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“Io sto con Marchionne” ha ripetuto Renzi nei giorni scorsi. Non è certo una novità, forse ha voluto rinfrescarci la memoria. E, tanto per completare il concetto, è tornato a dare addosso ai sindacati. Fateci capire: Berlusconi e i governi di centro destra erano alleati degli imprenditori, Renzi e il governo di centro sinistra sono alleati degli imprenditori. Ma allora, chi sta coi lavoratori? Che siano in pochi lo dimostrano i fatti: disoccupazione, crescenti disuguaglianze, giovani costretti ad andare all’estero, attacco ai diritti, precarietà, contratti scaduti da anni e mai rinnovati.
La sinistra è un’altra cosa, è stare dalla parte dei più deboli, è battersi per l’uguaglianza e la giustizia sociale.

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“Avanti con le riforme” ripete Renzi tutti i giorni e in tutte le sedi. “Avanti con le riforme” ripetono i cortigiani in coro. “Avanti con le riforme” incalzano Padoan, Squinzi, Juncker, Moscovici e chissà quanti altri da Roma a Bruxelles.
Mai che dicano a quali riforme si riferiscono. Chissà, forse intendono avviare in Italia una seria politica industriale, un fisco che finalmente colpisca speculatori e grandi evasori, un taglio alle pensioni scandalose, un piano di messa in sicurezza del territorio e di tutela dell’ambiente, interventi efficaci per ridurre le disuguaglianze sociali, un assetto delle istituzioni che restituisca sovranità al Parlamento nel rispetto della Costituzione. Di lavoro da fare ce n’è davvero tanto. Che siano queste le riforme che intendono fare?
E un nostro diritto sapere cos’hanno in testa. La cosa ci riguarda, eccome.

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L’aveva già detto Berlusconi: “La Costituzione è superata, datata, frutto di un compromesso catto-comunista”. Ergo: “Governare con questa architettura istituzionale è un inferno”.
Sono trascorsi alcuni anni, il cav. ha l’indice di gradimento floscio, ma la musica è sempre quella. Ora è Renzi a volerci convincere che la Costituzione non va bene perché è vecchia. La Costituzione americana ha 230 anni e a nessuno passa per la testa di cambiarla. Quella della Germania è stata scritta nel 1949 in un contesto simile al nostro, ma ai tedeschi va bene com’è.
Vecchia? Il problema dev’essere un altro.

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Con questo epiteto un amico di gioventù chiamava quei ragazzotti da balera che assumevano ridicoli atteggiamenti alla John Wayne ma si squagliavano subito di fronte ai “veri duri”. Ho pensato a loro guardando il bilancio finale delle roboanti dichiarazioni del nostro presidente del Consiglio che tante preoccupazioni avevano suscitato fra i tremebondi editorialisti nazionali.
Aveva chiesto subito la “bad bank” e dopo che tre o quattro anni fa Germania, Spagna e altri hanno salvato con aiuti diretti di stato un enorme numero delle loro banche ora la vittoria sarebbe che “le sofferenze verranno vendute ai valori di mercato”, uhhh un affarone!
Aveva sventolato come un suo successo la ripartizione dei migranti in tutti i paesi europei ed ora se va bene si eviterà una sospensione generalizzata del trattato di Schengen per due anni (come dire: amen) in cambio della libertà assoluta dei singoli paesi a sospenderlo a loro piacimento. Padoan e Alfano scodinzolano giulivi al seguito del capo, ma a me non viene in mente altro: duri da operetta!

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Renzi ha sentenziato col solito pressapochismo che “gli italiani aspettano da 70 anni la riforma della Costituzione”. Fu approvata, come si insegna fin dalle scuole medie, il 22 dicembre 1947 ed entrò in vigore il 1º gennaio del ’48. Il conto è presto fatto. Certo, anche allora non andava bene a tutti, tanto che ci fu chi votò contro: nostalgici del fascismo e della monarchia. Renzi ha scelto una bella compagnia, complimenti! Abbiamo dunque appreso – la sparata è del settembre scorso – che fra i problemi che angustiano gli italiani fin dall’immediato dopoguerra c’è proprio una Costituzione nata male, da riformare.
Qualcuno gli dica che abbiamo a che fare con questioni che si chiamano disoccupazione, mafie, corruzione, evasione fiscale, conflitti di interesse, troppa burocrazia, disuguaglianze sociali. E gli chieda a quali articoli della Costituzione esse sono imputabili.
La verità è che c’è un disperato bisogno di una classe dirigente competente e onesta. E, soprattutto, seria.

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Dopo la giornata di mobilitazione del 27 novembre e dopo aver esposto le ragioni della protesta al Prefetto, i sindacati Cgil, Cisl e Uil sono tornati in piazza e davanti ai supermercati sabato 5 dicembre assieme agli operatori dei Patronati Inca, Inas e Ital. Con queste iniziative, e con quelle che seguiranno, intendono richiamare l’attenzione dei lavoratori, dei pensionati e dei cittadini sulle pesanti conseguenze dei tagli decisi dal governo alle risorse destinate ai Patronati stessi e ai centri di assistenza fiscale, i Caf.

“Tagliare i fondi dei Patronati – affermano – vuol dire negare la gratuità delle tutele assistenziali, colpire i diritti dei più deboli, abbattere il sistema assistenziale italiano”.

E’ bene sapere che non si sta parlando di soldi dello Stato, ma di una modestissima quota prelevata dal monte contributi previdenziali pagati dai lavoratori dipendenti. E che i Patronati sindacali forniscono gratuitamente consulenza, assistenza e tutela a tutti, iscritti e non iscritti.

Un taglio era già stato importo lo scorso anno, qualora dovesse seguirne in altro – per di più sull’attività già svolta – i Patronati non sarebbero più in condizione di continuare a fornire un servizio gratuito.

Il risultato, com’è evidente, si tradurrebbe in un minore accesso alle diverse prestazioni previdenziali ed assistenziali da parte di persone che pur ne hanno diritto. E in un ulteriore colpo inferto alle organizzazioni dei lavoratori.

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