Tregua riarmata I funzionari del Cremlino intanto fanno la voce grossa: nessuna restituzione territoriale e no ai peacekeeper europei
La conferenza stampa congiunta del presidente russo Putin e quello della Bielorussia Lukashenko – Ansa
«L’idea del cessate il fuoco in sé è corretta e certamente la sosteniamo, ma ci sono questioni che dobbiamo discutere». Come era prevedibile Vladimir Putin non ha chiuso la porta al piano proposto dagli Usa e sottoscritto da Kiev a Gedda per un’interruzione temporanea delle ostilità in Ucraina. Tuttavia, nella conferenza stampa congiunta con il presidente bielorusso Lukashenko a Mosca, e prima dell’incontro con l’emissario di Washington Steve Witkoff (atterrato nella capitale russa in mattinata), il capo di stato ha chiarito che la Russia è interessata a una soluzione definitiva del conflitto. Un verdetto sibillino che ha lasciato il dubbio sulle reali intenzioni di Putin e che, tuttavia, Donald Trump ha voluto interpretare con ottimismo. «Sono parole promettenti, ma non completamente» ha dichiarato il tycoon ai giornalisti, aggiungendo che se il Cremlino non dovesse accettare «sarebbe molto deludente per il mondo».
«SIAMO D’ACCORDO con le proposte di cessazione delle ostilità» ha chiarito Putin davanti a un muro di bandiere russe e bielorusse, «ma partiamo dalla posizione che questa cessazione dovrebbe portare a una pace a lungo termine ed eliminare le cause della crisi attuale». Il presidente ha inoltre lasciato intendere che ogni decisione definitiva sarà presa solo dopo aver parlato direttamente con l’inquilino della Casa bianca, forse al telefono. È degno di nota che dopo 3 anni di accuse e insulti dalla distanza, ora per il Cremlino gli Usa siano diventati «i colleghi e partner americani». I dossier aperti sono molti e Putin ne ha citato solo uno, pratico ma fondamentale, a titolo di esempio: «Sorgono questioni relative al monitoraggio e alla verifica» del mantenimento del cessate il fuoco lungo una linea del fronte lunga quasi 2000 chilometri.
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La piazza di quale popoloCi hanno pensato i suoi fedelissimi a chiarire gli altri punti dirimenti. Il consigliere per la politica estera Yuri Ushakov, citato da Interfax, ha dichiarato prima dell’incontro del capo con Witkoff che una risposta negativa fosse «più probabile» in quanto il piano Usa «non è altro che una tregua temporanea per l’esercito ucraino» laddove la Russia invece vuole «un accordo di pace a lungo termine». Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha invece parlato dell’impossibilità di restituire i territori occupati a Kiev. «La Crimea, Kherson, Zaporizhzhia, Donetsk e Lugansk sono regioni della Federazione Russa, come è scritto nella Costituzione russa, e questo è un dato di fatto».
Secondo Reuters, i funzionari di Putin avrebbero consegnato agli Usa una lista di richieste per chiudere la guerra, tra le quali figurano anche il riconoscimento della Crimea e degli altri territori occupati, ma Peskov non ha voluto rilasciare commenti a riguardo. La portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, ha invece chiarito che l’eventuale dispiegamento di un contingente di pace occidentale in Ucraina per il suo governo resta «assolutamente inaccettabile» in quanto sarebbe considerato come «il coinvolgimento di questi paesi in un conflitto fisico diretto» e ciò provocherebbe una risposta «con tutti i mezzi a disposizione».
SE DA UN LATO Donald Trump ha fatto mostra di non aver colto questi distinguo, è però stato costretto a premunirsi in caso di smacco. «Ho delle leve che potrei utilizzare per mettergli pressione ma per ora preferisco non parlarne, stiamo parlando con lui e le dichiarazioni che ha fatto oggi sono state piuttosto positive». Il presidente ha accolto l’invito a parlarsi di Putin e ha rilanciato sul fatto che gli «piacerebbe incontrare» il suo omologo russo. Tuttavia, è evidente che sullo sfondo c’è l’eventualità che gli Usa impongano delle sanzioni molto dure alla Russia e l’incremento, magari in modo massiccio, del sostegno militare all’Ucraina. Si tratterebbe dell’attuazione del piano b previsto dalla strategia elaborata da Kellogg e Waltz durante la campagna elettorale statunitense, anche se Kellogg è stato estromesso dalle trattative in quanto inviso al Cremlino, per essere «troppo filo-ucraino».
Al segretario della Nato che poco dopo è entrato nello Studio ovale il tycoon ha assicurato che gli Usa vigileranno affinché la Russia non attacchi gli alleati del Patto atlantico, ma comunque «non penso che ciò accadrà». Sulla Nato il capo di stato ha, come suo solito, ribadito che Washington ne è il principale finanziatore – «Alla Nato sono arrivati 600 miliardi di dollari da quando sono presidente» – ma stavolta non è stato critico, arrivando a dichiarare che è ora di «rafforzare e ringiovanire» l’alleanza.
PER L’UCRAINA la reazione alle parole di Putin non poteva che essere dura. «Abbiamo tutti sentito dalla Russia parole molto prevedibili e molto manipolative da parte di Putin in risposta all’idea del silenzio sul fronte: in realtà, sta preparando un rifiuto fin da ora ma ha paura di dirlo a Trump» ha dichiarato Zelensky. Tuttavia, Kiev in questo momento deve anche occuparsi dei problemi nel Kursk. Per Peskov siamo «nella fase finale dell’operazione per il liberare il territorio del Kursk». Ieri il ministero della Difesa di Mosca ha annunciato la liberazione totale di Sudzha, il principale centro dell’area occupata dagli ucraini lo scorso agosto. «A causa del peggioramento della situazione operativa nella regione e dei continui bombardamenti, è stato deciso di effettuare l’evacuazione obbligatoria della popolazione di 8 località» della confinante regione ucraina di Sumy, hanno scritto le autorità militari di Kiev.