-emendamento al decreto fiscale collegato alla Legge di bilancio. Così potrebbero essere contenute sia le proteste dei sindacati dei medici che hanno dichiarato sciopero il 5 dicembre contro il taglio alle pensioni dei dipendenti pubblici, sia le critiche dei costruttori che hanno bocciato un aumento della tassazione degli immobili da 2 miliardi in 3 anni.
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IL TAGLIO alle pensioni non riguarderebbe solo i medici ma altri dipendenti del settore pubblico come quelli impiegati negli enti locali, i maestri, gli ufficiali giudiziari e altri ancora che andranno in pensione il prossimo anno. In totale circa 31.500 lavoratori che, senza modifiche alla legge di Bilancio, nello scenario peggiore, vedrebbero decurtarsi un quarto dell’assegno – sembra fino a 900 euro – a fronte di un risparmio esiguo pari a poco più di 11 milioni nel 2024. Un corto circuito nella logica austeritaria dei tagli in cui si muove il governo Meloni condizionato dall’imperativo di fare quadrare i conti, ma anche sorpreso dalla reazione dei medici.
L’ANNUNCIO dello sciopero ha colpito al punto che, nel pomeriggio della giornata trascorsa tra consultazioni, il ministro della Salute Orazio Schillaci ha aperto alla possibilità di una marcia indietro. «Sto lavorando con altri esponenti del governo, in particolare con la ministra Calderone, sul tema delle pensioni dei medici – ha detto – Cerchiamo di trovare una soluzione a questo problema. L’ultimo dei miei pensieri è che i medici se ne vadano in pensione prima dei tempi previsti».
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«UN’INCONGRUITÀ che rischia di essere incostituzionale», così è stato definito il taglio dal sottosegretario al lavoro Claudio Durigon che si è spinto oltre Schillaci. Insieme starebbero lavorando per «eliminare la norma dalla manovra». In tal caso, toccherebbe trovare altrove 2,7 miliardi tra il 2024 e il 2032. I saldi dovranno restare «invariati».
IL SENTIERO È «STRETTO», come si dice. Toccherà attendere i vaticini di Giancarlo Giorgetti. Il ministero dell’economia tiene i cordoni della borsa. Le risorse necessarie per convincere i sindacati dei medici a ritirare lo sciopero del 5 dicembre potrebbero arrivare dai tagli alla pensione anticipata detta «Quota 103» (41 anni di contributi versati e 62 anni d’età) poiché sembra che avrebbe platea e costi inferiori alle attese o da un’ulteriore taglio della rivalutazione degli assegni.
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IL COPERCHIO della pentola in cui stanno cuocendo il governo e la sua maggioranza è stato sollevato da Pierino De Silverio (Anaao-Assomed). «Il problema non è il ministro Schillaci con il quale c’è sempre stato un dialogo proficuo. Mi sembra però che, quando si va alla resa dei conti con il Ministero dell’Economia, poi la musica cambi. Sembra essere questo ministero il vero commissario della sanità». «Le risorse contenute in legge di bilancio [tre miliardi per stipendi e accorciamento delle liste d’attesa, ndr.] non sono in grado né di risollevare il Servizio sanitario nazionale né di soddisfare le nostre richieste. Avevamo chiesto un intervento sull’indennità di specificità medica e sanitaria per garantire un aumento degli stipendi invece si è deciso di aumentare le retribuzioni delle prestazioni aggiuntive» ha aggiunto De Silverio.
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«CHIEDIAMO che la norma sia cancellata – ha detto Guido Quici (Cimo-Fesmed) – Vedremo in che modo il governo ha intenzione di modificarla». Critiche sono state rivolte anche agli incentivi ai medici per lavorare di più per abbattere le liste d’attesa. «Non si risolverà il problema, è una mancia alle Regioni» ha sostenuto Quici