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Finché la barca va Il Viminale promette: «Avanti con convinzione». Ma a livello interno ha armi spuntate. L’ipotesi di anticipare punti del Patto europeo. «Partner comunitari e Commissione stanno pensando di rafforzare le norme Ue che sostengono le procedure in frontiera applicate anche in Albania», dice il ministero dell'Interno

Albania, governo all’angolo senza un intervento dell’Ue Shengjin, i 43 migranti trattenuti nel centro di Gjader salgono sulla nave della guardia costiera per andare

in Italia – Ansa

«Andare avanti a ogni costo»: sì, ma come? Il giorno dopo l’ennesimo flop del progetto Albania le dichiarazioni bellicose del governo stridono con la realtà: a meno di nuove e ben più gravi forzature del quadro normativo, i centri d’oltre Adriatico resteranno vuoti per un po’. «Continueremo su questa strada con convinzione», dice il Viminale, a cui fanno eco i parlamentari FdI. Intanto, però, agli operatori italiani della cooperativa che gestisce le strutture di Shengjin e Gjader è stato detto di tornare a casa. Mentre i 43 migranti, bangladeshi ed egiziani, sono stati trasferiti ieri nel Cara di Bari, accolti in porto tra gli applausi da un presidio dell’Arci. Per ora la prossima scadenza sul tavolo è l’udienza della Corte di giustizia Ue sui rinvii pregiudiziali a tema «paesi di origine sicuri» fissata il 25 febbraio. Per la decisione servirà qualche mese, è attesa in primavera.

SIAMO «AL LAVORO per superare anche questo ostacolo», aveva fatto sapere palazzo Chigi venerdì, subito dopo che la Corte d’appello ha rimesso la vicenda ai giudici del Lussemburgo determinando la liberazione di tutti i cittadini stranieri trattenuti al di là del mare. Il governo, però, non è entrato nel merito di come intende procedere. A oggi non ci sarebbero nuovi interventi legislativi già pronti e anche le indiscrezioni che circolavano l’altro ieri su un nuovo ricorso in Cassazione sono state smentite. Anche perché la Suprema corte ha già sospeso il giudizio nei casi relativi ai primi trasferimenti e da allora è cambiato ben poco.

Come previsto da giuristi ed esperti, trasformare la lista dei «paesi sicuri» in una norma primaria non ha ribaltato l’esito delle richieste di convalida. Tra le altre cose, quella legge stabilisce che il Consiglio dei ministri deve preparare entro il 15 gennaio di ogni anno, sulla base delle informazioni delle fonti qualificate citate dalla direttiva Ue, una relazione che entri nel merito della situazione di ogni Stato presente nell’elenco. Per il 2025 ancora non c’è, tanto che il tribunale di secondo grado della capitale ha richiamato le «schede paese» allegate al vecchio decreto interministeriale di maggio dell’anno scorso, zeppe di eccezioni per categorie di persone sia in Bangladesh che in Egitto.

IL RAGIONAMENTO che ha seguito è lo stesso delle sezioni specializzate in immigrazione, a cui la competenza era stata sottratta a dicembre. Se l’esecutivo l’ha attribuita alle Corti d’appello è perché scarseggiavano altre possibilità. Come quella, pur ventilata, del giudice di pace o perfino del Tar. Una forzatura molto grave perché sarebbero consegnate decisioni che riguardano la sfera dei diritti soggettivi, come l’asilo e la libertà personale, a organi che si occupano di tutt’altro. È però vero che i giudici di pace decidono sui trattenimenti nei Cpr dei cittadini stranieri in situazione di irregolarità amministrativa. In ogni caso se non hanno già trasferito a loro anche la competenza sulla detenzione dei richiedenti asilo, magari in virtù degli altissimi tassi di convalida, qualche motivo deve esserci. Probabilmente la contrarietà del Colle. Farlo adesso per aggirare il secondo organo giurisdizionale sgradito renderebbe ancor più evidente la pretesa di scegliersi i giudici.

L’altra ipotesi del governo italiano è un intervento a livello Ue. In questo senso vanno le ultime dichiarazioni del Viminale. «I partner comunitari in piena sintonia con la Commissione stanno pensando di rafforzare le norme Ue che sostengono le procedure in frontiera applicate anche in Albania non solo con una anticipazione dell’entrata in vigore di alcune norme del Patto ma anche con soluzioni innovative», ha ribadito ieri il ministero. Concretamente si tratterebbe di rendere subito validi alcuni punti del Patto su immigrazione e asilo che sarà effettivo dal giugno 2026. Basterebbe farlo con l’articolo che riguarda i «paesi sicuri»: prevede la possibilità di considerare tali anche quelli che presentano eccezioni territoriali e per categorie di persone.

PER GIORGIA MELONI e Matteo Piantedosi significherebbe smentire la linea sostenuta per mesi, secondo la quale le norme attuali permettono i trattenimenti in Albania. Ma in questi casi non conta avere ragione, conta portare a casa l’obiettivo: la coerenza è un agnello sacrificale di poco valore.

Finora la possibilità di anticipare alcuni punti del Patto è stata ventilata solo a livello informale, ma tecnicamente è possibile. La Commissione dovrebbe presentare una proposta, piuttosto semplice perché limitata a pochi articoli, poi parlamento e Consiglio dovrebbero approvarla. Siamo nel campo delle ipotesi, ma il clima globale è quel che è: da Washington a Berlino la propaganda anti-migranti è sempre più forte. Su questo scommette il governo Meloni.