NESSUNA TREGUA. I soldati «stanno facendo una serie di esercizi in modo da essere pronti per l’operazione» ha tenuto a far sapere ieri un portavoce militare di Israele. La poco rilevante informazione […]
Un ragazzo palestinese piange la morte dei suoi familiari a Rafah - foto Ap
I soldati «stanno facendo una serie di esercizi in modo da essere pronti per l’operazione» ha tenuto a far sapere ieri un portavoce militare di Israele. La poco rilevante informazione serviva a bilanciare una assai più importante notizia di segno opposto: l’invasione di terra nella striscia di Gaza è rimandata.
Il portavoce militare si riferiva alla fanteria: l’aviazione i suoi «esercizi» non li ha mai interrotti, come sanno bene i palestinesi sotto le bombe. In attesa della carneficina terrestre che arriverà, scivola come un dettaglio la carneficina aerea che c’è già. Ma sono più di cinquemila i morti palestinesi dall’inizio dell’assedio, in maggioranza donne e bambini, mentre lo stesso governo israeliano parla di centinaia di capi di Hamas colpiti, così confermando anche nei numeri che la guerra è fatta ai civili. Solo tra domenica e lunedì sono morti in quasi cinquecento dicono le fonti dalla Striscia. Malgrado l’invasione si faccia attendere. Sono morti nell’attesa.
Ieri l’ufficio per gli affari umanitari delle Nazioni unite ha comunicato che più della metà della popolazione di Gaza è ormai sfollata. Ha lasciato case che assai difficilmente rivedrà, abbia successo o meno l’espulsione collettiva perché nel frattempo quelle case saranno state tutte distrutte. Il trasferimento forzato di massa, ha ricordato anche l’Onu, è un crimine.
Crimine particolarmente efferato in questo caso, visto che le persone che sono state fatte sfollare verso sud con la promessa di corridoi sicuri sono state in più occasioni ugualmente bombardate. Tanto da fuggire di nuovo verso nord, cercando una salvezza sempre più difficile dentro una gabbia sempre più piccola e più esposta al fuoco.
Ma il concetto di crimine, così come persino quello di diritto internazionale, secondo il realismo dei fomentatori della rabbia di Israele sono ormai
Leggi tutto: La strage che si prepara, quella che il mondo non vede - di Andrea Fabozzi
Commenta (0 Commenti)Dalla lotta ai rave al decreto sicurezza, dalla cancellazione del reddito di cittadinanza all'incentivazione della precarietà: 12 mesi vissuti a colpi di spot
Il 22 di ottobre del 2022 il governo guidato da Giorgia Meloni giurava al Quirinale, il 23 la cerimonia della Campanella a Palazzo Chigi per il passaggio di consegne da Mario Draghi alla leader di Fratelli d’Italia, il 31 aveva luogo il primo Consiglio dei ministri e il nuovo esecutivo si qualificava così da sé: via libera al decreto rave. Norme per limitare le manifestazioni pubbliche, elaborate a seguito di un rave party a Modena che aveva richiesto l’intervento delle forze dell’ordine, ma che contenevano, tra l’altro, anche misure che indebolivano la cosiddetta legge spazzacorrotti. Immediata l’impressione non solamente che il decreto potesse essere una limitazione della libertà di manifestare, ma che questo esecutivo si sarebbe connotato per la capacità di cavalcare l’emotività e procedere con criminalizzazioni di comodo.
Tra Natale e Capodanno arriva il primo decreto sicurezza e nasce una serie di norme in materia di immigrazione, tema che sta molto a cuore al governo, tanto che riesce per lunghi tempi a imporlo sulle prime pagine dei quotidiani e nei media in generale. Prima mossa colpire e limitare l’operatività delle Ong che con le loro navi soccorrono i migranti in mare, sino ad arrivare al decreto Cutro, seguito alla strage di migranti nei mari della Calabria, che potenzia i Centri di permanenza per i rimpatri, nell’ottica di “prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare”.
Altre norme hanno poi aumentato il tempo di permanenza dei migranti nei Cpr, sino ad arrivare al decreto dello scorso settembre che prende di mira i minori non accompagnati, presunti mentitori che dovranno, in caso di dubbi sulla loro età, essere sottoposti a rilievi antropometrici. Non solamente, se hanno più di sedici anni è possibile collocarli nelle strutture per adulti, prive naturalmente di servizi a loro adeguati. È stabilita anche una stretta sui permessi per la protezione speciale. Un insieme di misure che ha sollevato una vasta gamma di proteste, dai sindaci, alle forze dell’ordine alle associazioni umanitarie.
E il lavoro? Affermare ‘non pervenuto’ sarebbe inesatto, ma per trovare un provvedimento esclusivamente dedicato al problema principe del
Leggi tutto: Governo Meloni, l'anno della propaganda - di Simona Ciaramitaro
Il 27 ottobre saremo nuovamente nelle piazze italiane per ribadire le ragioni dell’appello «Fermiamo la guerra, riprendiamo per mano la pace», condividendo l’invito di papa Francesco e l’iniziativa di Amnesty International e dell’Associazione delle ong italiane di cooperazione e di solidarietà
ISRAELE/PALESTINA. La distruzione di Gaza e l’accanimento contro la sua popolazione non porterà la sicurezza d’Israele. Il seme della vendetta piantato da Hamas è veleno, se raccolto il conflitto si allarga
Tante sono le iniziative che si stanno realizzando nelle città italiane e del mondo per dire basta a questa ennesima guerra, per evitare che al terrore seminato da Hamas, vinca la vendetta di Israele sulla popolazione civile di Gaza, dove 2,3 milioni di persone sono imprigionate senza più cibo, servizi sanitari, abitazioni, acqua, un disastro umanitario che nessuno sembra in grado di fermare.
Va detto e ridetto questa è la sconfitta di tutti. Nessuno si può salvare da questa responsabilità di lasciar consumare un crimine di guerra in mondovisione, in attesa dei bollettini di guerra che aggiornano numeri di morti, di distruzioni, di emergenze e richieste di aiuto inascoltate.
Non sarà la distruzione di Gaza e l’accanimento contro la sua popolazione a portare la sicurezza d’Israele. Il seme della vendetta piantato da Hamas e dai suoi alleati, è un seme avvelenato che non va raccolto se non si vuole andare ad una
Leggi tutto: Fermiamo la guerra, riprendiamo per mano la pace - di Sergio Bassoli *
Presidi, fiaccolate, momenti di silenzio, azioni di solidarietà previste in tutte le città italiane per chiedere lo stop al conflitto israelo-palestinese
Continua in tutta Italia la mobilitazione per chiedere Pace in Palestina e Israele, con appuntamenti in numerose città in questa fine settimana e in vista dell'iniziativa nazionale diffusa del prossimo venerdì 27 ottobre. Presidi, fiaccolate, momenti di silenzio, azioni di solidarietà sono avvenute nei giorni scorsi a Bologna, Brescia, Milano, Modena.
La Rete italiana pace e disarmo fa sapere che da oggi ai prossimi giorni sono previste iniziative a Reggio Emilia, Massa, Ferrara, Verona, Piacenza, La Spezia, Firenze, convocate sui contenuti e le prospettive del documento "Israele-Palestina: fermiamo la violenza, riprendiamo per mano la Pace", promosso dalla Coalizione "Assisi Pace Giusta" che sta raccogliendo numerose adesioni.
L'obiettivo è di rafforzare le richieste della società civile italiana, con la pressione sul Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per attivare il cessate il fuoco, fermare le violenze e garantire gli aiuti umanitari, arrivare alla convocazione di una Conferenza di pace che risolva la questione Palestinese applicando la formula dei 'due Stati per i due Popoli', stimolando realtà palestinesi e israeliane ad attivarsi congiuntamente per rendere evidente la loro contrarietà rispetto a chi agisce con violenza contro la Pace.
"In questi giorni di continuo insopportabile orrore - spiegano dalla Rete -, Amnesty International Italia ha deciso di lanciare insieme ad AOI e a tante altre realtà della società civile un appello alle istituzioni italiane per chiedere di rimettere al centro dell'azione politica il rispetto dei diritti umani e della vita delle persone. Al fine di rilanciare i contenuti di questo appello verranno organizzate in tutta Italia per il pomeriggio di venerdì 27 ottobre manifestazioni silenziose in cui poter ribadire tutta l'urgenza di attivare
Migliaia di americani manifestano per il cessate il fuoco sul National Mall, la spianata centrale di Washington, trecento ebrei pacifisti entrano negli uffici del Congresso gridando “non in mio nome” e vengono arrestati. Agli Usa non basta il “contenimento” super-armato di Biden
PEACE INVADERS. A Washington la più grande manifestazione pro Palestina
Manifestanti protestano all'interno dell'edificio per uffici della Cannon House a Capitol Hill - Ap
Migliaia di persone si sono riversate sul National Mall, la spianata centrale di Washington, in quella che è stata definita la maggiore manifestazione ebraica pro-Palestina. La folla ha scandito slogan come “il colore del nostro sangue è lo stesso” e “il nostro dolore non è la vostra arma”. La protesta di mercoledì è stata fra le più esplicite nel formulare una posizione netta contro la guerra, vicino cuore del potere americano che in questi giorni, come ha scritto il Washington Post, sta dando fondo ai magazzini per rimpinguare gli arsenali di Tel Aviv.
NELLA FOLLA rumorosa c’erano molti giovani, tatuaggi e piercing accanto a rabbini in scialli da preghiera e shofar – il rituale corno di montone per chiamare a raccolta i fedeli. C’erano anche pacifisti laici e palestinesi con la kefiah ma la manifestazione è stata indetta dalla rete attivista dei pacifisti ebrei che negli ultimi anni di regressione autoritaria e xenofoba ha messo efficacemente in relazione l’involuzione totalitaria ed antisemita del XX secolo con l’attuale recrudescenza della neodestra. Formazioni come Never Again Action sono state fra le più efficaci nell’articolare una critica progressista attraverso azioni di protesta e disubbidienza civile (per esempio in centri di detenzione per immigrati). Ora è da questa rete che proviene l’opposizione più incisiva ai crimini di guerra nel braciere mediorientale con manifestazioni in molte città americane.
A Washington, già lunedì scorso la protesta aveva preso la forma di un picchetto davanti alla Casa Bianca per
Leggi tutto: Usa, ebrei pacifisti invadono il Congresso: arrestati in 300 - di Luca Celada
Commenta (0 Commenti)GUERRA E CAOS GLOBALE. Non è più un rischio ma una certezza: gli sviluppi della crisi in Medio oriente sono del tutto fuori controllo. E così le loro conseguenze nel mondo intero. Saltano vertici, […]
Non è più un rischio ma una certezza: gli sviluppi della crisi in Medio oriente sono del tutto fuori controllo. E così le loro conseguenze nel mondo intero. Saltano vertici, si spezzano alleanze politiche, le piazze mediorientali ribollono, i lupi islamisti tornano a colpire in Occidente, la diplomazia è messa all’angolo a suon di bombe. Tutto resta appeso al filo dell’imprevisto.
Così come imprevista è stata, nel suo orribile svolgimento, l’aggressione che ha segnato l’inizio della guerra, per gli aggrediti e perfino per gli aggressori stessi. A nessuna delle molte domande che si affollano esiste una risposta plausibile. Non sul futuro della striscia di Gaza, su cosa significhi annientare Hamas con il vasto retroterra fondamentalista – trasversale a stati, movimenti e comunità – che lo sostiene e alimenta e che non mancherebbe di riprodurlo in altre forme una volta smantellato dalle armi israeliane. Non sull’immagine internazionale di Israele, sempre più compromessa con il crescere delle vittime civili a Gaza, o sulla posizione dello stato ebraico nella regione mediorientale che, in seguito a una guerra spietata con costi umani esorbitanti e azioni irresponsabili, è sull’orlo di una conflagrazione generale. Nemmeno sulla stessa sicurezza di Israele, intesa come condizione stabile e non come perenne prova di forza nell’alterna condizione di assediati o di assedianti. Per non parlare di ciò che attende l’insieme della popolazione palestinese, ancora una volta in ostaggio di tutti.
Non vi sono risposte perché gli eventi travolgono gli stessi attori, nascono certamente da una storia che può essere ricostruita, ma non basta quella storia (con i torti e le ragioni che i contendenti possono desumerne) a spiegarli, né gli interessi materiali né i fattori culturali. La violenza finisce coll’emanciparsi dalle sue stesse cause e motivazioni, nutrita da una somma di esperienze singole e vissuti individuali che si agglutinano in una massa critica, sempre pronta a diventare massa di manovra. Così prende forma una violenza post politica, tanto più
Leggi tutto: L’imprevisto della violenza senza politica - di Marco Bascetta
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