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«Tecnicalità da rivedere» e dubbi di costituzionalità, con il Colle che vigila. La destra si incarta anche sul ddl sicurezza: il ministro Ciriani (Fdi) mette in conto modifiche e tempi più lunghi, la Lega si arrabbia. Al corteo di sabato a Roma contro la repressione anche Pd e M5S

Cronache di governo Dopo un vertice di maggioranza al Senato, il ministro Ciriani preannuncia correzioni. I dubbi del Colle. Mentre il sottosegretario Ostellari ne approfitta per chiedere più pene per i furti in casa.

 

 Ddl Sicurezza, destra in tilt: «Possibile rinvio alla camera» Manifestazione contro il ddl Sicurezza – LaPresse

Alta tensione nella maggioranza di governo: pomo della discordia è il Ddl Sicurezza che disvela ogni giorno di più la propria inapplicabilità e pericolosità perfino a chi ne ha fatto un vessillo populista e illiberale. Motivo per il quale ieri, dopo un vertice di maggioranza a Palazzo Madama ad hoc, il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani ha annunciato un possibile rinvio alla Camera in terza lettura del testo attualmente ancora all’esame al Senato nelle commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia. A far vacillare le sicurezze delle destre potrebbe aver influito anche l’approfondita riflessione avviata dal Quirinale rispetto a eventuali profili di incostituzionalità. La Lega però non ci sta e dal quartier generale di via Bellerio rende nota la posizione ufficiale: il pacchetto omnibus contro il quale si stanno mobilitando pezzi ampissimi di società civile e del ceto produttivo (soprattutto del nord) va «approvato subito senza perdite di tempo». Mentre dalla Camera si leva la voce indignata dei deputati leghisti che vorrebbero assolutamente evitare una terza lettura. Al momento l’ipotesi più condivisa è un rinvio del voto a gennaio, dopo la manovra.

PECCATO CHE la giornata era iniziata con un’intervista del sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari al quotidiano La Nuova nella quale l’esponente leghista aveva annunciato un inasprimento delle pene per i furti in casa da inserire con un emendamento nello stesso ddl Sicurezza. «Vogliamo alzare il minimo e il massimo della pena, in modo che chi ruba finisca in carcere. E renderemo effettivi anche i risarcimenti: se rubi vai in carcere e risarcisci il danno», era stata l’affermazione roboante. Cosicché dalle parti dei partiti dell’opposizione questo era sembrato un tentativo di camuffare il rinvio alla Camera del ddl per avere la possibilità di riparare i troppi errori giuridici contenuti nel testo e le tante norme «talmente evidentemente incostituzionali che i giudici della Consulta, al primo rinvio da parte di un tribunale, potrebbero quasi evitare di riunirsi», è la battuta che circola.

L’ELENCO DEI PUNTI “deboli” del ddl è lungo quasi quanto quello delle nuove fattispecie di reato e delle aggravanti (venti in tutto) contenute nel provvedimento. Alcuni – «detenute madri e Sim ai migranti» – li cita lo stesso ministro Ciriani al termine del vertice di maggioranza al Senato cui hanno preso parte i sottosegretari leghisti Molteni (Interni) e Ostellari (Giustizia), e i capogruppo della maggioranza nella I° e II° commissione. «Non possiamo escludere una terza lettura del Ddl Sicurezza», è stato costretto ad ammettere Ciriani pur

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La tragedia di Calenzano Le vittime salgono a 5: tre autotrasportatori e due tecnici manutentori dipendenti della Sergen di Grumento Nova. Nell’area delle dieci pensiline di carico c’erano cinque autobotti parcheggiate

Vigili del Fuoco effettuano i rilievi Il giorno dopo l'esplosione al deposito carburanti di Eni a Calenzano - Ansa Vigili del Fuoco effettuano i rilievi al deposito carburanti di Eni a Calenzano, Firenze – Ansa

Li hanno recuperati al mattino i vigili del fuoco, fra le macerie dell’area distrutta dall’esplosione. E non erano tutti camionisti. Solo tre delle cinque vittime dell’immane esplosione al deposito Eni di Calenzano lavoravano come autotrasportatori: al nome di Vincenzo Martinelli si sono aggiunti quello di Carmelo Corso, 57 anni, e Davide Baronti, 49 anni, tutti da tempo residenti in Toscana.

Nel tragico elenco dei morti ci sono però da aggiungere due tecnici manutentori, i lucani Gerardo Pepe e Franco Cirielli, entrambi di 46 anni, dipendenti della Sergen di Grumento Nova (Potenza), che opera nel settore della manutenzione degli impianti petroliferi. E nella stessa azienda lavora Luigi Murno, 37 anni, rimasto gravemente ustionato e ricoverato in terapia intensiva al centro specializzato pisano di Cisanello – Santa Chiara.

I RESPONSABILI della Segren non commentano, per certo l’impresa era al lavoro nel deposito Eni con una squadra di cinque tecnici, a cui era stato chiesto di mettere in sicurezza una linea di benzina dismessa da anni, in un’altra porzione del gigantesco impianto di 170mila metri quadrati.

Le indagini della magistratura dovranno chiarire, fra le tante, anche il perché della loro presenza nell’area delle dieci pensiline di carico delle autocisterne, dove al momento dell’esplosione c’erano cinque autobotti parcheggiate all’altezza degli stalli di approvvigionamento del carburante.

Anche la risposta a questo interrogativo potrebbe aprire ulteriori scenari. Perché, se per la procura di Prato è ancora prematuro ritenere che la causa del disastro sia stata il carico di carburante su un autobotte, un addetto diretto del deposito, che si trovava in uno dei fabbricati intorno alla pensilina andata a fuoco, ha testimoniato ai pm Luca Tescaroli e Massimo Petrocchi di aver visto un liquido uscire da un’autocisterna che stava facendo rifornimento, o forse dal deposito interrato, pochi secondi prima dell’esplosione.

Nonostante il riserbo sull’inchiesta, da ambienti investigativi è emerso che alle 10.21 e 30 secondi, orario registrato, un operatore con un pulsante ha dato l’allarme ma subito dopo c’è stata la deflagrazione. Da parte sua il camionista Enzo Celentano ha raccontato che l’amico Vincenzo Martinelli, prima vittima identificata, «ha fatto un salto indietro» dalla sua autocisterna in fase di carico quando ha visto uscire «una nube di vapore chiaro», come sembra confermato dalle immagini di una telecamera di sicurezza posta in uno dei fabbricati adiacenti al “punto di carico” dei carburanti. Sul punto, alcuni esperti del settore fanno presente che la benzina brucia mentre a causare esplosioni sono i vapori.

IN UNA INCHIESTA in cui si ipotizzano i reati di omicidio colposo plurimo e lesioni colpose, aggravate dalla violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, oltre all’individuazione dell’innesco dell’esplosione ci sarà da capire quale fosse il piano sicurezza nel deposito Eni. E se gli stessi autotrasportatori, per affrettare le operazioni, siano di fatto obbligati a svolgere mansioni che non dovrebbero loro competere.

Sul punto, il documento Manuale sulla sicurezza destinato agli addetti al carico, scarico, facchinaggio di merci e materiali pericolosi, realizzato dall’Inail, spiega che «su indicazione del personale aziendale, l’autista dell’automezzo deve eseguire: apertura della valvola di carico; collegamento tra la manichetta di carico e l’eventuale tubo di riciclo dei vapori dell’autocisterna; manovra della valvola di carico; scollegamento della manichetta di carico dal tubo di riciclo dei vapori; distacco del collegamento elettrico di terra».

DUNQUE SOLTANTO operazioni sul proprio automezzo. E soprattutto l’autista deve «tenersi a debita distanza durante la fase di carico». Procedure di sicurezza che, denunciano alcuni autotrasportatori di merci pericolose, sono spesso scavalcate dai singoli modelli organizzativi delle aziende di stoccaggio.

In solidarietà con le vittime, ieri hanno scioperato per due ore gli addetti della raffineria Eni di Livorno, mentre oggi (ore 14.30) a Calenzano c’è la manifestazione indetta da Cgil Cisl Uil, con sciopero generale provinciale di quattro ore a fine turno.

 

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Israele sfonda la linea di demarcazione fissata dall’Onu sulle alture del Golan ed estende fino alle porte di Damasco la sua «zona difensiva sterile», mentre con 310 raid aerei annienta flotta e basi militari della Siria che fu. Ma per al Julani, il nuovo rais, tutto va bene

Cade la linea Il capo del governo di Hts guiderà la Siria almeno fino a marzo. Uomini legati all’era di Assad giustiziati in strada a Idlib e Hama. 310 gli attacchi aerei sul territorio siriano. Il ministro Katz ordina di costituire una «zona difensiva sterile»

I combattenti HTS (Hayat Tahrir al-Sham) davanti alla Grande Moschea degli Omayyadi a Damasco, in Siria foto Ugur Yildirim/Ansa Jihadisti di Hts davanti alla Grande Moschea degli Omayyadi a Damasco, in Siria – Ugur Yildirim /Ansa

Abu Mohammad al Julani, capo del qaedista Hay’at Tahrir al Sham e nuovo leader siriano al posto di Bashar Assad fuggito in Russia, non ha commentato il martellamento israeliano della Siria che va avanti da giorni. Impegnato a nominare un suo fedelissimo, l’ingegnere di Aleppo Mohammed Bashir, premier ad interim della Siria, Al Julani, il «jihadista diventato buono» che l’amministrazione Biden già pianifica di rimuovere dalla lista dei terroristi, non ha commentato in alcun modo i raid aerei israeliani incessanti sul paese, la distruzione del porto di Latakiya e l’avanzata delle truppe israeliane oltre le linee di armistizio sul Golan che pure ha ispirato il suo nome di battaglia.

Nella notte tra lunedì e martedì, la Marina israeliana ha lanciato un assalto su larga scala contro le navi siriane nella baia di Minet el Beida e nel porto di Latakia, con l’obiettivo di distruggere la flotta di Damasco.

Di questo violento attacco si è appreso mentre un portavoce dell’esercito israeliano negava l’incursione delle forze dello Stato ebraico in profondità nel territorio siriano oltre la zona demilitarizzata, fino a 25 chilometri da Damasco, e l’occupazione della cittadina di Qatana. «Resoconti falsi» ha detto un portavoce militare secondo il quale i reparti israeliani sarebbero presenti solo all’interno della zona cuscinetto e altri punti sul confine, non oltre.

Poi nelle ore successive, sono arrivate ammissioni parziali. Si è appreso che il ministro della Difesa, Israel Katz, ha ordinato la creazione di una «zona difensiva sterile» nella Siria meridionale per «proteggere il paese dal terrorismo».

E nessun sa se e quando Israele farà retromarcia: con il ritorno alla Casa Bianca, tra poco più di un mese, di Donald Trump – che nel suo primo mandato presidenziale ha riconosciuto la «sovranità» israeliana sulle alture del Golan occupate nel 1967 – nessuno può escludere che il presidente eletto permetta a Israele di prendere il controllo di altre porzioni di territorio siriano per «ragioni di sicurezza».

Dalla caduta di Assad, domenica scorsa, Israele ha condotto in Siria continui attacchi aerei, con la motivazione, o il pretesto, di impedire che armi pesanti o sofisticate finiscano in «mani sbagliate».

I raid sono stati almeno 310 in appena 48 ore, ha riferito l’Ong Osservatorio siriano per i diritti umani. Cittadini siriani hanno raccontato sui social di bombardamenti che hanno preso di mira centri di ricerca, aeroporti, installazioni radar, difesa aerea, depositi di munizioni, anche nella zona di Damasco.

Nuvole di fumo hanno avvolto nelle prime ore di ieri i sobborghi della capitale siriana: migliaia di civili hanno temuto il peggio. Israele ha inoltre annientato squadroni di caccia Mig e Sukhoi ed elicotteri, decretando la fine dell’aviazione siriana.

Truppe israeliane vicino al villaggio druso di Majdal Shams, nelle alture del Golan
Truppe israeliane vicino al villaggio druso di Majdal Shams, nelle alture del Golan, foto di Abir Sultan /Ansa

Turchia, Egitto, Qatar e Arabia saudita hanno condannato gli attacchi e l’incursione nel sud, ma non Al Julani.

In un breve discorso alla televisione di Stato, Mohammed Bashir, già primo ministro del Governo di Salvezza nella provincia di Idlib controllata da Hts in una piccola area del nord-ovest controllata dai ribelli, ieri ha annunciato che

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Clima Il 2024 sarà l’anno più caldo mai registrato, battendo anche il primato del 2023. Ma le cattive notizie non finiscono qui: sarà anche il primo a superare la soglia di […]

Copernicus: il 2024 sarà l’anno più caldo della Storia

 

Il 2024 sarà l’anno più caldo mai registrato, battendo anche il primato del 2023.

Ma le cattive notizie non finiscono qui: sarà anche il primo a superare la soglia di 1,5 gradi sopra i livelli pre-industriali, il limite di temperatura più ambizioso fissato dall’Accordo sul clima di Parigi del 2015 e raccomandato dagli scienziati per evitare le conseguenze più estreme della crisi climatica.

A confermare i dati l’osservatorio europeo Copernicus. Con una temperatura media di 1,62 gradi sopra i livelli pre-industriali, il novembre passato è stato il secondo novembre più caldo della storia, dopo quello del 2023.

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I tagli agli italiani Vertice delle grandi occasioni per piccoli «aggiustamenti» a una legge di bilancio tutta tagli e austerità: confermato il flop del concordato fiscale, slitta il taglio dell’Irpef. Enti locali e ministeri colpiti da una maxi riduzione della spesa, ma il turn-over non sarà bloccato. Per ora. Ok al «Mille proroghe»: slitta di 3 mesi l’obbligo di assicurare le imprese contro le calamità naturali

Manovra, una pace armata che prepara un’altra litigata Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni – Ansa

Un vertice delle grandi occasioni sulla manovra ha visto ieri la partecipazione della presidente del Consiglio Meloni, i vice Tajani, Salvini, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, il viceministro Maurizio Leo e il junior partner Maurizio Lupi. Sono stati confermati i tagli agli enti locali previsti dalla legge di bilancio (8 miliardi complessivi fino al 2037) e ai ministeri (7.7 miliardi di euro nei prossimi tre anni). In compenso gli enti locali sono stati risparmiati per un anno dal blocco delle assunzioni che aveva sconfortato ancora di più i sindaci. Lo stesso è accaduto per il personale Ata a scuola e per i ricercatori universitari. E anche per le forze dell’ordine. Nel loro caso il blocco delle assunzioni aveva provocato la protesta delle destre, senz’altro più ascoltata di quella dei sindaci o degli universitari. La ministra Bernini è riuscita a farsi ascoltare almeno su un punto. L’austerità resta per tutti: bisogna tagliare 12 miliardi di euro. Questa situazione durerà sette anni. Come le piaghe d’Egitto.

È STATO CONFERMATO il flop del condono chiamato «concordato preventivo biennale». Non porterà le risorse aggiuntive auspicate per fare un regalo di natale al «ceto medio»: il taglio di due punti dell’Irpef dal 35% al 33%. I 2,5 miliardi complessivi ritenuti necessari per l’iniziativa elettorale non sono stati trovati. Si resta con l’1,3, o poco più, fino a ora raccolto. Per il resto bisognerà aspettare l’anno prossimo, quando saranno disponibili i dati definitivi sull’andamento dei conti pubblici.

DUE POPULISMI FISCALI si scontrano nel governo. Visto che quello di Leo ( Fratelli d’Italia) non ha funzionato, a gennaio i leghisti rilanceranno con un condono tombale sulle cartelle fiscali. Sempre si sceglie la via più regressiva. Per esempio, se la Lega chiedeva un aumento da 30mila a 50mila euro del tetto del reddito da dipendente sotto il quale si può accedere alla flat tax, da oggi si dovrà accontentare di un incremento a 35mila euro.

DELLE RICHIESTE dei sindacati come Cgil e Uil, o di quelli di base, che hanno fatto uno sciopero generale il 29 novembre, non c’è nemmeno l’ombra. In compenso la Confindustria è stata ascoltata. Il vertice ha deciso di accontentarla con l’Ires «premiale». Si tratta di uno sconto fiscale alle imprese che investono una parte dei loro profitti in azienda e assumono, con un taglio dell’Ires del 4%, che farebbe scendere l’imposta dal 24% a 20%. Le risorse necessarie, pari a 400 milioni di euro, saranno reperite dal contributo preso dalle banche e dalle assicurazioni. Non solo alle banche è stato chiesto un anticipo che sarà restituito in seguito, ma una parte di ciò che hanno versato andrà alle imprese. Fosse andato alla Sanità, sarebbe stata una goccia nel mare. Ma almeno avrebbe rappresentato un simbolo. La decisione ha solo un non troppo vago sapore di classe. Non c’erano dubbi sull’ispirazione politica di questo governo.

ALTRO CAPITOLO: LA SANITÀ. Il 20 novembre c’è stato un grande sciopero con alte adesioni. È stato chiesto un vero finanziamento reale, non nominale. In più aumenti, condizioni di lavoro dignitose. Il vertice tra i maggiorenti del governo ieri ha partorito una flat tax al 5% sugli straordinari degli infermieri. In più ci sarà un compenso da 500 euro agli specializzandi: veterinari, odontoiatri, farmacisti, biologi, chimici, fisici, psicologi, e così via. Briciole. Ma si sa: la coperta è corta sempre per gli stessi.

IL CONSIGLIO DEI MINISTRI ieri ha approvato il «Milleproproghe» con le richieste della maggioranza che non hanno trovato spazio nel decreto fiscale o nella manovra. Nel provvedimento, approvato in anticipo rispetto al solito, c’è la proroga dello scudo erariale per gli amministratori. lo slittamento di 3 mesi fino al 31 marzo 2025 dell’obbligo per le imprese di stipulare una polizza contro i danni derivanti da calamità naturali come terremoti, alluvioni e frane e il condono delle multe da 100 euro per i «no-vax» che potranno chiedere un rimborso.

L’ULTIMO VERTICE di coalizione sulla manovra sì era tenuto lo scorso 24 novembre a casa della premier, alla vigilia di una settimana tesa per la maggioranza, con lo scontro in Senato sul decreto fiscale e il governo battuto sul canone Rai. Dopo settimane agitate che hanno prodotto tempeste in un bicchiere d’acqua ieri Salvini ha tenuto a sottolineare che al governo «non hanno nemmeno il tempo di litigare». Proprio lui che aveva definito «intimidatorie» le lettere mandate da Leo per convincere ad aderire al condono-flop. Il vertice di ieri ha siglato «una pace armata fino alla prossima sparata del solito ‘paraculetto’ e al prossimo braccio di ferro» ha osservato Marco Grimaldi (Avs). La morale è sempre quella: l’ora delle grandi decisioni produce dettagli in cronaca, le montagne partoriscono topolini. Eppure, nella maggioranza, ieri c’era chi parlava di «grande soddisfazione» e di un «clima di collaborazione». Domani chissà.

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