Veni Vidi Vichy Discorso tv senza il nome del nuovo premier: decido a breve. La colpa della crisi? Degli altri
Il discorso alla nazione di Emmanuel Macron sullo schermo di un video in un bar di Saint-Jean-de-Luz, nel sud della Francia Ansa
E adesso? Emmanuel Macron non si sente responsabile del caos attuale e nominerà «nei prossimi giorni» un nuovo primo ministro, ha detto in televisione ieri sera, che avrà il compito di unire «tutte le forze dell’arco politico che si impegnano a non censurare», un governo di «interesse generale».
Il presidente ha chiarito che ha ancora trenta mesi davanti a sé, quindi che non si dimetterà come alcuni chiedono. L’esempio, neanche a dirlo, è la “nuova” Notre-Dame che sarà riaperta domani, «l’abbiamo fatto», «ognuno aveva un ruolo essenziale», «è la prova che sappiamo fare», come con i Giochi Olimpici. «Dobbiamo fare la stessa cosa con la nazione», un governo che «saprà trovare i compromessi, il rispetto» reciproco. Contro «l’irresponsabilità» di chi ha scelto il «disordine» e il «caos». Principalmente «l’estrema destra» (il termine torna), con l’estrema sinistra.
Estrema destra ed estrema sinistra si sono unite in un fronte antirepubblicano. Alcuni sono tentati di incolparmi per questa situazione. È molto più comodoEmmanuel Macron
Giornata febbrile e toto nomi, sullo sfondo la volontà di dissipare la sensazione di crisi istituzionale, che si diffonde come un’onda tra tutte le forze politiche, senza che nessuno per il momento abbia il coraggio di mettere al centro della discussione la perdita della principale qualità della V Repubblica: la stabilità garantita.
Michel Barnier ha presentato ieri mattina alle ore 10 le dimissioni del suo governo, di cui l’Eliseo ha «preso atto» con un comunicato alle 15,01, dopo aver discusso per un’ora con il primo ministro che resta in carica per «gli affari correnti» fino alla nomina del successore. Macron, che per tre mesi si è soprattutto dedicato alla politica estera, «dominio riservato» della presidenza (anche se Barnier aveva cercato di mettere i piedi, soprattutto sul fronte europeo, forte del suo passato di commissario e di negoziatore del Brexit) è tornato al centro del gioco politico. Ma è un’illusione ottica: il presidente non è più padrone del tempo, a causa della pressione crescente sulle dimissioni, non solo da parte del Nfp e a causa del lento veleno diffuso dal Rn, ma anche perché la fretta che Marine Le Pen vuole imporre si scontra con la necessità di un cambiamento di fondo.
LO HA MESSO IN LUCE Marine Tondelier, segretaria degli Ecologisti, in una lettera in cui si preoccupa che Macron decida su «chi» prima di aver discusso con le forze politiche sul «cosa» e sul «come». Nell’area Macron pero’ molti spingono per una scelta veloce del nuovo primo ministro, per evitare vuoti pericolosi, prima di tutto per il presidente stesso e per il rischio che la Francia si ritrovi senza una finanziaria per il 2025, in balia di leggi-tampone per evitare paralisi (anche se non c’è il rischio di uno shutdown alla statunitense), per le conseguenze sulla vita dei cittadini (dalle tasse all’erogazione dei servizi pubblici) e più in generale per i danni dell’incertezza sull’economia.
Dagli ex ministri verdi Cécile Duflot e Yannick Jadot fino al senatore Pcf Ian Brossat e a Raphaël Glucksmann, europarlamentare di Place Publique c’è insistenza per allargare la base di riferimento politico di un nuovo governo, per costruire un «fronte repubblicano» con un primo ministro di sinistra, nel rispetto del risultato elettorale di luglio, su un programma ecologico e sociale, nel rispetto di una «logica parlamentare». Il Ps ha proposto un patto di «non censura». Per La France Insoumise è «un’illusione» destinata a portare a «un’impasse»: restano fermi nell’idea di un governo di sinistra che segua il proprio programma e che, caso per caso, cerchi intese in parlamento (è già successo, molte leggi nei precedenti governi sono passate con accordi tra gruppi, malgrado i governi senza maggioranza). Sul Nfp, che ha tenuto finora anche per la «censura», pesa il rischio di uno sfilacciamento progressivo.
C’è un fatto: l’Assemblée Nationale è divisa in tre blocchi e la situazione non cambierà fino alle prossime elezioni anticipate, che non potranno però essere convocate dal presidente prima del prossimo luglio, cosa che porta il voto a settembre 2025 (ci vuole un anno tra uno scrutinio e il successivo). Ci sarebbe un modo per aggirare questa regola: le dimissioni concomitanti di tutti i deputati, che implicherebbe 577 elezioni suppletive, ma siamo più su una politica-finzione che nella realtà.
UNA DELLE LEZIONI della crisi è che l’estrema destra non è affidabile. Barnier non ha creduto fino all’ultimo momento che Marine Le Pen decretasse la sua fine. Il primo abbozzo di un’alleanza delle destre, delineato dal governo Barnier, è fallito in Francia. Dentro il Rn sta esplodendo una battaglia che potrebbe diventare sanguinosa e visibile, tra chi si compiace nella «strategia della cravatta» della conquista di una rispettabilità di facciata e le derive radicali e populiste più marcate, anche solo spinte dal tornaconto di Marine Le Pen, per salvarsi dalla sentenza sui furti al parlamento europeo che arriverà il 31 marzo prossimo.
Un primo effetto della crisi è l’indebolimento della Francia nella Ue. La presidente della Commissione ha confermato ieri che sarà presente sabato alla cerimonia di riapertura di Notre-Dame. Ma Ursula von der Leyen oggi potrebbe firmare in Uruguay l’accordo Ue-Mercosur, che la Francia rigetta, mentre Germania e Spagna premono per la conclusione dopo 25 anni di trattative. Ancora ieri, Macron ha ripetuto che «allo stato attuale è inaccettabile», per le conseguenze sull’agricoltura.