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di Nicola Fratoianni

L'assenza, o la rimozione. L'avrei titolata così l'intervista a Giuliano Pisapia di oggi a Repubblica. La rimozione di un qualunque tipo di analisi della società, di cosa sia accaduto in tutti questi anni e di cosa abbiano prodotto le politiche del governo Renzi. Ovvero, un attacco al cuore, già debole e malandato, dei diritti collettivi e sociali.
Esiste una sinistra che muove la sua iniziativa senza un giudizio netto sul Jobs Act? Che non vede i 110 milioni di voucher che nel 2016 (per stare ai dati di novembre) legalizzano e rendono ordinaria una moderna forma di schiavitù nel mercato del lavoro? Che sembra rimuovere il danno che la cosiddetta Buona Scuola produce, non solo nella vita di migliaia di insegnanti e studenti, ma nella stessa natura della scuola come luogo di formazione collettiva e di cooperazione?
Ma soprattutto, a tre giorni dal voto si può discutere della sinistra e della sua utilità senza guardare al cuore del voto referendario? Quel No è innanzitutto un voto connotato socialmente. Un voto che in altri tempi avremmo chiamato di classe. È il voto di chi si ribella alla propria condizione sempre più marginale, precaria, povera. È un voto di sinistra? Certamente non solo.
Ma il punto è che lo sbocco politico di quel voto non è scontato! In quel voto esistono pulsioni e perfino aspirazioni differenti. Ma il carico sociale e democratico è il punto determinante. Sì, anche democratico perché la riappropriazione di uno strumento di democrazia diretta per respingere al mittente un pessimo disegno di riforma e per manifestare tutto il proprio dissenso verso un impianto di politiche incapace di dare risposte agli effetti più duri della crisi è un'altra delle questioni a cui dovremmo guardare.
È su questo dunque che si misura la distanza fra quello che penso e quello che propone Pisapia. Due idee della politica e della Sinistra molto differenti. Cosa rischia di diventare infatti la sinistra di Pisapia, senza un giudizio compiuto sul Paese reale? Lo dico senza nessuna voglia di emettere sentenze e provando a prendere sul serio il suo ragionamento.
Rischia di diventare la sinistra degli schemi astratti, definendo in anticipo e senza nessuna prova empirica un "campo progressista", che al di là dell'etichetta e del nome, non ha elementi di progresso da proporre ai milioni che hanno detto No. La Sinistra non può avere come unica ambizione quella di sostituire Alfano e Verdini. La Sinistra non può essere quella del riflesso condizionato rispetto al dibattito fra le correnti del Pd.
Se per davvero dobbiamo essere costretti a misurare noi stessi e a definirci sulla base di quello che accade all'interno del dibattito del Partito Democratico, in un'eterna attesa che qualcosa comunque prima o poi succeda, allora lo dico senza acrimonia e con molto realismo, sarebbe meglio iscriversi al Pd e fare lì dentro la propria battaglia politica. Sarebbe più leggibile e comprensibile.
Resto convinto, ancora di più in questi giorni, che sia necessario qualcosa di completamente diverso. E che deve interessarci più di ogni schema e di ogni riproposizione astratta di ciò che è stato: il campo sociale che il No ha disegnato. Come ho già detto non mi sogno nemmeno di considerarlo come uno spazio della sinistra. Ma quello che so con certezza è che una sinistra che si ponga il tema dell'utilità deve lavorare perché non sia consegnato alla destra.
Ora più che mai, mentre l'attenzione rischia di essere tutta concentrata sulla crisi politica del paese, mentre il dibattito si concentra sulla natura del prossimo governo e sulla legge elettorale, una Sinistra che voglia almeno ambire a ricostruire la sua utilità deve spostare lo sguardo. Per esempio al disastroso dato sulla povertà che ieri l'Istat ci ha consegnato.
Cancellare il Jobs Act e l'odioso strumento del voucher. Cancellare lo sblocca Italia che questa riforma avrebbe voluto costituzionalizzare e la sua idea di sottrarre il territorio e il suo sviluppo al punto di vista di chi lo abita, la Buona Scuola. Per bonificare un terreno inquinato da decenni di politiche sbagliate servirà tempo e serviranno altri rapporti di forza. Per alcune di queste pessime leggi c'è uno strumento, quello dei referendum sociali promossi dalla Cgil che è già disponibile e che va messo in sicurezza in questo passaggio.
Mi rivolgo su questo con assoluto rispetto e piena fiducia nella sua saggezza al Presidente Mattarella. La crisi del paese è prima ancora che politica, sociale e democratica. Qualunque Governo esca da questo passaggio deve mettere tra i suoi primi atti l'indizione di quei referendum. Infine viene il nodo di fondo.
Esiste una Sinistra che non ponga radicalmente in discussione un modello economico e di sviluppo che si rivela ogni giorno più incompatibile con la dignità umana, con la tutela dell'ambiente, col rispetto dei diritti individuali e collettivi? In Europa e nel mondo la Sinistra che torna a disegnare una speranza di cambiamento e riconquista credibilità lo fa, mettendo radicalmente in discussione questo punto.
Da Sanders a Corbyn fino a Pablo Iglesias. Linguaggi e storie diverse che si incontrano su questo punto decisivo. Per questo lo dico ancora una volta. Non so cosa siano i campi progressisti, larghi o stretti. Sono un po' stufo di una discussione che chiama alla responsabilità contro il pericolo populista senza accorgersi che la questione è un po' più complessa e che forse anche a sinistra più di qualcuno ha confuso il populismo col popolo. roviamo dunque a lavorare sull'unico campo che può ridare senso all'ambizione di una sinistra utile al cambiamento. Oggi quel campo è definito in buona parte (anche se non solo) dal carattere sociale del No di domenica scorsa. Facciamolo insieme con tutti quelli e tutte quelle che non si rassegnano all'idea che la sinistra diventi l'arredo di una scena disegnata da altri.
Senza rimuovere le differenze che pure esistono tra noi su molte questioni. Ma almeno con una idea condivisa: o la Sinistra che vogliamo torna a pensare la trasformazione oppure semplicemente non è.