Destra a pezzi Il governo non parteciperà alle udienze sui sei quesiti al vaglio della Consulta, compresa l’autonomia. Su Zaia guerra Lega-Fdi. I leghisti: «Pronti a correre da soli». Salvini cerca sponde a sinistra sul terzo mandato, ma non ne trova
Sul referendum per l’autonomia, il governo di Giorgia Meloni si chiama fuori: non parteciperà all’udienza del 20 gennaio davanti alla Corte costituzionale per perorare la causa della non ammissibilità del quesito che intende abolire la legge Calderoli. Eppure il ministro leghista, padre della norma, ha sostenuto in ogni sede che il quesito non sia ammissibile, anche perché lui lo ha strumentalmente collegato alla legge di bilancio, e su queste materie la Costituzione nega la via referendaria. Non è solo «un passo indietro» per lasciare esprimere i cittadini nelle urne, quello di Meloni. Ma una sconfessione dell’alleato.
I GOVERNI POLITICI, IN PASSATO, hanno molto spesso perorato la causa delle non ammissibilità dei referendum su leggi approvate dalle loro maggioranze. Stavolta no. E non è un caso che il Veneto leghista abbia invece deciso di partecipare all’udienza del 20 per difendere l’autonomia. La novità emersa ieri da fonti di palazzo Chigi è che la neutralità del governo riguarderà anche gli altri cinque quesiti al vaglio della Corte (l’udienza è stata rinviata al 20 nella speranza che siano già stati eletti i 4 giudici mancanti): e cioè quelli della Cgil sul Jobs Act e quello che punta a rendere più facile la cittadinanza per gli immigrati, promosso da +Europa.
E se sul Jobs Act la mossa è comprensibile (le norme erano state approvate da Renzi) e la cittadinanza è una legge del 1992, lavarsi le mani sull’autonomia ha un peso politico assai diverso. Che non si spiega solo con la volontà di Meloni di non legare la vita del suo governo ai responsi referendari, dall’autonomia fino al premierato a lei caro, per non seguire l’infelice esempio di Renzi che nel 2016 cadde proprio sul referendum costituzionale.
LA LEGA INFATTI NON HA apprezzato. Se il referendum sarà ammesso, i tempi per modificare la legge e farlo saltare saranno piuttosto stretti: la norma prevede infatti che si voti tra il 15 aprile e il 15 giugno. Modificare l’autonomia alla Camera e al Senato in pochi mesi, tra le proteste delle opposizioni, sarebbe molto difficile. Dunque, se la Consulta darà il via libera (presumibilmente a febbraio), sarà una primavera referendaria: e l’amplissimo fronte anti-autonomia farà di tutto per raggiungere il quorum del 50%. Mentre Zaia e il collega lombardo Attilio Fontana sono già virtualmente a capo del fronte dell’astensione, sulla falsariga dell’«andate al mare» di Bettino Craxi nel 1991. Con Meloni democristianamente a guardare.
IL GELO DELLA PREMIER sull’autonomia fa il paio con l’insistenza con cui invece ha deciso di impugnare davanti alla Consulta la legge della Campania per il terzo mandato a Vincenzo De Luca. Giovedì in consiglio dei ministri il leghista Calderoli ha messo a verbale il suo dissenso, che riguarda il principio generale e la sorte di Luca Zaia in Veneto e poi di Massimiliano Fedriga in Friuli. E la volontà del Carroccio di arrivare a una legge nazionale che consenta a tutti i governatori di fare più mandati. Una ipotesi su cui, ammette la Lega, «non c’è intesa» nel centrodestra.
Tanto che i leghisti stanno già studiando vari piani per non cedere il Veneto a Fdi. Zaia, con prudenza, vuole aspettare il verdetto della Consulta su De Luca che arriverà entro fine maggio. I suoi in Veneto minacciano di correre da soli, con una “lista Zaia” in grado secondo le speranze di battere sia Meloni che il centrosinistra. «Una lista così vale il 40-45%, e il Doge li manda tutti a casa…», ragionano. Salvini viene tirato per la giacca e accusato di non difendere abbastanza i governatori.
Il vicepresidente del Senato Gian Marco Centinaio ieri ha detto all’Adnkronos che «si deve aprire un ragionamento che vada anche oltre i confini della maggioranza». «È una questione di democrazia: parlamentari, ministri, presidenti del Consiglio e della Repubblica non hanno limiti di mandato, invece presidenti di Regione e sindaci sì, mi sembra assurdo», attacca.
Ma sponde nelle opposizioni non ce sono: Schlein vuole liberarsi di De Luca e non muoverà un dito per Zaia dopo aver risolto le questioni Bonaccini e Emiliano. « Abbiamo sempre trovato una soluzione unitaria su tutte le candidature, anche le più difficili», insiste Centinaio. E invita gli alleati che hanno votato l’autonomia a «comportarsi di conseguenza» e andare avanti con la riforma.
DA FDI ARRIVA UNA NUOVA doccia fredda. «La decisione del governo sulla Campania dimostra che non c’è alcuna volontà di andare nella direzione dei tre mandati», mette in chiaro il numero due dei senatori Raffaele Speranzon. «Il limite dei due mandati riteniamo garantisca alternanza e ricambio generazionale». Sul dopo Zaia, Speranzon derubrica i malumori leghisti: «Le loro sono dichiarazioni che servono agli iscritti del partito, ma gli elettori veneti di centrodestra vogliono la coalizione unita. E le proposte di Fdi dovranno essere tenute in considerazione per rispetto del 37,5% di veneti che ha votato per noi alle europee».
Lo scontro è destinato a durare a lungo. Il voto, ha fatto capire Meloni, sarà in autunno, nessun rinvio alla primavera 2026. «Legittimo che il premier dica quel che vuole, ma noi rivendichiamo la presidenza», insiste l’assessore regionale Roberto Marcato. «Per noi il Veneto è la linea del Piave», rincara il capogruppo leghista in regione Alberto Villanova. «Siamo pronti a correre da soli».
Commenta (0 Commenti)Il rapporto Dopo mesi di lavoro, la rivista scientifica rivede i numeri. Il 60% sono donne e bambini
Il numero di oltre 45mila vittime riportato dal ministero della sanità di Gaza è una notevole sottostima delle perdite palestinesi causate della guerra di Israele. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet, a causa delle difficili condizioni in cui versano le strutture di soccorso della Striscia il 40% dei morti potrebbe mancare dai registri.
L’analisi, coordinata dalla ricercatrice Zeina Jamaluddine della prestigiosa London School of Hygiene & Tropical Medicine, calcola che già a giugno del 2024 una ragionevole stima dei morti causati da bombardamenti e raid israeliani è di 64mila vittime, e con buona certezza compresa tra le 55 mila e le 78 mila vittime. Alla data del 30 giugno, il ministero di Hamas parlava di 38mila vittime, compresi anche diecimila non identificate. Cioè, poco più della metà della cifra reale. Oggi, trascorsi altri sei mesi, i ricercatori ritengono che siano morti sotto le bombe già più di settantamila palestinesi.
I MESI PEGGIORI sono stati i primi: circa la metà delle vittime sono state registrate tra ottobre e dicembre 2023, facendo aumentare di ben quattordici volte il tasso di mortalità nella Striscia rispetto al 2022. «I dati – spiegano gli autori dello studio – evidenziano la necessità urgente di allargare l’accesso umanitario a tutta la Striscia di Gaza e di proteggere il personale, le ambulanze e le strutture sanitarie in modo che le persone colpite possano ricevere cure tempestive e adeguate, riducendo così la mortalità». E «sottolineano la necessità di iniziative diplomatiche immediate per raggiungere una tregua rapida e duratura e un accordo a lungo termine che comprenda il rilascio degli ostaggi e delle migliaia di civili palestinesi imprigionate da Israele».
PER ARRIVARE alla loro stima, Jamaluddine e i suoi colleghi hanno utilizzato tre fonti diverse. La prima è la lista delle vittime identificate con nome e cognome dagli ospedali di Gaza, che ormai funzionano a singhiozzo. La seconda contiene i dati raccolti dal ministero della sanità attraverso un questionario online a cui le autorità di Gaza hanno invitato tutta la popolazione a partecipare. La terza è rappresentata dai necrologi e da altri messaggi relativi alle vittime diffusi su social media e siti specializzati. Si tratta evidentemente di liste parziali e che contengono moltissime sovrapposizioni. Rimuovere i doppioni ha richiesto mesi di lavoro e ha condotto a un elenco di circa 30mila vittime identificate.
MA OGNUNA delle tre fonti è incompleta e una vittima può rimanere fuori
Leggi tutto: Lancet: 70mila, le vittime a Gaza sono il 40% in più - di Andrea Capocci
Commenta (0 Commenti)Tensioni tra Lega e Fdi: stop al «salva De Luca». Manca l’intesa anche sul referendum
Il primo consiglio dei ministri del 2025 è stato dedicato a dirimere due questioni che fanno fibrillare la maggioranza: terzo mandato (oggi scadevano i termini per impugnare davanti alla Consulta la legge regionale della Campania) e referendum sull’autonomia. Dietro la presunta concordia delle forze che compongono il governo, si nasconde la tenzone specifica tra la premier e Matteo Salvini, come ammesso dalla stessa Meloni davanti ai giornalisti. E le dichiarazioni allarmate prima dell’inizio della riunione di Roberto Calderoli lo confermano.
«SULLA QUESTIONE del terzo mandato siamo arrivati alla conclusione che il tema riguarda un principio fondamentale e quindi la materia è di competenza dello Stato, è la ragione per la quale nel Cdm impugniamo la legge regionale della Campania», aveva dichiarato Meloni ieri mattina, confermando anche che quella del Veneto è una candidatura che fratelli d’Italia vuole avocare a sé, «abbiamo già cominciato a parlarne con Salvini e Tajani e continueremo a farlo». Sarà.
Fatto sta che in Cdm c’è stato un acceso confronto, anticipato dalla reazione della senatrice leghista Erika Stefani che subito dopo l’incontro con la stampa della presidente del Consiglio aveva minacciato: «La lega ha dimostrato di saper governare con un amministratore difficilmente sostituibile che ha raggiunto ottimi risultati, questo vale a costo di andare avanti da soli». Ma la partita delle regionali riguarda anche la Lombardia, dato che Salvini aveva ventilato un possibile scambio tra regioni per rimanere saldo nel Nord Est. Interviene infatti dal Pirellone anche Attilio Fontana, per sottolineare che «i limiti soltanto ad alcune categorie di politici» sono «fuori luogo, è un’anomalia quella del limite al terzo mandato e un errore del governo non intervenire».
Roberto Calderoli durante la riunione non ha potuto fare altro che rimettere al Consiglio dei ministri la decisione sulla legge della Regione Campania. Fonti del Carroccio hanno aggiunto anche che il partito è favorevole a una modifica della legge nazionale «su cui però, al momento, non c’è intesa». Quanto alla Campania, Vincenzo De Luca ha convocato i giornalisti per oggi. Il presidente della Regione non è nuovo a colpi di teatro e i dem lo sanno ma la notizia delle sue dimissioni per andare subito a elezioni, circolata ieri, non sarebbe all’ordine del giorno. Piuttosto è possibile che De Luca non concederà l’onore delle armi, annunciando ricorsi e azioni legali.
L’ALTRO FRONTE aperto con i leghisti è quello sull’autonomia differenziata. L’annuncio di Meloni alla Camera, «oggi decidiamo se, attraverso l’Avvocatura dello Stato, il governo sosterrà l’ammissibilità del referendum sull’autonomia» è stato disatteso. L’accordo non c’è stato e la questione per adesso è stata rimandata. Di certo devono aver pesato le altre parole pronunciate dalla premier sul tema: «sui referendum per le riforme costituzionali considero un errore non stare nel merito della questione, noi ci abbiamo messo la faccia e le consegniamo ai cittadini, io cercherò di spiegare perché riteniamo che siano riforme positive». Un concetto un po’ diverso dall’ordine di «andare al mare», come auspicato, in caso di referendum, da via Bellerio. «Cercherò di fare un passo indietro sui referendum ma il governo deve andare avanti con le modifiche a partire da una legge sui Lep», ha detto mentre, quasi in contemporanea, Calderoli dal Senato ribadiva, nonostante la sentenza della Corte Costituzionale, l’intenzione di proseguire le interlocuzioni con le regioni che hanno già avanzato richieste.
LA NOTIZIA È CHE il premierato è stato declassato da «madre di tutte le riforme» a «priorità» tra le altre. «Vorrei arrivare alle prossime elezioni con la riforma del premierato approvato e una legge elettorale tarata su questo – ha detto Meloni – ma penso che la questione sia materia di competenza parlamentare, se il premierato non dovesse arrivare in tempo ci si interrogherà se questa legge elettorale sia la migliore o no”
È STATA ANCHE formalizzata la nomina del prefetto Vittorio Rizzi come direttore del Dis, al posto della dimissionaria Elisabetta Belloni ed è stata avviata la procedura di nomina ex capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio, come nuovo commissario straordinario alla ricostruzione dopo l’alluvione in Emilia
Commenta (0 Commenti)Conferenza di inizio anno La premier: «Il contratto tra governo e Starlink? Solo interlocuzioni, non faccio favori ma non accetto lettere scarlatte su qualcuno che ha buoni rapporti con me». «Da lui nessuna intromissione nei paesi Ue, Soros molto peggio». «Salvini non andrà al Viminale, contro Arianna strategia del fango. Ruffini? Da lui parole ingenerose sull' evasione». Stilettata ai cronisti: «Rispettate il mio lavoro, basta attribuirmi frasi false. Non so se mi ricandiderò, è una fatica..»
Il ciclone Musk si abbatte sulla conferenza stampa di fine anno (dal 2023 in realtà viene rinviata a gennaio) di Giorgia Meloni. A partire dalla possibilità che l’Italia firmi contratti da oltre 1 miliardo con la sua società di satelliti Starlink, che è molto più di un’ipotesi. «Non c’è nessun contratto firmato, non utilizzo i soldi pubblici per favori agli amici, con lui non ho mai parlato di questo, ci sono normali interlocuzioni con Starlink e altre aziende, siamo solo nelle fase istruttoria».
SULLO SFONDO, MA NEANCHE troppo, il rischio che l’amicizia con il multimiliardario prossimo ad entrare nell’amministrazione Trump possa condizionare le scelte del governo. «Non ci sono alternative pubbliche a società come Starlink, io sono molto laica, l’obiettivo è avere reti di comunicazioni protette con le nostre ambasciate e i nostri contingenti militari all’estero», spiega la premier, sempre più innervosita dal numero delle domande su Musk. «Non accetto che sulle persone che hanno buoni rapporti con me sia messa una lettera scarlatta».
E le ingerenze del patron di Tesla sui governi di mezza Europa, gli attacchi sguaiati al governo del Regno Unito, il sostegno ai fasciopopulisti di Afd? «Non è il primo dei ricchi e famosi che esprime opinioni in pubblico, lui ha finanziato Trump ma non partiti di altri paesi, a differenza di Soros che dà soldi a partiti e leader europei. Ma quello lo chiamano filantropo, con Musk ci si scandalizza perchè non è di sinistra». Immediati arrivano i complimenti di Musk alla premier su X. «Io non prendo soldi da lui, le sue non sono ingerenze, non c’è alcun pericolo per le democrazie. Semmai era il cancelliere Scholz che nel 2022 diceva di votare contro di me, o la ministra francese che dopo la nostra vittoria disse di voler vigilare sulla democrazia in Italia».
Neppure il controllo del social X, con tutte le sue implicazioni politiche, preoccupa Meloni: «Con lui tutti possono esprimere le proprie opinioni, prima di lui Trump fu censurato e anche io sono stata bannata molte volte». Quando il giornalista del Times le legge le parole di Musk sulla ministra britannica Phillips («Una strega malvagia» e una «apologeta dello stupro genocida») Meloni è all’angolo: «Non condivido queste parole, ma devo ricordare gli insulti che ho ricevuto io sui social senza che nessuno si scandalizzasse? Io questa questione la pongo da anni, ora è tardi, con Musk si usano due pesi e due misure».
NELLE OLTRE DUE ORE di conferenza stampa, Meloni difende anche Trump dopo le parole aggressive
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Commenta (0 Commenti)Usa/Ue Macron si precipita dall’inglese Starmer, Scholz attacca: «Confini sovrani». Per Bruxelles solo «provocazioni teoriche»
A pochi giorni dall’insediamento della nuova amministrazione alla Casa Bianca, il 20 gennaio, le dichiarazioni di Donald Trump sull’eventuale uso della forza per l’annessione della Groenlandia «per ragioni di sicurezza economica Usa», risvegliano l’orgoglio di Parigi e Berlino, preoccupate per la sovranità comune europea e non solo per quella nazionale. È invece la Commissione Ue a rispondere con timidezza alle provocazioni del presidente eletto, dopo essersi già espressa con poca incisività rispetto alle ingerenze nella politica europea di Elon Musk tramite il suo social X.
CON UNA MOSSA annunciata all’ultimo minuto, oggi il presidente francese Emmanuel Macron attraverserà la Manica per incontrare il primo ministro Keir Starmer nella sua residenza di campagna di Chequers, vicino Londra. Formalmente, la visita ha in agenda i temi di interesse comune per i due leader, dall’Ucraina all’immigrazione fino alla cybersicurezza e all’intelligenza artificiale. Ma la visita dell’inquilino dell’Eliseo – che fa seguito allo storico viaggio del premier britannico in Francia lo scorso novembre in occasione della celebrazione dell’armistizio della prima guerra mondiale – segna soprattutto l’esigenza di un coordinamento tra Londra e Parigi dopo i ripetuti attacchi di Musk al leader laburista.
L’annessione della Groenlandia sarà pure un’idea balzana «che non si realizzerà», come ha rassicurato il segretario di Stato Usa Blinken. Ma intanto al di qua dell’Atlantico l’esigenza è quella di correre ai ripari.
LE CRITICHE PIÙ ESPLICITE all’amministrazione Trump sono arrivate in prima battuta da Parigi. Ieri mattina il ministro degli Esteri Jean-Noel Barrot, nel corso di un’intervista a radio France Inter, è stato categorico: «La Groenlandia è un territorio dell’Unione europea», ha commentato in risposta alle rivendicazioni del presidente eletto Usa. Per questo motivo «è fuori discussione che l’Ue possa lasciare altre nazioni del mondo, qualunque esse siano, prendere di mira le proprie frontiere sovrane». La Francia eleva così a dimensione europea il tema affrontato internamente dalla Danimarca, che con la premier Mette Frederiksen aveva immediatamente sottolineato come l’isola artica, tanto ricca di risorse naturali e materie prime da far gola alla più grande potenza mondiale, «appartiene ai suoi abitanti» e «non è in vendita».
Dopo quella di Parigi, altrettanto dura la reazione di Berlino, dove il cancelliere tedesco Olaf Scholz menziona lo «sconcerto dei leader Ue» rispetto alle uscite espansioniste di Trump. «Il principio dell’inviolabilità delle frontiere vale per ogni Paese» ha affermato Scholz alludendo anche alle mire su Panama e addirittura sul Canada da parte del prossimo inquilino della Casa Bianca. Poi il cancelliere uscente ha anche ricordato come «la situazione della sicurezza in Europa sarà molto tesa nel prossimo futuro», ribadendo un concetto su cui nelle capitali Ue come a Bruxelles si insiste ormai da tempo: la necessità di «rafforzare la nostra capacità di difesa» comune. Non a caso Trump è tornato sul tema delle spese militari degli alleati Nato, che vorrebbe addirittura innalzate fino al 5% del Pil (il segretario dell’Alleanza Mark Rutte si era accontentato di chiedere il 3%).
MENTRE MACRON e Scholz premono sull’acceleratore di una inedita «sovranità europea», paradossalmente è Bruxelles a prendere tempo. Nel corso del quotidiano briefing con i giornalisti, i portavoce della Commissione Ue hanno sì sottolineato che la sovranità degli stati va sempre rispettata e ricordato che, sotto il profilo giuridico, la clausola di reciproca difesa tra i paesi Ue, prevista dai Trattati, scatterebbe in caso di un’ipotetica occupazione della Groenlandia da parte degli Usa. Però la capo-portavoce dell’esecutivo Ue Pula Pinho ha preferito minimizzare, parlando di «minacce teoriche» che come tali potrebbero non materializzarsi.
Con von der Leyen assente da Bruxelles a causa di una grave polmonite, l’iniziativa europea sembra quindi passata ai governi. Sul caso Musk, che questa sera ospiterà in streaming su X la leader AfD Alice Weidel in vista del voto anticipato del 23 febbraio in Germania, si fanno sentire soprattutto i leader nazionali. Per lo spagnolo Pedro Sánchez, il tycoon «fomenta l’odio attaccando apertamente le nostre istituzioni». Di nuovo il capo della diplomazia francese Barrot richiama la Commissione ad «agire con la massima fermezza» contro le ingerenze dell’alleato di Trump, altrimenti l’esecutivo «dovrà accettare di restituire agli Stati membri dell’Ue la capacità farlo».
E poi tre ministri degli Esteri, quelli di Francia e Germania, affiancati questa volta dalla Polonia, annunciano un’iniziativa diplomatica congiunta, con o senza la presenza dell’Alto rappresentante Ue Kaja Kallas. L’idea è quella di recarsi a Washington dopo l’insediamento di Trump, come «dimostrazione di unità europea», fanno sapere.
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Aveva solo quindici giorni ed era avvolto in una piccola coperta quando il giornalista Islam Bader ha filmato il suo corpo senza vita. Dell’ultimo neonato morto a Gaza, in serata non era ancora noto il nome. Si è saputo soltanto che era uno degli undici membri della famiglia Kallab sterminata da una bomba israeliana che ha centrato in pieno un edificio a Sheikh Radwan, un sobborgo di Gaza city. Poco prima un altro bombardamento a ridosso della presunta «zona sicura» di Mawasi (Khan Yunis) aveva ucciso 20 persone, tra cui cinque bambini. Non sono al sicuro anche i minori in Cisgiordania. Un drone israeliano ha ucciso due bambini, Hamzeh e Rida Bsharat, di 10 e 8 anni, oltre al 23enne Adam Bsharat, nel villaggio di Tammoun. Le forze armate dello Stato ebraico dicono di aver sparato contro miliziani armati.
Sono 17.500 i minori palestinesi uccisi a Gaza dal 7 ottobre 2023. Almeno 74 sono morti nei primi sette giorni dell’anno in attacchi notturni a Gaza City, Khan Younis e Al Mawasi, denunciava ieri l’Unicef, l’agenzia dell’Onu per l’infanzia. «Per i bambini di Gaza, il nuovo anno ha portato più morte e sofferenza a causa di attacchi, privazioni e per il freddo. Troppi bambini sono stati uccisi o hanno perso i propri cari nel tragico inizio del nuovo anno», ha denunciato Catherine Russell, direttrice generale dell’Unicef, ricordando che più di 1 milione di minori vive in tende di fortuna e che otto neonati sono morti per ipotermia.
Neppure gli ospedali, o ciò che resta di essi dopo un anno di assedio, possono aiutare i bambini. Il carburante è terminato. L’ospedale Nasser di Khan Yunis, il più importante nel sud di Gaza, ha bisogno ogni giorno di 5.500 litri di gasolio per tenere in funzione i generatori. Ieri è stato costretto a concentrare l’elettricità disponibile solo nel reparto di terapia intensiva e per tenere accesi i respiratori, le macchine per la dialisi e sale operatorie.
Gli ospedali di Gaza sono diventati «trappole mortali. Le famiglie sono distrutte, i bambini muoiono congelati, la fame sta accorciando le loro vite», ha scritto su X l’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che assiste i profughi palestinesi e che Israele, anche attraverso due leggi che entreranno in vigore a fine mese, intende bloccare fino a spingerla a lasciare i Territori occupati. Ieri il sito internazionale d’informazione Axios ha riferito che funzionari del Dipartimento di Stato americano hanno avvisato il team di transizione dell’Amministrazione Trump che le intenzioni di Israele nei confronti dell’Unrwa provocheranno una catastrofe. Inutile farsi illusioni, il nuovo presidente non farà nulla per salvare l’Unrwa, la più importante delle organizzazioni dell’Onu a Gaza. Proprio Trump decise, durante il suo primo mandato, tra il 2016 e il 2020, di tagliare i finanziamenti Usa dall’agenzia umanitaria in accordo con il premier israeliano Netanyahu. L’espulsione dell’Unrwa da Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est, che Israele accusa di essere una «organizzazione terroristica», è un obiettivo che Trump e Netanyahu proveranno di nuovo a raggiungere subito dopo l’insediamento del tycoon alla Casa Bianca.
Non hanno e non avranno vita facile anche le altre agenzie dell’Onu, ammonisce il capo degli aiuti di emergenza dell’Onu, Tom Fletcher che parla di una «pericolosa tendenza al sabotaggio» della distribuzione degli aiuti umanitari. Dopo aver elencato gli ultimi attacchi israeliani a convogli carichi di cibo, Fletcher avverte che: «nonostante la nostra determinazione a fornire cibo, acqua e medicine ai sopravvissuti, i nostri sforzi per salvare vite umane hanno raggiunto il punto di rottura. Intanto le rigide condizioni meteorologiche invernali peggiorano la situazione già catastrofica».
Continua a parlare di accordo di tregua a Gaza a portata di mano il segretario di Stato uscente Blinken, ma ieri dalle prime ore del giorno si è assistito solo a un’intensificazione degli attacchi israeliani, soprattutto a Gaza city, che è stata l’epicentro di continui raid aerei. Un attacco, riferiva ieri Al Jazeera, ha preso di mira un gruppo di persone uccidendone almeno cinque. Almeno 46 palestinesi sono stati uccisi ieri in tutta la Striscia, 31 nel nord.
Il mancato accordo di tregua sta avendo effetti letali anche per gli ostaggi a Gaza. Ieri l’esercito israeliano ha trovato il corpo senza vita di Yosef Al-Zayadna e resti umani quasi certamente del figlio Hamza in un tunnel di Rafah, nel sud di Gaza, oltre ai cadaveri di due militanti di Hamas. Entrambi palestinesi beduini con cittadinanza israeliana, padre e figlio erano sulla lista di 34 ostaggi che il movimento islamico si è detto disposto a liberare. Sono 98 i sequestrati a Gaza – in vita o morti – 460 giorni dopo il 7 ottobre 2023, quando Hamas ha lanciato un attacco nel sud di Israele.
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