Fuga di Stato Se il cammino del governo è ancora un po' accidentato è solo perché il passo è goffo ma la meta ambiziosa: niente di meno che tirarsi fuori dallo stato di diritto e dalle istituzioni internazionali che ancora si preoccupano di tenerlo in piedi
Il fatto che il primo pensiero della presidente del Consiglio, ricevuta la notizia di essere indagata per l’evasione di Stato del torturatore libico, sia quello di accendere la telecamera, sventolare orgogliosa l’atto giudiziario e con lo sguardo tagliente ripetere «non sono ricattabile» non è che la conferma di quanto sia illusorio e controproducente pensare di farla cadere con l’arma del codice penale. Lo sa chi non si è troppo distratto negli ultimi trent’anni e ha sentito parlare di un certo Berlusconi (o di un certo Trump). Meloni appare quasi soddisfatta quando rivendica di essere anche lei indagata, come lo è stato inutilmente Salvini e dallo stesso procuratore. Le vie della propaganda sono infinite.
Un magistrato, il procuratore capo di Roma, che non è un giacobino fustigatore di potenti, ma un moderato esponente della corrente di destra delle toghe che ha nel più stretto collaboratore di Meloni, il sottosegretario Mantovano, uno storico punto di riferimento.
La stessa corrente che giusto ieri ha vinto le elezioni tra le toghe: anche il racconto di una magistratura di sinistra e tutta all’opposizione è largamente esagerato. Un uomo di destra, la stessa da cui origina Fratelli d’Italia, è anche l’avvocato che ha presentato la denuncia.
Peraltro della vicenda Elmasry tutto si può dire tranne che gli alti magistrati romani, procura generale e Corte d’appello, abbiano creato ostacoli ai pasticci di palazzo Chigi, Viminale e ministero della giustizia. Casomai hanno collaborato poco con la Corte penale internazionale che adesso chiede spiegazioni. Viene da pensare che il governo abbia fatto l’ennesimo autogol, provando con le prime dichiarazioni di Piantedosi e Nordio a scaricare tutta la responsabilità dell’imbarazzante vicenda sulle toghe romane. Ora i due sono ridotti a nascondersi dal parlamento, dove qualcosa dovrebbero pur dire. E a proposito di torturatori, il governo che fece scappare Kappler almeno evitò di riaccompagnarlo a casa (e un ministro si dimise).
Non è dunque questione di toghe prevenute, non esistono complotti e non c’è nemmeno chissà quale opposizione ringhiante che la presidente del Consiglio deve sfidare «a testa alta». Se il cammino del governo è ancora un po’ accidentato è solo perché il passo è goffo ma la meta ambiziosa: niente di meno che tirarsi fuori dallo stato di diritto e dalle istituzioni internazionali che ancora si preoccupano di tenerlo in piedi.
Siamo a un passo dal «molti nemici molto onore» e dopo la video accusa di Meloni alla Corte penale internazionale – accusa piena di falsità – stiano adesso attenti i giudici che decideranno sulle nuove deportazioni di migranti. Sono giudici che il governo ha scelto con cura, ma anche loro restano soggetti alle stesso diritto costituzionale ed europeo che fin qui sta facendo fallire il «modello Albania».
Sarebbe dunque sbagliato affidarsi al versante giudiziario del caso Elmasry, che molto probabilmente il tribunale dei ministri liquiderà in fretta. Ma certamente il caso politico non è chiuso. Meloni lo ha riaperto, ripetendo la giustificazione di Piantedosi con più autorità e più enfasi. Se il torturatore è stato riportato in Libia con il volo di Stato, ha detto, è perché «era in gioco la sicurezza nazionale». Il soggetto, il governo lo dice apertamente (del resto ci sono centinaia di testimonianze di torturati), effettivamente è assai pericoloso.
Non c’è solo, dunque, l’incongruenza di liberarlo lì dove può continuare a commettere i suoi crimini, invece che farlo processare all’Aja. C’è anche l’esplicita ammissione che uno dei referenti dell’Italia per quel patto con le bande libiche che dal governo Gentiloni in poi serve a tenere i migranti lontano dalle coste italiane e dentro le celle della tortura, è un noto e riconosciuto criminale.
Se Meloni prendesse sul serio le sue stesse parole dovrebbe immediatamente cancellare quei vergognosi accordi. E smettere di garantire impunità e sovvenzioni ai torturatori.