Landini: sei sì per sei referendum
Roma, 12 dicembre - “Con il via libera della Cassazione ai sei quesiti referendari si apre una grande opportunità per il Paese. La Cgil, insieme ad un vasto mondo di associazioni e forze politiche, sosterrà convintamente le ragioni del sì ai referendum su: lavoro, autonomia differenziata e cittadinanza”. Ad affermarlo, in una nota, il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini.
Per il leader della Confederazione: “Sarà uno straordinario momento di partecipazione popolare per affermare la libertà di tutte e tutti. Bisogna porre fine ai licenziamenti ingiusti, alla precarietà, al lavoro insicuro, occorre dare cittadinanza a migliaia di italiani e fermare il progetto scellerato di spaccare il Paese con l'autonomia differenziata”.
“Finalmente, attraverso il voto, potremo tutti insieme partecipare e decidere di abrogare leggi sbagliate e ingiuste. È il momento - conclude Landini - del riscatto e della speranza per costruire un'altra società”.
Il palazzo della Corte di Cassazione, a Roma (ANSA/GIUSEPPE LAMI
Giovedì la Corte di Cassazione ha riconosciuto la validità della richiesta di referendum presentata dai partiti di opposizione con l’obiettivo di abrogare la discussa legge sull’autonomia differenziata, cioè quel provvedimento che dovrebbe consentire di trasferire alle regioni che lo richiedono competenze finora gestite prioritariamente dallo Stato. Non è ancora detto che il referendum – un’iniziativa su cui peraltro tutta l’opposizione al governo si era insolitamente compattata – si farà: sarà ora la Corte costituzionale a doverne confermarne l’ammissibilità, entro il 20 gennaio del 2025. Solo allora, eventualmente, il governo e il presidente della Repubblica potranno indire il referendum, che dovrà svolgersi nel caso tra il 15 aprile e il 15 giugno del 2025.
La decisione della Cassazione era molto attesa perché è stata presa dopo un pronunciamento della Corte costituzionale che aveva dichiarato parzialmente incostituzionale la stessa legge sull’autonomia: i quesiti referendari esaminati giovedì dalla Cassazione riguardavano proprio quel testo della riforma considerato in parte illegittimo, e dunque non era chiaro se la sentenza della Corte Costituzionale potesse essere un ostacolo per la loro validità. La Cassazione ha deciso di considerare ancora valido il quesito per l’abrogazione completa della legge, mentre ha ritenuto non più valido il quesito presentato da alcune regioni per un’abrogazione solo parziale.
Commenta (0 Commenti)Piazza Fontana 1969 - 2024 La bomba di Milano e quella del Rapido 904:oltre le responsabilità materiali restano aperte (e ambigue) le piste su complici e mandanti
L’interno della Banca dell’agricoltura di piazza Fontana a Milano poco dopo l’esplosione del 12 dicembre 1969 – Publifoto Press Torino/LaPresse
Tra la strage di piazza Fontana e quella del Rapido 904 passano 15 anni. È in questo arco di tempo che gli storici inquadrano la cosiddetta «Strategia della tensione», un percorso di sangue e dinamite cominciato con il «centrosinistra organico» del doroteo Mariano Rumor e finito con Bettino Craxi alla guida del pentapartito, per dire quanto, nel mentre, sono cambiato i connotati della Repubblica.
PER I FATTI del 12 dicembre 1969 (17 morti per lo scoppio di un ordigno nella sede milanese della Banca dell’agricoltura) una verità giudiziaria esiste, anche se contorta, ed è contenuta in una sentenza di Cassazione del giugno 2005: la responsabilità è del nucleo padovano di Ordine Nuovo guidato da Franco Freda e Giovanni Ventura, non perseguibili però perché in precedenza già assolti per gli stessi fatti. Il resto, come sempre nella storia delle stragi, resta sfumato, anche se gli storici hanno ormai pochi dubbi (anzi nessuno) nel citare frange dei servizi segreti come complici e mandanti. E non si parla solo di italiani.
Era il primo luglio del 1997 quando la Commissione stragi ascoltò il senatore a vita Paolo Emilio Taviani (che nel 1969 era ministro del governo Rumor) dire una frase di estrema chiarezza: «Che agenti della Cia si siano immischiati nella preparazione degli eventi di piazza Fontana e successivi è possibile, anzi sembra ormai certo: erano di principio antiaperturisti e anti-centrosinistra. Che agenti della Cia fossero fornitori di materiali e fra i depistatori sembra pure certo».
SUI MATERIALI, cioè sugli esplosivi, c’è una pista ancora aperta: l’ha seguita negli ultimi anni la procura di Brescia e attualmente è al vaglio processuale nell’ennesimo (e forse ultimo) capitolo giudiziario di un’altra strage, quella di piazza della Loggia del 1974. La tesi investigativa, suffragata da diversi riscontri, è che «i materiali» facessero parte di un fitto giro di scambi di varia natura tra Ordine Nuovo e la base Nato di Verona. Sui depistaggi pure ci sono pochi dubbi: la colpa della strage venne inizialmente attribuita agli anarchici. Pino Pinelli volò giù da una finestra della questura dopo due giorni di interrogatorio, Pietro Valpreda venne dipinto come un mostro, incarcerato e sottoposto a una lunga trafila di processi. Solo nel 1987 una sentenza decreterà in via definitiva la sua innocenza (e l’estraneità ai fatti di Pinelli ). Diciotto anni dopo la tragedia, quando ormai la verità era andata via e l’opinione pubblica era in altre faccende affaccendata.
I DEPISTAGGI e le verità mutilate sono anche le due principali caratteristiche della strage del 23 dicembre 1984, quella della bomba esplosa
Leggi tutto: Indagini infinite nella zona grigia delle stragi - di Mario Di Vito
Commenta (0 Commenti)«Tecnicalità da rivedere» e dubbi di costituzionalità, con il Colle che vigila. La destra si incarta anche sul ddl sicurezza: il ministro Ciriani (Fdi) mette in conto modifiche e tempi più lunghi, la Lega si arrabbia. Al corteo di sabato a Roma contro la repressione anche Pd e M5S
Cronache di governo Dopo un vertice di maggioranza al Senato, il ministro Ciriani preannuncia correzioni. I dubbi del Colle. Mentre il sottosegretario Ostellari ne approfitta per chiedere più pene per i furti in casa.
Manifestazione contro il ddl Sicurezza – LaPresse
Alta tensione nella maggioranza di governo: pomo della discordia è il Ddl Sicurezza che disvela ogni giorno di più la propria inapplicabilità e pericolosità perfino a chi ne ha fatto un vessillo populista e illiberale. Motivo per il quale ieri, dopo un vertice di maggioranza a Palazzo Madama ad hoc, il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani ha annunciato un possibile rinvio alla Camera in terza lettura del testo attualmente ancora all’esame al Senato nelle commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia. A far vacillare le sicurezze delle destre potrebbe aver influito anche l’approfondita riflessione avviata dal Quirinale rispetto a eventuali profili di incostituzionalità. La Lega però non ci sta e dal quartier generale di via Bellerio rende nota la posizione ufficiale: il pacchetto omnibus contro il quale si stanno mobilitando pezzi ampissimi di società civile e del ceto produttivo (soprattutto del nord) va «approvato subito senza perdite di tempo». Mentre dalla Camera si leva la voce indignata dei deputati leghisti che vorrebbero assolutamente evitare una terza lettura. Al momento l’ipotesi più condivisa è un rinvio del voto a gennaio, dopo la manovra.
PECCATO CHE la giornata era iniziata con un’intervista del sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari al quotidiano La Nuova nella quale l’esponente leghista aveva annunciato un inasprimento delle pene per i furti in casa da inserire con un emendamento nello stesso ddl Sicurezza. «Vogliamo alzare il minimo e il massimo della pena, in modo che chi ruba finisca in carcere. E renderemo effettivi anche i risarcimenti: se rubi vai in carcere e risarcisci il danno», era stata l’affermazione roboante. Cosicché dalle parti dei partiti dell’opposizione questo era sembrato un tentativo di camuffare il rinvio alla Camera del ddl per avere la possibilità di riparare i troppi errori giuridici contenuti nel testo e le tante norme «talmente evidentemente incostituzionali che i giudici della Consulta, al primo rinvio da parte di un tribunale, potrebbero quasi evitare di riunirsi», è la battuta che circola.
L’ELENCO DEI PUNTI “deboli” del ddl è lungo quasi quanto quello delle nuove fattispecie di reato e delle aggravanti (venti in tutto) contenute nel provvedimento. Alcuni – «detenute madri e Sim ai migranti» – li cita lo stesso ministro Ciriani al termine del vertice di maggioranza al Senato cui hanno preso parte i sottosegretari leghisti Molteni (Interni) e Ostellari (Giustizia), e i capogruppo della maggioranza nella I° e II° commissione. «Non possiamo escludere una terza lettura del Ddl Sicurezza», è stato costretto ad ammettere Ciriani pur
Leggi tutto: Ddl Sicurezza, destra in tilt: «Possibile rinvio alla camera» - di Eleonora Martini
Commenta (0 Commenti)La tragedia di Calenzano Le vittime salgono a 5: tre autotrasportatori e due tecnici manutentori dipendenti della Sergen di Grumento Nova. Nell’area delle dieci pensiline di carico c’erano cinque autobotti parcheggiate
Vigili del Fuoco effettuano i rilievi al deposito carburanti di Eni a Calenzano, Firenze – Ansa
Li hanno recuperati al mattino i vigili del fuoco, fra le macerie dell’area distrutta dall’esplosione. E non erano tutti camionisti. Solo tre delle cinque vittime dell’immane esplosione al deposito Eni di Calenzano lavoravano come autotrasportatori: al nome di Vincenzo Martinelli si sono aggiunti quello di Carmelo Corso, 57 anni, e Davide Baronti, 49 anni, tutti da tempo residenti in Toscana.
Nel tragico elenco dei morti ci sono però da aggiungere due tecnici manutentori, i lucani Gerardo Pepe e Franco Cirielli, entrambi di 46 anni, dipendenti della Sergen di Grumento Nova (Potenza), che opera nel settore della manutenzione degli impianti petroliferi. E nella stessa azienda lavora Luigi Murno, 37 anni, rimasto gravemente ustionato e ricoverato in terapia intensiva al centro specializzato pisano di Cisanello – Santa Chiara.
I RESPONSABILI della Segren non commentano, per certo l’impresa era al lavoro nel deposito Eni con una squadra di cinque tecnici, a cui era stato chiesto di mettere in sicurezza una linea di benzina dismessa da anni, in un’altra porzione del gigantesco impianto di 170mila metri quadrati.
Le indagini della magistratura dovranno chiarire, fra le tante, anche il perché della loro presenza nell’area delle dieci pensiline di carico delle autocisterne, dove al momento dell’esplosione c’erano cinque autobotti parcheggiate all’altezza degli stalli di approvvigionamento del carburante.
Anche la risposta a questo interrogativo potrebbe aprire ulteriori scenari. Perché, se per la procura di Prato è ancora prematuro ritenere che la causa del disastro sia stata il carico di carburante su un autobotte, un addetto diretto del deposito, che si trovava in uno dei fabbricati intorno alla pensilina andata a fuoco, ha testimoniato ai pm Luca Tescaroli e Massimo Petrocchi di aver visto un liquido uscire da un’autocisterna che stava facendo rifornimento, o forse dal deposito interrato, pochi secondi prima dell’esplosione.
Nonostante il riserbo sull’inchiesta, da ambienti investigativi è emerso che alle 10.21 e 30 secondi, orario registrato, un operatore con un pulsante ha dato l’allarme ma subito dopo c’è stata la deflagrazione. Da parte sua il camionista Enzo Celentano ha raccontato che l’amico Vincenzo Martinelli, prima vittima identificata, «ha fatto un salto indietro» dalla sua autocisterna in fase di carico quando ha visto uscire «una nube di vapore chiaro», come sembra confermato dalle immagini di una telecamera di sicurezza posta in uno dei fabbricati adiacenti al “punto di carico” dei carburanti. Sul punto, alcuni esperti del settore fanno presente che la benzina brucia mentre a causare esplosioni sono i vapori.
IN UNA INCHIESTA in cui si ipotizzano i reati di omicidio colposo plurimo e lesioni colpose, aggravate dalla violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, oltre all’individuazione dell’innesco dell’esplosione ci sarà da capire quale fosse il piano sicurezza nel deposito Eni. E se gli stessi autotrasportatori, per affrettare le operazioni, siano di fatto obbligati a svolgere mansioni che non dovrebbero loro competere.
Sul punto, il documento Manuale sulla sicurezza destinato agli addetti al carico, scarico, facchinaggio di merci e materiali pericolosi, realizzato dall’Inail, spiega che «su indicazione del personale aziendale, l’autista dell’automezzo deve eseguire: apertura della valvola di carico; collegamento tra la manichetta di carico e l’eventuale tubo di riciclo dei vapori dell’autocisterna; manovra della valvola di carico; scollegamento della manichetta di carico dal tubo di riciclo dei vapori; distacco del collegamento elettrico di terra».
DUNQUE SOLTANTO operazioni sul proprio automezzo. E soprattutto l’autista deve «tenersi a debita distanza durante la fase di carico». Procedure di sicurezza che, denunciano alcuni autotrasportatori di merci pericolose, sono spesso scavalcate dai singoli modelli organizzativi delle aziende di stoccaggio.
In solidarietà con le vittime, ieri hanno scioperato per due ore gli addetti della raffineria Eni di Livorno, mentre oggi (ore 14.30) a Calenzano c’è la manifestazione indetta da Cgil Cisl Uil, con sciopero generale provinciale di quattro ore a fine turno.
Commenta (0 Commenti)
Israele sfonda la linea di demarcazione fissata dall’Onu sulle alture del Golan ed estende fino alle porte di Damasco la sua «zona difensiva sterile», mentre con 310 raid aerei annienta flotta e basi militari della Siria che fu. Ma per al Julani, il nuovo rais, tutto va bene
Cade la linea Il capo del governo di Hts guiderà la Siria almeno fino a marzo. Uomini legati all’era di Assad giustiziati in strada a Idlib e Hama. 310 gli attacchi aerei sul territorio siriano. Il ministro Katz ordina di costituire una «zona difensiva sterile»
Jihadisti di Hts davanti alla Grande Moschea degli Omayyadi a Damasco, in Siria – Ugur Yildirim /Ansa
Abu Mohammad al Julani, capo del qaedista Hay’at Tahrir al Sham e nuovo leader siriano al posto di Bashar Assad fuggito in Russia, non ha commentato il martellamento israeliano della Siria che va avanti da giorni. Impegnato a nominare un suo fedelissimo, l’ingegnere di Aleppo Mohammed Bashir, premier ad interim della Siria, Al Julani, il «jihadista diventato buono» che l’amministrazione Biden già pianifica di rimuovere dalla lista dei terroristi, non ha commentato in alcun modo i raid aerei israeliani incessanti sul paese, la distruzione del porto di Latakiya e l’avanzata delle truppe israeliane oltre le linee di armistizio sul Golan che pure ha ispirato il suo nome di battaglia.
Nella notte tra lunedì e martedì, la Marina israeliana ha lanciato un assalto su larga scala contro le navi siriane nella baia di Minet el Beida e nel porto di Latakia, con l’obiettivo di distruggere la flotta di Damasco.
Di questo violento attacco si è appreso mentre un portavoce dell’esercito israeliano negava l’incursione delle forze dello Stato ebraico in profondità nel territorio siriano oltre la zona demilitarizzata, fino a 25 chilometri da Damasco, e l’occupazione della cittadina di Qatana. «Resoconti falsi» ha detto un portavoce militare secondo il quale i reparti israeliani sarebbero presenti solo all’interno della zona cuscinetto e altri punti sul confine, non oltre.
Poi nelle ore successive, sono arrivate ammissioni parziali. Si è appreso che il ministro della Difesa, Israel Katz, ha ordinato la creazione di una «zona difensiva sterile» nella Siria meridionale per «proteggere il paese dal terrorismo».
E nessun sa se e quando Israele farà retromarcia: con il ritorno alla Casa Bianca, tra poco più di un mese, di Donald Trump – che nel suo primo mandato presidenziale ha riconosciuto la «sovranità» israeliana sulle alture del Golan occupate nel 1967 – nessuno può escludere che il presidente eletto permetta a Israele di prendere il controllo di altre porzioni di territorio siriano per «ragioni di sicurezza».
Dalla caduta di Assad, domenica scorsa, Israele ha condotto in Siria continui attacchi aerei, con la motivazione, o il pretesto, di impedire che armi pesanti o sofisticate finiscano in «mani sbagliate».
I raid sono stati almeno 310 in appena 48 ore, ha riferito l’Ong Osservatorio siriano per i diritti umani. Cittadini siriani hanno raccontato sui social di bombardamenti che hanno preso di mira centri di ricerca, aeroporti, installazioni radar, difesa aerea, depositi di munizioni, anche nella zona di Damasco.
Nuvole di fumo hanno avvolto nelle prime ore di ieri i sobborghi della capitale siriana: migliaia di civili hanno temuto il peggio. Israele ha inoltre annientato squadroni di caccia Mig e Sukhoi ed elicotteri, decretando la fine dell’aviazione siriana.
Turchia, Egitto, Qatar e Arabia saudita hanno condannato gli attacchi e l’incursione nel sud, ma non Al Julani.
In un breve discorso alla televisione di Stato, Mohammed Bashir, già primo ministro del Governo di Salvezza nella provincia di Idlib controllata da Hts in una piccola area del nord-ovest controllata dai ribelli, ieri ha annunciato che
Leggi tutto: Al Julani tace sui raid israeliani. E nomina Bashir nuovo premier - di Michele Giorgio
Commenta (0 Commenti)