“La pressione contro i combustibili fossili potrebbe raggiungere un punto critico con conseguenze irreversibili”. Con queste parole l’Opec, Organizzazione che riunisce tredici Paesi esportatori di petrolio, ha sollecitato i suoi membri attraverso alcune lettere a “rifiutare qualsiasi testo o formula (nel documento definitivo della Cop 28 di Dubai, ndr) che miri all’energia, cioè ai combustibili fossili, piuttosto che alle emissioni”. Diverse fonti indipendenti hanno confermato l’autenticità delle lettere a Bloomberg e Reuters. Ma se la ministra francese dell’Energia, Agnes Pannier-Runacher, si è detta “sbalordita” e “arrabbiata”, per il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica italiano, Gilberto Pichetto Fratin c’è poco da meravigliarsi. “La Cop28 ha la rappresentanza dei Paesi ma anche la rappresentanza di tanti blocchi di interesse, sarebbe da stupirsi se l’Opec, che rappresenta i Paesi produttori e venditori di petrolio, non tutelasse i propri interessi”. D’altro canto, secondo una ricerca del Corporate Europe Observatory, per la coalizione Kick Big Polluters Out, di cui fa parte ReCommon insieme a oltre 450 organizzazioni, Unione europea e Stati membri hanno accreditato oltre 130 rappresentanti delle imprese Oil & Gas e la delegazione quest’anno è arrivata alla cifra record di 2450 rappresentanti di aziende nel settore. Tra i Paesi europei l’Italia è al terzo posto per dati di accesso. “Grazie all’accredito ufficiale, i lobbisti del fossile avranno accesso ai negoziati istituzionali, a cui non possono partecipare i rappresentanti della società civile o dei media” spiega a ilfattoquotidiano.it Luca Manes, responsabile Comunicazione di ReCommon. E, a riguardo, c’è un nuovo report che rivela come Eni sia la seconda azienda a livello mondiale per progetti di espansione di produzione di idrocarburi negli Emirati, nonché principale partner internazionale dell’azienda di stato emiratina Adnoc.
Le lettere inviate dall’Opec – Secondo quanto riportato dal
Guardian, le lettere – tutte identiche – sono datate 6 dicembre, firmate da
Haitham al-Ghais, dirigente petrolifero kuwaitiano e segretario generale dell’Opec e indirizzare ai tredici membri. Tra questi, gli
Emirati Arabi Uniti, che ospitano la Cop 28, ma anche Arabia Saudita,
Iran, Iraq, Kuwait,
Libia, Algeria, Nigeria,
Angola, Congo,
Gabon, Guinea Equatoriale e
Venezuela. Questi paesi possiedono l’80% delle riserve petrolifere globali e hanno prodotto circa il 40% del
petrolio mondiale negli ultimi dieci anni. Allo stesso tempo, però, oltre 100 Paesi hanno già chiesto che nella decisione finale della
Cop28 si preveda l’eliminazione graduale dei
combustibili fossili. Alcune lettere sono state inviate anche a 10 alleati dell’Opec, noti come paesi
Opec+, tra cui Russia e
Messico, a cui ugualmente si ‘suggerisce’ che un eventuale punto di svolta contro il
petrolio e il
gas, metterebbe “a rischio la prosperità e il futuro del nostro popolo”. “Non esiste un’unica soluzione o un unico percorso per la
transizione energetica, per realizzare un futuro energetico sostenibile” ha detto il segretario generale dell’Opec Haitham Al Ghais. Per la ministra dell’Ambiente Francese, Agnes Pannier-Runacher “la posizione dell’Opec mette in pericolo i
Paesi più vulnerabili e le popolazioni più povere che sono le prime vittime di questa situazione”. Il ministro italiano,
Pichetto Fratin, commenta: “La Cop deve dare un percorso che è quello della
decarbonizzazione che significa superare la fase carbone e successivamente la fase petrolio. Quella dell’
Opec è una mossa di puro interesse di parte”.
Le imprese Oil&gas alla Cop. Anche quelle italiane – E gli interessi di parte alla Cop 28 giocano un ruolo importante, se Unione europea e Stati membri hanno accreditato oltre 132 rappresentanti del settore dei combustibili fossili. E se lo stesso Governo Meloni ha permesso alle big del fossile di far parte della delegazione italiana che partecipa alla Cop 28 di Dubai. Tra gli accreditati, infatti, ci sono gli amministratori delegati di TotalEnergies ed Eni, che sono intervenuti ai colloqui sul clima delle Nazioni Unite come parte delle delegazioni della Commissione Europea e dei governi degli Stati membri. Lo rileva una ricerca del Corporate Europe Observatory. Sia dalla Francia che dal Belgio sono arrivati 26 lobbisti del settore dell’oil&gas, il numero più alto di delegati portati dagli Stati membri dell’Ue e dalla Commissione. Per la Francia sei i lobbisti di TotalEnergies, incluso il ceo Patrick Pouyanné. L’Italia, invece, ha portato il terzo gruppo di lobbisti più grande dell’Ue, diciannove accrediti, con un’ampia delegazione di Eni (14), ma anche quattro rappresentanti di Snam e uno di Edison, società proponente del gasdotto Eastmed. A questi, però, vanno aggiunti il numero uno di Eni, Claudio Descalzi e Guido Brusco, direttore generale Natural Resources di Eni dal 2022 (e presidente di Confindustria Energia) che non sono stati convocati dalla delegazione italiana, ma dalla Commissione Ue.
Eni è la seconda azienda per progetti di espansione di idrocarburi negli Emirati – Ma Eni, attualmente citata in giudizio da Greenpeace Italia, ReCommon e altri dodici cittadini e cittadine, “per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui Eni ha significativamente contribuito”, secondo un nuovo report di Urgewald, Lingo, Reclaim Finance e BankTrack, è la seconda azienda a livello mondiale per progetti di espansione di produzione di idrocarburi negli Emirati. Nonché principale partner internazionale dell’azienda di stato emiratina Adnoc. Come ricorda il think tank italiano Ecco, Eni è presente negli Emirati Arabi Uniti dal 2018 ed è impegnata sia in attività di esplorazione che di produzione, agendo principalmente come operatore in più di 18mila chilometri quadrati di superficie”. L’azienda detiene la quota maggiore di risorse di petrolio e gas in fase di sviluppo e di valutazione negli Emirati dopo Adnoc (622 miliardi di barili equivalenti di petrolio o 5,1%). Tra le varie concessioni rientra il progetto Ghasha, il cui avvio è previsto per il 2025, con una produzione stimata di oltre 450 milioni di metri cubi di gas al giorno e più di 120mila barili di olio e condensati al giorno. “Il progetto sta suscitando le critiche dei movimenti ambientalisti – spiega Ecco – perché il giacimento offshore è situato nella Riserva della Biosfera di Marawah, la più grande riserva marina naturale del Medio Oriente”. Oltre ai numerosi progetti di estrazione e produzione di idrocarburi, Eni e Adnoc stanno investendo nella cattura e lo stoccaggio del carbonio (Ccs). Attualmente l’impianto è associato a un progetto di recupero del petrolio volto ad aumentare la produzione del giacimento petrolifero onshore di Bab, sempre negli Emirati. Le emissioni prodotte dai principali progetti di estrazione di petrolio e gas nei paesi membri dell’Opec del Golfo causeranno più di 43 milioni di morti premature nella regione entro la fine del secolo. La stima è dei ricercatori della rete ambientalista Lingo (Leave it in the ground). I ricercatori di Lingo hanno calcolato anche i danni totali per la regione, misurati in base al costo sociale del carbonio, e ammontano a circa 19.800 miliardi di dollari nell’area del Consiglio di cooperazione del Golfo e a 80.000 miliardi di dollari a livello globale. Si tratta di 70 volte il Pil annuale dell’Arabia Saudita (1.100 miliardi di dollari nel 2022) e di 800 volte l’importo destinato ai finanziamenti annuali per il clima (100 miliardi di dollari).
“La pressione contro i combustibili fossili potrebbe raggiungere un punto critico con conseguenze irreversibili”. Con queste parole l’Opec, Organizzazione che riunisce tredici Paesi esportatori di petrolio, ha sollecitato i suoi membri attraverso alcune lettere a “rifiutare qualsiasi testo o formula (nel documento definitivo della Cop 28 di Dubai, ndr) che miri all’energia, cioè ai combustibili fossili, piuttosto che alle emissioni”. Diverse fonti indipendenti hanno confermato l’autenticità delle lettere a Bloomberg e Reuters. Ma se la ministra francese dell’Energia, Agnes Pannier-Runacher, si è detta “sbalordita” e “arrabbiata”, per il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica italiano, Gilberto Pichetto Fratin c’è poco da meravigliarsi. “La Cop28 ha la rappresentanza dei Paesi ma anche la rappresentanza di tanti blocchi di interesse, sarebbe da stupirsi se l’Opec, che rappresenta i Paesi produttori e venditori di petrolio, non tutelasse i propri interessi”. D’altro canto, secondo una ricerca del Corporate Europe Observatory, per la coalizione Kick Big Polluters Out, di cui fa parte ReCommon insieme a oltre 450 organizzazioni, Unione europea e Stati membri hanno accreditato oltre 130 rappresentanti delle imprese Oil & Gas e la delegazione quest’anno è arrivata alla cifra record di 2450 rappresentanti di aziende nel settore. Tra i Paesi europei l’Italia è al terzo posto per dati di accesso. “Grazie all’accredito ufficiale, i lobbisti del fossile avranno accesso ai negoziati istituzionali, a cui non possono partecipare i rappresentanti della società civile o dei media” spiega a ilfattoquotidiano.it Luca Manes, responsabile Comunicazione di ReCommon. E, a riguardo, c’è un nuovo report che rivela come Eni sia la seconda azienda a livello mondiale per progetti di espansione di produzione di idrocarburi negli Emirati, nonché principale partner internazionale dell’azienda di stato emiratina Adnoc.
Le imprese Oil&gas alla Cop. Anche quelle italiane – E gli interessi di parte alla Cop 28 giocano un ruolo importante, se Unione europea e Stati membri hanno accreditato oltre 132 rappresentanti del settore dei combustibili fossili. E se lo stesso Governo Meloni ha permesso alle big del fossile di far parte della delegazione italiana che partecipa alla Cop 28 di Dubai. Tra gli accreditati, infatti, ci sono gli amministratori delegati di TotalEnergies ed Eni, che sono intervenuti ai colloqui sul clima delle Nazioni Unite come parte delle delegazioni della Commissione Europea e dei governi degli Stati membri. Lo rileva una ricerca del Corporate Europe Observatory. Sia dalla Francia che dal Belgio sono arrivati 26 lobbisti del settore dell’oil&gas, il numero più alto di delegati portati dagli Stati membri dell’Ue e dalla Commissione. Per la Francia sei i lobbisti di TotalEnergies, incluso il ceo Patrick Pouyanné. L’Italia, invece, ha portato il terzo gruppo di lobbisti più grande dell’Ue, diciannove accrediti, con un’ampia delegazione di Eni (14), ma anche quattro rappresentanti di Snam e uno di Edison, società proponente del gasdotto Eastmed. A questi, però, vanno aggiunti il numero uno di Eni, Claudio Descalzi e Guido Brusco, direttore generale Natural Resources di Eni dal 2022 (e presidente di Confindustria Energia) che non sono stati convocati dalla delegazione italiana, ma dalla Commissione Ue.
Eni è la seconda azienda per progetti di espansione di idrocarburi negli Emirati – Ma Eni, attualmente citata in giudizio da Greenpeace Italia, ReCommon e altri dodici cittadini e cittadine, “per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui Eni ha significativamente contribuito”, secondo un nuovo report di Urgewald, Lingo, Reclaim Finance e BankTrack, è la seconda azienda a livello mondiale per progetti di espansione di produzione di idrocarburi negli Emirati. Nonché principale partner internazionale dell’azienda di stato emiratina Adnoc. Come ricorda il think tank italiano Ecco, Eni è presente negli Emirati Arabi Uniti dal 2018 ed è impegnata sia in attività di esplorazione che di produzione, agendo principalmente come operatore in più di 18mila chilometri quadrati di superficie”. L’azienda detiene la quota maggiore di risorse di petrolio e gas in fase di sviluppo e di valutazione negli Emirati dopo Adnoc (622 miliardi di barili equivalenti di petrolio o 5,1%). Tra le varie concessioni rientra il progetto Ghasha, il cui avvio è previsto per il 2025, con una produzione stimata di oltre 450 milioni di metri cubi di gas al giorno e più di 120mila barili di olio e condensati al giorno. “Il progetto sta suscitando le critiche dei movimenti ambientalisti – spiega Ecco – perché il giacimento offshore è situato nella Riserva della Biosfera di Marawah, la più grande riserva marina naturale del Medio Oriente”. Oltre ai numerosi progetti di estrazione e produzione di idrocarburi, Eni e Adnoc stanno investendo nella cattura e lo stoccaggio del carbonio (Ccs). Attualmente l’impianto è associato a un progetto di recupero del petrolio volto ad aumentare la produzione del giacimento petrolifero onshore di Bab, sempre negli Emirati. Le emissioni prodotte dai principali progetti di estrazione di petrolio e gas nei paesi membri dell’Opec del Golfo causeranno più di 43 milioni di morti premature nella regione entro la fine del secolo. La stima è dei ricercatori della rete ambientalista Lingo (Leave it in the ground). I ricercatori di Lingo hanno calcolato anche i danni totali per la regione, misurati in base al costo sociale del carbonio, e ammontano a circa 19.800 miliardi di dollari nell’area del Consiglio di cooperazione del Golfo e a 80.000 miliardi di dollari a livello globale. Si tratta di 70 volte il Pil annuale dell’Arabia Saudita (1.100 miliardi di dollari nel 2022) e di 800 volte l’importo destinato ai finanziamenti annuali per il clima (100 miliardi di dollari).