Il DataRoom di Milena Gabanelli di ieri sul Corriere della Sera – rilanciato in serata dal TGla7 di Enrico Mentana – aveva un titolo più che significativo: “Alluvione in Emilia-Romagna, la beffa dei rimborsi”. Nel report come sempre molto accurato della Gabanelli e di Giusi Fasano si legge: “Sono passati 143 giorni dai 5 miliardi di metri cubi d’acqua venuti giù in Romagna fra l’1 e il 17 di maggio. Una lunga apnea per l’area alluvionata che nel 2022 valeva da sola 38 miliardi di ricchezza (il 2,2% del Pil nazionale). «Risarciremo il 100% a chi è stato danneggiato», è la promessa della premier Giorgia Meloni infilata negli stivaloni in mezzo al fango nelle zone allagate, e poi di nuovo a giugno, nell’incontro con i sindaci a Palazzo Chigi. Ma quanto è arrivato sul territorio dopo 5 mesi passati a contare perdite, ripristinare strade, riparare canali, case, aziende, mettere mano ai terreni agricoli allagati? Quelli calcolati e certificati fin qui (ossia trasmessi a Bruxelles dal Dipartimento nazionale di Protezione civile per chiedere l’accesso ai fondi di solidarietà dell’Unione Europea) ammontano a 8,5 miliardi così divisi: 3,8 miliardi per il patrimonio pubblico come strade, scuole, canali; 2,2 miliardi per i danni alle abitazioni; 1,8 miliardi per i danni alle attività produttive, comprese le aziende agricole. A questa cifra vanno aggiunti 682 milioni già spesi per fronteggiare l’emergenza e per la messa in sicurezza del territorio, di cui 412 anticipati da Comuni, Province, Regioni e consorzi di bonifica.
Milena Gabanelli e Giusi Fasano evidenziano come “in Romagna c’è fretta, a Roma no”. Cioè amministratori, famiglie e imprese chiedono si faccia in fretta, “velocizzare il più possibile interventi di ripristino e indennizzi. La scelta più logica sarebbe stata quella di utilizzare la macchina oliata della Protezione civile, che può ricevere somme in contabilità speciale e usare le deroghe per spendere i soldi, e incaricare subito il Presidente della Regione Stefano Bonaccini Commissario straordinario. Ma c’era il veto di Salvini. Ci sono voluti 2 mesi e mezzo per trovare un nome alternativo, e ai primi di agosto viene nominato il generale di Corpo d’Armata Francesco Figliuolo.”
DataRoom aggiunge che poi la struttura commissariale “va organizzata, non è immediatamente operativa. Tanto più se deve agire in una situazione inedita dal punto di vista della vastità e della complessità dell’intervento. Tutto questo comporta lo slittamento dei tempi, in un territorio che le alluvioni hanno reso estremamente vulnerabile e con l’autunno alle porte.”
Poi Gabanelli e Fasano arrivano al nodo dei soldi promessi, quelli stanziati e quelli effettivamente messi a disposizione e finora giunti a destinazione o comunque nelle disponibilità di Figliuolo. Da qui il titolo eloquente: la beffa dei rimborsi.
I soldi promessi e quelli effettivamente disponibili
“A fine maggio, con il primo decreto per l’Emilia-Romagna il governo aveva annunciato un primo pacchetto di aiuti per 2 miliardi e 200 milioni. «Salvo intese», che in sostanza significa che le cose possono cambiare in corso d’opera. E infatti. – si legge su DataRoom – Quando il decreto viene pubblicato il 1° giugno i soldi diventano circa 1,6 miliardi, così divisi: 900 milioni sono per gli ammortizzatori sociali, cioè la cassa integrazione; 300 milioni per aiutare le aziende che esportano. Con una clausola: il non speso ritorna nelle casse dello Stato. Per quel che riguarda la cassa integrazione sono stati chiesti solo 30 milioni, perché i romagnoli non sono rimasti a guardare, ma insieme ai dipendenti si sono subito rimboccati le maniche e rimesso in piedi gran parte delle aziende. Invece dei 300 milioni stanziati a sostegno dell’export ne sono stati chiesto soltanto 12-13. In questo caso i requisiti necessari sbarravano già in partenza l’accesso ai fondi per moltissime imprese. Alla fine 1 miliardo e 150 milioni sono tornati nelle casse dello Stato. E questo non-speso è l’ultimo fronte aperto fra il governo e Regione-sindaci-parti sociali. Loro chiedono che i fondi non utilizzati vengano usati subito per indennizzare cittadini e imprese e chiedono l’introduzione del credito di imposta.”
Nello stesso decreto ci sono 150 milioni ripartiti fra vari ministeri più 230 milioni dati alla Protezione civile e alla Regione per le somme urgenze, fra cui un aiuto di 3.000 euro a famiglia per far fronte alle spese inderogabili. “Sono questi gli unici soldi arrivati finora alle quasi 36 mila le famiglie che nelle prime ore avevano dovuto lasciare tutto e scappare, con l’acqua letteralmente alla gola. In 65 Comuni si contano 9.371 nuclei familiari che hanno poi chiesto il contributo per l’autonoma sistemazione: gente che si è accampata per lunghi periodi da amici, parenti o in roulotte. Più un centinaio di famiglie che ancora oggi sono sistemate in alberghi (con spesa a carico della Regione). Per ciascuna famiglia a breve saranno distribuiti altri 2.000 euro” scrivono Gabanelli e Fasano.
Con la nomina ad agosto del Commissario Figliuolo, arrivano nuovi stanziamenti per le opere pubbliche e per il risarcimento danni ai privati. DataRoom dice che “sono previsti 2,6 miliardi da spendere in tre anni per sistemare scuole, ponti, strade. Ma quanti soldi sono disponibili fisicamente per il 2023? Finora ne sono stati autorizzati 908,5 milioni, di cui 876 versati sulla contabilità del generale Figliuolo, quindi già disponibili. Ma 412 anticipati a maggio per i lavori urgenti sono da restituire a Regione, Comuni, Province e consorzi. Quindi, tirando la somma, pronti all’uso quest’anno restano meno di 500 milioni. Bastano i numeri di frane e strade per capire che di soldi ne servirebbero ben più.”
DataRoom riporta che al 30 settembre sono state censite 38.760 frane in 48 comuni, di cui 350 di grandi dimensioni, ma si stima che il numero totale delle frane sia oltre 50 mila. La maggior parte delle frane ha danneggiato case, terreni o aziende, e qui i diretti interessati sono intervenuti pagando di tasca loro, oppure è ancora tutto sospeso. Un numero consistente di frane è finito però sulle strade, dove sono stati eseguiti in urgenza i lavori di ripristino delle viabilità, ma quasi ovunque sono necessari interventi strutturali sulla viabilità. Su un totale di 1481 strade provinciali o comunali da monitorare, al 30 settembre ne erano chiuse ancora 322, mentre 405 erano percorribili con limitazioni alla circolazione.
Gabanelli scrive: “Con il secondo decreto ci sono anche i soldi per i privati: 120 milioni già utilizzabili, più 149 autorizzati ma non ancora sul piatto. Per avere un ordine di grandezza: le aziende agricole a cui l’acqua ha causato danni sono circa 21 mila con 41 mila addetti; quelle agroalimentari sono 2.800 per 23 mila operatori. E l’impatto è stato importante anche sul settore zootecnico. Ma di fatto le aziende non hanno ancora avuto un centesimo. Di più: fino al 16 novembre non sarà disponibile nemmeno il modulo da compilare per chiedere il rimborso perché la piattaforma informatica è in corso di aggiornamento. Dopo quella data il cittadino che ha avuto la casa allagata, o l’impresa danneggiata, può presentare la domanda di risarcimento con allegata perizia. A quel punto il Comune verifica lo status di alluvionato; se tutto va bene consente alla piattaforma della Regione di «lavorare» la pratica; Invitalia fa l’istruttoria (studia la perizia, identifica il danno) e se tutto è in regola rimanda la pratica al sindaco; il sindaco la dichiara chiusa e la invia a Figliuolo per la firma e l’erogazione. Ma erogare significa avere una tesoreria, che al momento non c’è. La sola boccata di ossigeno in termini economici è arrivata dalla sospensione degli adempimenti tributari in scadenza fra il 1° maggio e il 31 agosto, ma fino al 20 novembre. Poi si dovrà pagare.”
Il quadro non è confortante. Tutti sognano che venga mantenuta quella promessa: «Risarciremo il 100% a chi è stato danneggiato!» conclude Gabanelli parlando però di “illusione” e aggiungendo che “qualche domanda sarebbe utile porsela. Ha senso ricostruire capannoni o riattivare le coltivazioni, diventate greto del fiume, esattamente lì dov’erano? Probabilmente no. Ma per spostare attività occorre fare una più lungimirante programmazione del territorio. Certo, è più facile stanziare qualche soldo da mettere in tasca, anche se pochi.”