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Il limite ignoto Il piano di Kellogg, il mediatore scelto da Trump per risolvere la guerra in Ucraina, porrebbe i belligeranti di fronte a un aut aut

Distruzione causata dagli attacchi aerei israeliani a Tiro, nel sud del Libano foto Marwan Naamani/Ansa La centrale elettrica Dtek in Ucraina – Evgeniy Maloletka/Ap

Finirla con l’invio di armi o inviarne molte di più. Il piano per interrompere la guerra in Ucraina elaborato da Keith Kellogg, l’uomo scelto da Trump per la tregua in Europa dell’est, e dall’ex analista della Cia, Fred Fleitz, è a dir poco amletico. Nel documento presentato al tycoon lo scorso aprile, dal titolo America first, Russia and Ukraine, i due funzionari hanno proposto di porre fine alle ostilità interrompendo del tutto le forniture di armi a Kiev se quest’ultima non accetterà di sedersi al tavolo negoziale, oppure di inviare una pioggia di armi all’esercito di Zelensky se fosse il Cremlino a rifiutarsi di trattare.

La scelta di Kellogg come mediatore ufficiale della prossima amministrazione statunitense riporta in auge un progetto che sembrava superato dai recenti avvenimenti bellici ma che, invece, Donald Trump non disdegnerebbe. D’altronde Kellog e Fleitz hanno entrambi ricoperto il ruolo di capo-gabinetto del Consiglio di sicurezza nazionale durante la prima presidenza del magnate. Nel testo, come ricorda il Guardian, si condannano in toto le scelte di politica estera di Biden usando un linguaggio caro a certa destra complottista. Si biasima l’attuale inquilino della Casa bianca per aver anteposto «le agende idealistiche delle élite globali a una relazione fruttuosa con la Russia», il che non ha determinato altri risultati se non quello di rendere «Mosca nemica degli Usa» e di spingerla «nelle braccia della Cina» oltre ad aver portato allo «sviluppo di un nuovo asse Russia-Cina-Iran-Corea del Nord». Tutto sbagliato, dunque, tutto da rifare. Perché il nemico vero non è Putin, come ha sostenuto più volte il vice di Trump, JD Vance, ma Pechino.

Per questo lo stesso Vance aveva elaborato un piano più diretto per la fine della guerra: costringere l’Ucraina a trattare a partire dalle attuali posizioni sul campo di battaglia, lasciare alla Russia i territori occupati e non fornire alcuna garanzia di sicurezza a Kiev. In caso di mancato assenso da parte di Zelensky ci sarebbe stata l’interruzione totale e immediata delle forniture di armamenti. Alcuni analisti hanno definito questa opzione «congelamento del conflitto» riferendosi al mantenimento dello status quo territoriale senza modificare i confini ufficiali dei due belligeranti. Un aut aut al quale Zelensky non poteva dare il suo consenso, è ovvio, ma che in fin dei conti non si curava dell’opinione del carismatico capo di stato. L’Ucraina si adeguerà perché altrimenti non esisterà più alcuna Ucraina, lasciano intendere i cosiddetti “falchi” trumpiani. Ed è evidente che al Cremlino si fregassero le mani nell’attesa di quel momento in cui da paria dell’Onu e ricercato della Cpi Vladimir Putin sarebbe diventato il vincitore di fatto della guerra. In ogni caso da Mosca continuano a sostenere, almeno ufficialmente, che «il congelamento del conflitto non è una soluzione accettabile» nemmeno per loro.

Ma i due diretti interessati come immaginano il futuro delle rispettive relazioni con la Casa bianca? Incredibilmente sono entrambi d’accordo nell’identificare l’insediamento di Trump come la venuta del messia che si attendeva da 3 anni in Europa orientale. «Putin ora vuole intensificare l’escalation in modo che il presidente Trump non possa avere successo nel porre fine alla guerra» ha dichiarato Zelensky. «Donald Trump è un politico intelligente ed esperto che sarà capace di trovare una soluzione a questa crisi» rilancia Putin. Il fatto è che la famosa imprevedibilità del tycoon, che altro non è se non opportunismo politico allo stato estremo, rende entrambe le visioni plausibili. Blandirlo al momento sembra a Putin e Zelensky il modo migliore per portarlo dalla propria parte. Il motto di Trump è Prima l’America, ma è una sineddoche, l’America nel suo «piano» è lui stesso, tutti gli altri sono comparse a cui di volta in volta si cambia ruolo. I nemici di ieri potrebbero così diventare gli amici di domani e alla fine solo chi ha costruito buoni argini potrà sopravvivere all’esondazione di vanità in stile tardo impero che potrebbe condizionare le scelte di politica estera degli Usa dal 20 gennaio in avanti.

 

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500 mila in oltre 40 piazze per lo sciopero generale convocato da Cgil e Uil. Adesione al 70%. Sindacati di base in corteo contro l’economia di guerra, si mobilitano studenti e mondo dell’università. Un segno di vitalità e una scossa alla politica

La Rivolta Buona Landini: serve rivoltare il paese come un guanto. Bombardieri: lezione di democrazia. A Roma tanti politici con Schlein, a Padova la Fiom avverte Federmeccanica: questa era solo una prova

 Landini a piazza Maggiore a Bologna

Sciopero generale, manifestazione organizzata da Cgil e Uil Piemonte a Torino foto Marco Alpozzi/LaPresse Sciopero generale, manifestazione organizzata da Cgil e Uil Piemonte a Torino – Foto LaPresse

Quarantatré piazze piene non saranno la «rivolta sociale» che Maurizio Landini propugna da settimane ma sono comunque un segnale importante di vitalità e capacità di mobilitazione che Cgil e Uil danno al paese e alla politica.

I «cinquecento mila» che «non si fanno precettare» sono scesi in piazza nel giorno del quarto sciopero generale in quattro anni fanno più notizia delle quattro giornate dello scorso anno, quando Landini e Bombardieri decisero di rimanere sui media più giorni giranto l’Italia divisa in macroregioni.

L’«oltre il 70% di adesione media» che Cgil e Uil hanno annunciato è un dato fortificante, specie nel braccio di ferro con una sempre più filogovernativa Cisl che si è lanciata nella firma di «contratti in solitaria» senza precedenti storici negli equilibri confederali.

A BOLOGNA LA MANIFESTAZIONE più grande con 50 mila persone che hanno sfilato dalle statue dei partigiani di porta Lame che vinsero nazisti e fascisti il 7 novembre del 1944 fino a gremire piazza Maggiore. A chi chiedeva a Maurizio Landini di «moderarsi» dopo la ventilata «rivolta sociale», il segretario generale della Cgil ha risposto alzando l’asticella. Dal palco ha scandito: «È il momento di rivoltare questo paese come un guanto perché le ingiustizie hanno raggiunto un livello non più sopportabile» «e per farlo – ha aggiunto Landini – c’è bisogno della partecipazione di tutte le persone e la rivolta sociale per noi significa proprio dire che ognuno di noi non deve voltarsi da un’altra parte di fronte alle ingiustizie, anzi deve passare l’idea che il problema mio è il problema di tutti e che solo mettendoci insieme possiamo cambiare questa situazione». Per il segretario della Cgil «cambiare la manovra» – slogan della giornata – significa che la «crescita dei profitti che non ha precedenti» garantisce tassandoli «risorse da investire per aumentare i salari».

A NAPOLI CIRCA 30 MILA persone hanno concluso il corteo a piazza Mancini con il leader Uil PierPaolo Bombardieri che dal palco ha attaccato sopratutto il ministro PrecettoQualunque – copyright de il manifesto – Matteo Salvini: «Le piazze piene sono la migliore risposta a chi ha criminalizzato una giornata democratica, pacifica, di lotta e richiesta di attenzione – ha attaccato Bombardieri – . In questo paese non si può raccontare che va tutto bene – ha aggiunto -, c’è gente che soffre e sta in difficolta. Dare voce a queste persone non è reato, ma un diritto riconosciuto dalla Costituzione. Penso che chi ha un ruolo istituzionale dovrebbe avere più rispetto. Noi rispondiamo con piazza e democrazia», ha concluso Bombardieri.

Buona partecipazione anche a Roma – circa dieci mila persone – nella manifestazione con più politici a partire

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Il limite ignoto Il parlamento di Strasburgo dice sì all’invio di testate a lungo raggio a Kiev per colpire in territorio russo. Un atto d’indirizzo, ma simbolico

Ursula von der Leyen e il presidente ucraino Zelensky foto Ap Ursula von der Leyen e il presidente ucraino Zelensky foto 

All’indomani dell’approvazione della Commissione von der Leyen II, l’Eurocamera riunita in seduta plenaria a Strasburgo era attesa al voto su una mozione di sostegno all’Ucraina. Un atto d’indirizzo, cioè non vincolante, ma dal forte valore simbolico.

La mozione mette nero su bianco la posizione dell’assemblea in questa fase del conflitto, segnata sia dal coinvolgimento della Corea del Nord e dai test di nuovi missili balistici russi in Ucraina. Ed è a partire da queste novità che il Parlamento europeo rinnova l’invito a tutta l’Ue e alle capitali europee ad armare Kiev «anche attraverso la fornitura di aerei, missili a lungo raggio compresi i Taurus» nonché «moderni sistemi di difesa come i Patriot e i Samp/t». Si tratta di alcune delle forniture belliche richieste a gran voce dall’Ucraina, ma oggetto di resistenza da parte di diversi paesi Ue.

IL SUPPORTO incondizionato, sia finanziario che armato, all’Ucraina viene esplicitato in tutti i modi dai vertici Ue. È stato anche riconfermato pochi giorni fa in occasione dei 1.000 giorni di guerra, attraverso l’onnipresente slogan «per tutto il tempo necessario», una variazione su tema Draghi, girato ora nella forma che più preme all’Ue. La stessa Eurocamera si era già espressa due volte nel giro di pochi mesi e sempre attraverso lo strumento della mozione. La prima era stata votata addirittura nella prima seduta del nuovo Parlamento, a luglio. La seconda era passata a settembre, quando non erano mancate le polemiche sulla richiesta di permettere a Kiev di poter compire obiettivi militari fuori dal proprio territorio, ovvero in Russia. Quella approvata ieri dall’assemblea a larga maggioranza (390 favorevoli, 135 contrari, 52 astensioni), sembra innalzare ancora più in alto l’asticella dell’aiuto militare a europeo verso Kiev.

SUL TESTO FINALE votano contro soprattutto i gruppi di estrema destra (Sovranisti e Patrioti, compresa Lega e lepenisti) ed estrema sinistra di Left, inclusi gli italiani Lucano, Salis e tutta la componente 5S. I Verdi europei invece si fanno in tre: la maggior parte, compresi i leader Reintke e Eickhout a favore, 3 contrari (gli spagnoli) e alcuni astenuti, fra cui gli italiani Orlando e Scuderi. S&D vota invece a favore (insieme agli altri grandi gruppi: Ppe, Renew, Ecr), inclusa la componente italiana, il Pd, ma con eccezioni nei passaggi considerati più bellicisti.

IL TESTO, IN EFFETTI, conteneva diversi punti delicati. Tanto che, come spesso avviene in casi simili, la votazione si è tenuta per parti separate. Una modalità che rende più complicato interpretare il risultato complessivo e permette alle diverse anime dei gruppi politici di far emergere sfumature e differenze. Ma anche le controversie. Se a settembre il caso era stato quello dei deputati italiani di tutte le famiglie politiche schierati contro l’uso delle armi ucraine oltreconfine, stavolta l’incidente parla tedesco. In un passaggio, il testo della mozione censura la telefonata del cancelliere Scholz a Vladimir Putin. «Quella frase è stata introdotta per volontà degli eurodeputati della Cdu/Csu», spiega al manifesto un esponente S&D. Proprio quei tedeschi che rappresentano la componente più forte all’interno del partito popolare europeo. E proprio quella Germania dove si andrà al voto anticipato a febbraio e il cancelliere uscente Scholz è di nuovo candidato leader dei socialdemocratici. «La componente Spd, è uscita dall’aula al momento del voto su questo punto specifico: non poteva fare altrimenti», ricostruisce la fonte.

L’ATTO DELL’EUROCAMERA si inserisce nel più ampio contesto di un’Europa sempre più armata. Durante il discorso di presentazione dei nuovi commissari prima del voto sul collegio, tenuto mercoledì nell’aula di Strasburgo, von der Leyen ha richiamato la necessità per l’Europa di aumentare lo sforzo bellico. «Se la Russia stanzia il 9% del Pil per la spesa militare e noi l’1,9%, qualcosa di sbagliato c’è». Perfettamente su questa linea gli eurodeputati, dunque, quando ribadiscono come i paesi Ue e gli alleati Nato dovrebbero impegnarsi, sia cooperando tra loro – come stanno cominciando a fare su impulso della Commissione europea attraverso i primi appalti comuni per la fabbricazione di armi e munizioni – che singolarmente, impegnando almeno lo 0.25% del loro Pil.

 

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Ucraina Parlamento Ue, nel voto finale sì di dem (tranne Tarquinio e Strada), Fdi e Fi. Contrari Lega e M5s. Democratici in ordine sparso: i turbo atlantisti favorevoli a colpire la Russia. Schlein su Ursula: «Non è la nostra commissione, i nostri voti non sono scontati»

Elly Schlein e Cecilia Strada foto Claudio Furlan/LaPresse Elly Schlein con Teresa Strada – LaPresse

La politica estera, in particolare il giudizio sulla commissione Ursula bis e il sostegno militare all’Ucraina, resta il tallone d’Achille del fronte progressista. Mercoledì la spaccatura in aula a Strasburgo sul nuovo governo Ue, col Pd a favore (tranne Marco Tarquinio e Cecilia Strada) mentre M5S e Avs hanno detto no. Ieri il replay sull’ennesima risoluzione di sostegno a Zelensky. Dove le divisioni sono state ancora più frastagliate e hanno riguardato anche la piccola delegazione di Avs.

I quattro presenti in aula si sono divisi in tre parti: Ignazio Marino ha votato a favore, Ilaria Salis contro e Leoluca Orlando e Benedetta Scuderi si sono astenuti.

Caos come al solito nel Pd, che si è diviso soprattutto nel voto sugli emendamenti, mentre sul testo finale tutti hanno votato a favore tranne Tarquinio e Strada (astenuti). Sul paragrafo 19 del testo, poi approvato dall’Eurocamera, che esprime sostegno alla scelta di Biden di permettere all’Ucraina di colpire sul territorio russo il Pd si è spaccato in tre: sì dei turbo atlantisti Giorgio Gori, Pierfrancesco Maran, Pina Picierno e Irene Tinagli, no di Strada, Tarquinio e Alessandro Zan. Alto il numero delle astensioni: Lucia Annunziata, Brando Benifei, Stefano Bonaccini, Annalisa Corrado, Antonio Decaro, Camilla Laureti, Giuseppe Lupo, Alessandra Moretti, Matteo Ricci, Sandro Ruotolo, Raffaele Topo e Nicola Zingaretti.

Ancora divisioni sul paragrafo 13, che riguardava la fornitura di missili a lungo raggio all’Ucraina: qui c’è stato il no di Lucia Annunziata, Benifei, Corrado, Decaro, Laureti, Lupo, Ricci, Ruotolo, Strada, Tarquinio, Topo, Zan Zingaretti: a favore Gori, Maran, Moretti, Picierno e Tinagli, astenuto Bonaccini. Sulla difesa aerea, con la richiesta di invio di Patriot e Samp-T, la delegazione del Pd vota a favore, tranne Strada e Tarquinio. Sulla fornitura dei missili tedeschi Taurus l’unica a favore è stata Picierno.

Spaccature evidenti anche nel centrodestra. Sulla mossa di Biden per colpire la Russia Forza Italia e Lega hanno detto no, mentre quelli di Fdi si sono astenuti. Sui missili a lungo raggio i salviniani confermano il no, Fi vota a favore e Fdi si astiene. Nel voto finale Fdi e Fi dicono sì e la Lega no. Il quadro complessivo resta quello delle votazioni precedenti: Lega e 5s confermano il no al sostegno militare a Kiev, mentre Pd, Fdi e Fi ribadiscono di essere a favore.

«Il testo contiene l’impegno alla ricerca di una soluzione diplomatica, il protagonismo dell’Europa per una proposta di pace e la richiesta di un impegno crescente al sostegno di aiuti umanitari», spiega il capodelegazione dem Nicola Zingaretti che sottolinea il no del suo partito all’utilizzo dei sistemi missilistici avanzati su territorio russo. «Una risoluzione immorale, irrazionale e senza logica che testimonia il declino morale e diplomatico della nostra povera Europa», attacca Danilo Della Valle dei 5S.

Nel Pd c’è ancora malessere per la nascita della commissione Ue con Fitto vicepresidente. «La conduzione complessiva del gruppo socialista e il suo rapporto con la costruzione della commissione ha determinato una serie di contraddizioni molto gravi che oggi producono una squadra con un carattere ambiguo e peraltro molto debole: una operazione politica sulla quale una riflessione è necessaria sia nel gruppo socialista che nella delegazione Pd», attacca Andrea Orlando.

Schlein, parlando alla direzione Pd, ha definito l’Ursula bis «una commissione spostata a destra, che non sentiamo nostra. L’allargamento a destra voluto dal popolare Weber è stato un misero fallimento che ha portato alla perdita di 30 voti rispetto a luglio. Vigileremo ogni giorno sulle scelte, i nostri voti non sono scontati, faremo sentire il nostro peso di prima delegazione socialista per evitare smottamenti del programma e per difendere un’Europa sociale, verde e del lavoro e che non accetta la normalizzazione della guerra».

 

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Sciopero generale: oggi Cgil e Uil chiamano all’astensione dal lavoro contro la manovra del governo Meloni. Cortei in tutta Italia. Si fermano anche sindacati di base, studenti e ricercatori (occupato il Cnr). Una giornata di lotta che rimette al centro le vite e non i consumi

Il Tar conferma la precettazione: 4 ore nel trasporto aereo e Tpl. Bombardieri: oramai il Garante è di parte, non più un arbitro. Landini sarà a Bologna, il segretario Uil a Napoli Intanto la Cisl firma un altro «contratto in solitaria»

Manifestazione nazionale di CGIL e UIL Salario Salute Diritti Occupazione con il segretario della Uil Bombardieri ed il segretario della CGIL Landini Roma , 19 Ottobre 2024 - Cronaca - foto di Cecilia Fabiano/LaPresse) Manifestazione nazionale di Cgil e Uil dei settori pubblici con il segretario della Uil PierPaolo Bombardieri ed il segretario della Cgil Maurizio Landini a Roma il 19 Ottobre – Foto LaPresse

Il quarto sciopero generale di Cgil e Uil in quattro anni coincide oggi anche con il Black Friday, e non è un caso.
La data però era già stata scelta da vari Cobas – senza l’Usb – e la concomitanza dei due scioperi generali ha aperto la strada all’ennesimo dimezzamento nei trasporti deciso da PrecettoLaQualunque Matteo Salvini, imbeccato dalla Commissione di garanzia sugli scioperi nei servizi essenziali – mai di profilo giuslavoristico così basso e mai così di nomina politica. «È diventato di parte, il Garante del governo – attacca il segretario Uil PierPaolo Bombardieri – abbiamo aperto una discussione molto franca sul diritto di sciopero, e invece si risponde sbattendo la porta. Noi abbiamo perso fiducia nel Garante, non lo vediamo più come un arbitro».

Ieri il Tar – ma c’erano pochi dubbi – ha confermato la legittimità della decisione rispetto a un ricorso di Cub e Sgb che accusano Cgil e Uil di aver solo annunciato l’impugnazione e la sospensiva senza averla fatta veramente, limitandosi a un ricorso sul merito della decisione che non poteva essere accolto d’urgenza – e dunque nel trasporto aereo lo sciopero sarà dalle 10 alle 14, mentre nel Tpl ogni città ha i suoi orari, mentre saranno rispettate le fasce di garanzia e i treni circoleranno normalmente visto che Cgil e Uil ne avevano già previsto l’esclusione per lo sciopero dello scorso weekend dell’Usb.

LA GARANTE PAOLA BELLOCCHI proprio ieri era alle commissioni Trasporti e Lavoro della Camera dove – «in una audizione imbarazzante» secondo Arturo Scotto del Pd – ha ribadito «il potere di segnalazione di un pregiudizio grave ed imminente ai diritti costitituzionali della persona»: «abbiamo valutato che far fare lo sciopero a tutte le confederazioni – ha spiegato Bellocchi – avrebbe determinato un disequilibrio, una violazione del diritto alla mobilità degli utenti». Insomma, per la Garante gli scioperi generali che bloccavano il paese e facevano cadere i governi – all’epoca della destra – non hanno più ragion d’essere.

Difficile che oggi si blocchi il paese anche perché la Cisl continua nella sua deriva governista, non fa uno sciopero generale da tempo immemore e nelle ultime settimane ha sottoscritto «in solitaria» il contratto dei pubblici Funzioni centrali – e presto potrebbe farlo

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Nuova ondata di maltempo: a Faenza un nuovo muro di cemento ...

Piani speciali ancora assenti. I finanziamenti per i piani che dovrebbero permettere la messa in sicurezza del territorio dopo le alluvioni del 2023 e del 2024 non sono ancora stati trovati.

Dopo l’alluvione del maggio dello scorso anno, i piani speciali erano attesi a giugno 2024. La consegna è poi slittata al termine dell’estate, quindi ad autunno inoltrato.

L’incontro decisivo di fine ottobre però non ha portato a nessuna approvazione. I comuni romagnoli avevano fissato un’ultima data per l’inizio di novembre, minacciando una protesta in caso di nuovo slittamento. L’approvazione però non è ancora arrivata e nemmeno la protesta.

Dopo i ritardi relativi al contenuto dei piani, negli ultimi mesi si è andato lentamente a materializzare il problema delle coperture finanziarie. Al momento sono stati stimati 4 miliardi e mezzo per poter progettare e realizzare opere di difesa nel corso dei prossimi 10-12 anni.

Si parla di bacini allagabili, casse d’espansione, sistemi di difesa delle aree urbane, nuovi argini, barriere, opere all’interno dei fiumi e molto altro. Per capire l’urgenza del piano, basti pensare che l’unica opera di difesa del territorio ravennate, le casse d’espansione di Tebano, pensate una trentina d’anni fa lungo il Senio, non sono mai state ultimate.

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