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Paolo Bonora, docente dell'Alma Mater: «Bisogna cambiare visione e concetto di sviluppo»

Alluvione in Emilia-Romagna, la geografa: «Le acque vanno liberate. Bologna sorge sui detriti» 

 

Rendere «porosa» la città, ridare spazio alle acque in pianura, tornare alla manutenzione garantita un tempo in montagna dall’agricoltura e cambiare visione di sviluppo. Sono «questioni enormi» quelle da affrontare secondo Paola Bonora, già docente di Geografia all’Alma Mater. «È meglio spendere denaro in prevenzione piuttosto che in danni — sottolinea —. Noi italiani, invece, ci siamo specializzati nel piangere per i giorni in cui dura il fango, poi appena tolto, ce ne dimentichiamo. Siamo in ritardo, ma diamoci da fare».

Bologna si è risvegliata fragile?
«Questa città è stata costruita su una conoide di deiezione, un accumulo di detriti che dall’era geologica hanno depositato fiumi e torrenti. È una città che poggia su un suolo intriso d’acqua. Il fatto che sia poroso, però, ci offre anche assist positivi: possiamo riaprire degli spazi di assorbimento delle acque in eccesso, togliendo cemento. È ovvio che il cemento essendo impermeabile fa sì che le acque non riescano ad essere assorbite e quindi spandono, corrono. Non è sufficiente sbarrare, perché la forza delle acque da qualche parte esplode».

 

 

Come è accaduto con il Ravone?
«Non bastano condotti larghi per condizionare il suo andamento, perché quando arriva una quantità di pioggia così enorme, alla quale siamo destinati, abbiamo purtroppo visto cosa accade. In generale, in città dobbiamo trovare soluzioni differenti, che non siano di sbarramento, ma di apertura per ri-liberare le acque. Molte città americane e del nord Europa si stanno riorganizzando per aprire spazi in cui le acque possano infilarsi».


La riapertura del canale in via Riva Reno va in questa direzione?
«Si. Mi piace l’idea e in più sono persuasa che la riapertura del canale abbia provocato meno danni. Si potrebbero immaginare diversi interventi: Piazza Maggiore invece che tutta selciata, facciamola d’erba; i parcheggi non di cemento e asfalto ma con materiali che lascino assorbire l’acqua, le strade pedonali realizziamo in erba. Anche in pianura bisogna ridare spazio alle acque».


Come?
«La pianura emiliano-romagnola è di origine alluvionale, dai Romani in poi il territorio è stato bonificato, ma era un acquitrino. Con questo aumento spaventoso della piovosità e senza i metodi del passato, è chiaro che ritorni a essere acquitrino, è fatale. Determinanti sono i fossi. Un tempo l’agricoltura era caratterizzata da scolmatori di fossi per fare defluire le acque. Lo stesso in montagna quando era coltivata».


La pianura padana è molto industrializzata. Secondo il presidente di Confindustria Emilia, Valter Caiumi, «gli imprenditori qui sono già molto sensibili ai temi del clima».
«Forse oggi lo sono di più, ma fino a pochi giorni fa continuavano a chiedere allentamenti ai vincoli. E in Emilia ne abbiamo pochi, perché la legge del 2017 contro il consumo del suolo, in realtà, ha messo vincoli molto laschi».


Il modello di sviluppo ha delle responsabilità?
«Continuiamo a seguire un modello nato con l’industrializzazione e l’urbanizzazione, con modalità degli anni ’50-’60. Bisogna cambiare completamente visione. La territorialità va ripensata, bisogna andare nella direzione di riutilizzare i vecchi edifici; va bene anche demolire e ricostruire, se non è possibile riconfigurare l’esistente, ma occupando la stessa quantità di suolo. Abbiamo a disposizione una quantità enorme di tetti, se ci impegnassimo a ricoprire le città di pannelli fotovoltaici, faremmo l’interesse di noi tutti»