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CLIMA. La classifica di Germanwatch, Can e Newclimate institute. Ciafani (Legambiente): "Serve un’inversione di rotta, possiamo colmare il nostro ritardo grazie soprattutto al contributo dell'efficienza energetica e delle rinnovabili"

Corteo di Fridays for Future a Milano foto LaPresse Corteo di Fridays for Future a Milano - foto LaPresse

Ieri a Dubai Germanwatch, NewClimate Institute e Can International hanno reso pubblico il Climate Change Performance Index (Ccpi) 2024, cioè il ranking che monitora i progressi in materia di mitigazione dei cambiamenti climatici di 63 Paesi responsabili di oltre il 90% delle emissioni globali.

L’ITALIA è in caduta libera, avendo perso nell’ultimo anno ben 15 posizioni, fino alla 44esima posizione, dietro tra gli altri a Pakistan, Colombia, Indonesia e Messico. Questo risultato negativo è legato in particolare al rallentamento della riduzione delle emissioni climalteranti (37esimo posto della specifica classifica) e a una politica climatica nazionale fortemente inadeguata a fronteggiare l’emergenza (58esimo posto della specifica classifica). «Il governo del Paese ha fatto poco per spingere verso politiche climatiche più ambiziose; in alcuni settori ha addirittura fatto marcia indietro» si legge nella scheda-Paese. E ancora: «Sono previste nuove infrastrutture per i combustibili fossili, come gasdotti e terminali di rigassificazione, e non è in vista alcun piano di eliminazione graduale dei sussidi ai combustibili fossili».
Un quadro desolante: il Climate change performance index (Ccpi) prende come parametro di riferimento gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e gli impegni assunti al 2030; il Ccpi si basa per il 40 per cento sul trend delle emissioni, per il 20 per cento sullo sviluppo sia delle rinnovabili che dell’efficienza energetica e per il restante 20 per cento sulla politica climatica. Anche quest’anno le prime tre posizioni della classifica non sono state attribuite, in quanto nessuno dei Paesi ha raggiunto secondo i ricercatori la performance necessaria per contribuire a fronteggiare l’emergenza climatica e contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1,5 gradi centigradi. Anche se «alcuni Paesi ottengono buoni risultati in singole categorie, nessun Paese è costantemente in “alto” o “molto in alto”. La media non è semplicemente sufficiente per un percorso verso 1,5 gradi. I Paesi devono moltiplicare gli sforzi.

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IN QUESTO SENSO la Cop 28 svolge un ruolo cruciale. «Una decisione vincolante di triplicare la capacità di energia rinnovabile, raddoppiare l’efficienza energetica e ridurre drasticamente l’uso di carbone, petrolio e gas fino al 2030 potrebbe aprire la strada a un percorso allineato con gli obiettivi di Parigi» ha commentato Jan Burck di Germanwatch, uno degli autori. Per quanto riguarda l’Italia, ad esempio, l’attuale aggiornamento del Piano nazionale integrato energia e Clima (Pniec) consente un taglio delle emissioni entro il 2030 di appena il 40,3 per cento rispetto al 1990, davvero poca cosa, un obiettivo insufficiente. «Nonostante il boom delle rinnovabili, la corsa contro il tempo continua. Entro il 2030 – spiega Mauro Albrizio, responsabile ufficio europeo di Legambiente – le emissioni globali vanno quasi dimezzate, grazie soprattutto alla riduzione dell’uso dei combustibili fossili».

E A PROPOSITO di fossili, in fondo alla classifica restano i Paesi esportatori e utilizzatori di combustibili fossili come Emirati Arabi Uniti (65esimi), Iran (66esimo) e Arabia Saudita (67esima). La Cina, che lo ricordiamo è il maggiore responsabile delle emissioni globali, rimane stabile al 51esimo posto dello scorso anno: le emissioni continuano a crescere per il forte ricorso al carbone. Invece gli Stati uniti, secondo emettitore globale, si posizionano al 57esimo posto. Un passo indietro di cinque pozioni rispetto allo scorso anno, «dovuto all’ancora scarsa attuazione delle misure previste dall’Inflation Reduction Act, che destina un considerevole sostegno finanziario per l’azione climatica» spiega un comunicato di Germanwatch.

SOLO TRE MEMBRI del G20, India e Germania (14esime) insieme all’Unione Europe (16esima), sono nella parte alta della classifica. La maggior parte dei Paesi del G20, invece, si posiziona nella parte bassa. Mentre Canada (62esimo), Russia (63esima), Sud Corea (64esima) e – ancora – Arabia Saudita (67esima) sono i Paesi del G20 con la peggiore performance climatica.

Riguardo la posizione dell’Italia, il presidente di Legambiente Stefano Ciafani commenta: «Serve una drastica inversione di rotta. L’Italia può colmare l’attuale ritardo e centrare l’obiettivo climatico del 65 per cento, in coerenza con l’obiettivo di 1,5° gradi, grazie soprattutto al contributo dell’efficienza energetica e delle rinnovabili». È il «Paris compatible scenario» elaborato da Climate analytics, secondo cui il nostro Paese può ridurre le sue emissioni climalteranti di almeno il 65 per cento grazie al 63 per cento di rinnovabili nel mix energetico ed al 91 per cento nel mix elettrico entro il 2030. Per farlo bisogna uscire dal carbone entro il 2025 e dal gas fossile entro il 2035. Uno scenario incompatibile con le scelte del governo Meloni, dal rigassificatore alle porte di Savona al metanodotto Snam, 430 chilometri da Sulmona a Minerbio (Bologna), contro cui ieri si è manifestato nella cittadina abruzzese