Piazze no-green pass. I valori dell’antifascismo non sono retorica ma radice della democrazia. Il discrimine dell’assalto alla sede nazionale della Cgil «dimenticato» dai no-green pass
Manifestazione no green pass a Milano © Luca Bruno /AP
Per il quattordicesimo sabato consecutivo, manifestazioni cosiddette «no green pass», più o meno partecipate a seconda delle città, hanno rappresentato uno «scenario di contesto» del nostro presente.
Caratterizzato da due elementi: la frammentazione dell’agire pubblico e una china post-ideale, più ancora che post-ideologica.
Il primo si pone come preannuncio della inservibilità politica sul piano materiale di un tale aggregato; Il secondo come ripiegamento sul terreno valoriale che trova nella presenza fascista in seno ai cortei (ultimo il gruppo Do.Ra. a Milano) il più evidente degli esempi.
IL 9 OTTOBRE IN QUESTO senso segna un vero e proprio spartiacque attorno alla questione centrale del nostro paradigma costituzionale dei diritti: l’antifascismo.
Il raid squadrista contro la sede nazionale della Cgil, infatti, ha fatto esplodere tutte le contraddizioni interne sia all’aggregato che contesta la «carta verde» sia in seno ai partiti in Parlamento.
La debolezza culturale e politica del dibattito pubblico in Italia sull’antifascismo sconcerta.
Da un lato si risolve, nel migliore dei casi, nella discussione
Leggi tutto: Quando l’obiettivo di queste piazze sono le Camere del lavoro - di Davide Conti
Commenta (0 Commenti)Sistema Pensioni. La nostra previdenza è robusta nel medio e nel lungo periodo, e i margini di spesa vanno usati equamente contro le diseguaglianze che quota 102 e 104 accrescono
foto di Angelo Carconi/Ansa
Puntuali come tutte le volte che si riaccende il dibattito sulle pensioni, negli ultimi giorni sono apparsi sulla stampa e alcune testate online contributi che hanno puntato la lente sui rischi di insostenibilità per il sistema pensionistico italiano. Per il più esplicito tra questi, apparso sul Sole 24 Ore, pare non esserci scampo: “Pensioni, Italia bocciata in sostenibilità”. A sostegno di questa tesi, l’autore cita i risultati di un recente rapporto comparato, il Global Pension Index 2021 in cui l’Italia figura addirittura ultima, sui circa quaranta paesi analizzati, per sostenibilità economico-finanziaria del sistema pensionistico.
Chiariamo subito: le cose non stanno così. Il rapporto, curato da Mercer – una delle più grosse società finanziarie statunitensi – in collaborazione con altri partner, arriva a questo risultato perché include nella dimensione della sostenibilità alcuni fattori che non riguardano strettamente il sistema pensionistico, e che possono avere effetti più o meno negativi sulla spesa a seconda delle caratteristiche di quest’ultimo. Ad esempio, il rapporto non considera che la ridotta crescita economica – che ha effetti generalmente deleteri sui sistemi pensionistici a ripartizione come quello italiano – è però “neutralizzata” in Italia dai meccanismi di aggiustamento automatico della spesa, incardinati nel metodo di calcolo contributivo: revisione automatica dei coefficienti di calcolo della pensione e rivalutazione dei contributi in base alla crescita media quinquennale del Pil, oltre all’incremento automatico dell’età pensionabile nel caso di aumenti dell’aspettativa di vita.
Il tema sostenibilità, tuttavia, riemerge sempre nel dibattito previdenziale italiano. Vale dunque la pena sgombrare il campo da equivoci e cattive interpretazioni, analizzando i dati ufficiali in prospettiva comparata, sia con riferimento tanto al livello di spesa pensionistica sia alla tendenza della stessa.
I dati Eurostat più recenti mostrano che l’Italia ha la seconda spesa pensionistica più elevata d’Europa (dopo la Grecia), pari al 15,4% del Pil e quasi quattro punti percentuali in più rispetto alla media europea (11,6%). Tuttavia, nel dibattito italiano viene spesso argomentato – in specie dal fronte sindacale – che lo scarto con la media Ue diminuirebbe sensibilmente se si tenesse conto che la spesa pensionistica italiana include anche prestazioni a carattere assistenziale. L’annosa questione della separazione tra assistenza e previdenza è però mal posta: anche negli altri paesi europei la spesa pensionistica include prestazioni previdenziali-assicurative assieme a quelle assistenziali (le pensioni sociali) e a quelle rivolte a tutti i residenti (le pensioni cosiddette “di base”, come nel caso olandese). Infatti, considerando soltanto le pensioni previdenziali-assicurative la posizione dell’Italia addirittura peggiora, con una spesa pari al 12,3% del Pil – la più elevata d’Europa – rispetto all’8,5% nell’Ue.
Dobbiamo perciò concludere che i timori circa la sostenibilità sono effettivamente fondati? No, per quattro ragioni fondamentali. Primo, lo scarto tra la spesa italiana e media Ue è previsto ampliarsi lievemente (di circa un punto di Pil) fino al 2040, per poi ridursi sensibilmente a soli 2 punti percentuali nel 2060 – per effetto dei meccanismi del metodo contributivo delineati sopra e del superamento della generazione del baby boom. Secondo, il recente Rapporto annuale Inps mostra un quadro parzialmente differente – e più favorevole – prevendendo una diminuzione della spesa per pensioni dal 16,2% del 2020 al 14,6% nel 2027. Terzo, altrettanto importante, il livello di spesa pensionistica diminuisce sensibilmente – e la posizione relativa dell’Italia migliora di conseguenza – se si considera la spesa netta invece di quella lorda: la spesa italiana si ferma in questo caso al 12,5% del Pil, inferiore alle Grecia (13,8%) e anche alla Francia (12,8%). Che conclusioni trarre, dunque? Dati e previsioni alla mano, il sistema pensionistico italiano appare robusto sotto il profilo della sostenibilità economico-finanziaria, nel breve e ancor più nel medio lungo periodo.
Piuttosto, i “nervi scoperti” del sistema sono evidenti rispetto all’adeguatezza e, soprattutto, all’equità. Pertanto, nel disegnare riforme che vadano ad aggredire le marcate criticità lungo queste due dimensioni, è cruciale che i margini di spesa disponibili vengano efficacemente sfruttati, calibrando le misure sulle classi e i gruppi sociali maggiormente svantaggiati – categorie professionali con minore aspettativa di vita, disoccupati di lungo periodo, individui con carriere frammentate e basse retribuzioni. Evitando invece provvedimenti che, come “Quota 100” e le attuali proposte di “Quota 102/104”, approfondirebbero ulteriormente le disuguaglianze e i profili di regressività nell’accesso al pensionamento.
*Professore ordinario, Università di Milano
Commenta (0 Commenti)Dopo l'aggressione alla Cgil. Il balletto delle mozioni al senato. Destra e centrosinistra non si votano contro. Passa un ordine del giorno che impegna il governo «a valutare le modalità per dare seguito al dettato costituzionale»
Forza nuova: Giuliano Castellino e Roberto Fiore nella piazza dalla quale è partito l'assalto alla Cgil
Undici giorni dopo l’assalto fascista alla Cgil, depositata un po’ di polvere sui perentori inviti a sciogliere immediatamente per decreto Forza nuova, al senato restano gli atti parlamentari e arriva il giorno in cui bisogna votarli. La maggioranza di governo è spaccata e nessuna delle due metà ha i voti necessari. Eppure alla fine due documenti vengono approvati e tutti si dicono soddisfatti. Com’è successo?
Palazzo Madama, ieri pomeriggio. Le mozioni sono tante. Quattro, diverse, del centrosinistra in senso lato. Quella del Pd e quella del M5S chiedono al governo di «adottare i provvedimenti di sua competenza per procedere allo scioglimento di Forza nuova». Non si parla di scioglimento per decreto legge, modalità prevista dal secondo comma dell’articolo 3 della legge Scelba ma mai utilizzata, essendo i precedenti scioglimenti arrivati con decreto ministeriale e «vista» una sentenza di condanna. Draghi è sembrato orientato a seguire questa via già battuta, quando in conferenza stampa ha sottolineato che il caso Forza nuova è all’attenzione della magistratura. Ma dalla manifestazione di sabato scorso e dai sindacati è arrivata, invece, una richiesta di scioglimento immediato. Allude proprio al decreto legge la terza mozione, quella di Italia viva che chiede al governo di adottare un atto «con urgenza». Mentre non indica il provvedimento, ma aggiunge anche CasaPound e Lealtà e azione alla lista delle formazioni da sciogliere, la mozione di Leu firmata anche dalla senatrice a vita Segre.
Per non farsi mancare niente, ci sono anche le mozioni della destra. Fratelli d’Italia traduce plasticamente l’iper attivismo di Meloni sul tema fascismo firmandone ben due. Una solitaria che nelle premesse ripercorre i crimini del comunismo e impegna il governo a contrastare tutti i totalitarismi e l’estremismo islamico. Si erano dimenticati l’antisemitismo, ma lo inseriscono in corsa con un nuovo paragrafo che fa anche tanti esempi, tutti a carico della sinistra. Fratelli d’Italia firma in sovrappiù la mozione di tutto il centrodestra, con Lega e Forza Italia, che nelle premesse se la prende con i centri sociali, Indymedia (buonanima), i No Tav . A questo punto tocca ricordare che l’occasione per questo dibattito in senato è l’aggressione neofascista alla Cgil. Il dispositivo della mozione di centrodestra impegna il governo «ad adottare tempestivamente ogni misura prevista dalla legge per contrastare tutte, nessuna esclusa, le realtà eversive». Nella terza versione del testo si ricordano anche dell’antisemitismo. E tolgono «tempestivamente». Alla fine è l’unica mozione che sopravvive.
Perché dalle quattro mozioni di Pd, Leu, M5S e Iv viene fuori un testo comune, presentato però come ordine del giorno, che asciuga le premesse e conclude con un dispositivo che è identico a quello originario di Pd e M5S. Indica l’obiettivo dello scioglimento di Forza nuova, ma non lo strumento (decreto legge o decreto legislativo dopo una sentenza). «Per essere chiari – dice in dichiarazione di voto la capogruppo del Pd Malpezzi, ed evidentemente ce n’era bisogno – non è lo scioglimento a opera del parlamento di un partito». Soluzione diversa dall’ordine del giorno comune non c’era, visto il regolamento del senato, per non presentarsi al voto con quattro mozioni diverse. Resta l’ultimo problema, perché al governo tocca dare un parere.
Ed ecco il sottosegretario Scalfarotto che di fronte a una maggioranza che sta un po’ di là e un po’ di qua decide di rimettersi all’aula.
Questo ufficialmente. Dietro le quinte il governo chiede ai gruppi parlamentari di evitare di votarsi contro, eventualità che oltretutto avrebbe rischiato di non far passare nessun documento. Sai che figura. E allora nessuno chiede il voto elettronico, che avrebbe registrato le scelte dei senatori, e si finisce con due belle alzate di mano. La parte sinistra della maggioranza vota solo il suo ordine del giorno e non vota sulla mozione. La parte destra della maggioranza e con lei Fratelli d’Italia vota solo la sua mozione ma non vota contro gli altri. Il senato approva entrambi gli atti di indirizzo. Sono tutti contenti.
Pochi ma buoni. Dei 5 milioni di cittadini chiamati ai ballottaggi, circa la metà votava a Roma, dove per il neosindaco è andato ai seggi un elettore su quattro, con un collasso della rappresentanza che ci restituisce la sostanza di una pallida democrazia
Un anno dopo le elezioni regionali celebrate in piena pandemia, quando la cartina geografica, dal Piemonte alla Sicilia, era dominata dal centrodestra, l’orientamento restituito dal voto comunale questa volta porta le insegne vincenti del centrosinistra, con un risultato per molti versi sorprendente. E dunque ieri ha avuto buon gioco il segretario del Pd nel sottolineare come «i nostri elettori siano più avanti di noi», perché i voti piddini e quelli pentastellati «si sono mescolati», a Roma come a Torino.
Le leadership di Letta e di Conte ne escono rafforzate, sia all’interno dei rispettivi recinti, sia all’esterno, su quanti, da Renzi a Calenda, mal digeriscono l’alleanza giallorossa. Naturalmente quando verrà il turno delle elezioni politiche (e ancor prima quella del presidente della Repubblica) i giochi saranno di altra natura, e nulla autorizza trionfalistiche conclusioni.
Godiamoci dunque il pesante cappotto del 5 a 0 subito dalle destre nelle
Leggi tutto: Vincitori di un popolo in fuga - di Norma Rangeri
Commenta (0 Commenti)Una piazza San Giovanni gremita, come non si vedeva da tempo: 200mila persone, secondo gli organizzatori, hanno preso parte alla manifestazione “Mai più fascismi” indetta dai sindacati a Roma dopo l’assalto alla sede della Cgil di sabato scorso.
“Questa bellissima piazza parla a tutto il paese”, afferma il segretario della Cgil Maurizio Landini, salendo sul palco. Questa “non è solo una risposta allo squadrismo fascista, è qualcosa di più: questa piazza rappresenta tutta l’Italia che vuole cambiare il Paese, che vuole chiudere la storia della violenza politica. Essere antifascisti si è per garantire la democrazia di tutti e i principi fondamentali della nostra Costituzione”. E ancora: “Questa piazza chiede atti concreti, dalla solidarietà si deve passare all’azione concreta, lo Stato dimostri la sua forza democratica nell’applicare le leggi e i principi della Costituzione”.
https://www.huffingtonpost.it/entry/sindacati-al-via-manifestazione-oltre-60mila-in-piazza_it_616ac15ee4b01f6f7e49c542
Marci su Roma. Tante gente al presidio davanti alla sede nazionale. Il segretario: sabato grande manifestazione "Mai più fascismi". Delegazioni da tutti i partiti
La manifestazione della Cgil davanti alla sede nazionale dopo l'assalto fascista di sabato © Foto Cgil
A meno di sedici ora di distanza dall’assalto fascista alla sede nazionale della Cgil la risposta di mobilitazione democratica arriva pronta ed efficace. Davanti a Corso d’Italia già mezz’ora prima delle 10 non si riesce a camminare. Almeno un migliaio di persone rispondo subito all’invito del sindacato per reagire “all’assalto squadrista”. Mentre si prepara già la grande manifestazione unitaria con Cisl e Uil “Mai più fascismi” per il 16 ottobre, sabato pomeriggio con piazza San Giovanni già prenotata per le troppe richieste che renderebbero piazza del Popolo troppo piccola.
Tanti giovani che cantano a squarciagola e ripetutamente “Bella ciao” e “Ora e sempre Resistenza”, fin troppi politici e persone da tutta Italia che restano a scambiarsi indignazione e voglia di mobilitarsi ben dopo il discorso di Maurizio Landini, unico a parlare. A Roma come in tutte le Camere del Lavoro, obiettivo ieri come esattamente cento anni fa dei fascisti.
La devastazione della “Capitol Hill italiana” è impressionante. I Forzanuovisti di Roberto Fiore hanno devastato buona parte del piano terra della sede dalla Cgil, distruggendo computer e uffici, rovinando quadri sotto le foto di Di Vittorio.
“Un atto fascista e squadrista: deve essere chiaro: se qualcuno ha pensato di intimidirci, di metterci paura, di farci stare zitti, deve sapere che la Cgil e il movimento dei lavoratori hanno già sconfitto il fascismo in questo Paese e riconquistato la democrazia. Non ci intimidiscono, non ci fanno paura”, esordisce il segretario generale della Cgil.
Leggi tutto: Landini: risponderemo con la partecipazione all’assalto squadrista
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