Centrosinistra Per evitare il bis del 2022 bisogna dire adesso che ci saranno candidati comuni nei collegi. Sì agli accordi sui programmi e alle "cooperazioni rafforzate", ma senza pretendere di coinvolgere tutte le opposizioni. Pronti a un cambio della legge elettorale in senso ancora più bipolare.
Sei un incallito politicista!», è l’accusa che talvolta capita di sentirsi rivolgere. Ma cosa si intende dire esattamente? In genere, «politicisti» sono coloro che attribuiscono un valore esorbitante alle manovre e alle «alchimie politiche» e sottovalutano le più nobili dimensioni della politica.
Ma dove finisce il politicismo e inizia la «strategia» (elemento essenziale nell’arte della grande politica)? Qual è il confine tra la «tattica» e il «tatticismo»? Il dibattito sul cosiddetto “lodo Franceschini” è stato esemplare in questo senso. E si possono mettere, a questo punto, alcuni punti fermi. Franceschini, ricorrendo al noto motto maoista, è stato certo efficace dal punto di vista comunicativo, ma ha creato anche alcuni equivoci.
«Marciare del tutto divisi» non sarà propriamente possibile: sia per ragioni tecniche (la legge impone lo stesso formato di alleanze in tutte le circoscrizioni: non sono possibili desistenze «a macchia di leopardo»), sia per ragioni politiche: concordare i candidati nei collegi implica comunque un accordo motivato politicamente: e certo non mancano gli argomenti! Primo fra tutti, quello che concerne un comune impegno «repubblicano» a difendere la Costituzione e una democrazia parlamentare e rappresentativa. Non mi sembra poco, di questi tempi.
Questo dibattito ha avuto un altro grande merito, sollevando pubblicamente una questione finora riservata ai conciliabili tra gli addetti ai lavori: come evitare il disastro del 2022, come «gestire» politicamente e tecnicamente i vincoli imposti da questo (orribile) sistema elettorale? E come gestire l’evidente eterogeneità politica delle forze dell’attuale opposizione? La chiave della risposta è una sola: abbandonare l’idea che accordi politici e accordi elettorali debbano avere necessariamente lo stesso perimetro.
La legge elettorale si presta: non impone l’obbligo di indicare un «capo» della coalizione o il deposito di un programma comune; e incentiva, di fatto, negli elettori, un comportamento tipico delle competizioni proporzionali. L’attenzione dell’elettore si concentra sul voto di lista, anche perché – altro elemento che conta – siamo in presenza di mega-collegi (una media di circa 400 mila abitanti alla Camera e 900 mila al Senato!), nei quali solo pochissimi elettori generalmente sono in grado di conoscere e valutare i candidati. E di tutto ciò vi è un riscontro empirico: alla Camera, in Toscana, ad esempio, nel 2022 appena il 3,6% degli elettori ha votato solo il candidato uninominale (e peraltro, in questo dato, incidono soprattutto i voti di candidati che avevano una sola lista a supporto).
La discussione successiva ha contribuito a chiarire alcuni decisivi corollari. Nulla vieta, (anzi!), che si creino alcune forme di «cooperazione rafforzata» (efficace formula introdotta da Andrea Carugati, su queste pagine): ossia, che una parte dei contraenti del patto costruiscano una piattaforma programmatica quanto più possibile condivisa. Qualcuno ha obiettato: ma perché tirar fuori ora questi discorsi, a due anni e mezzo delle elezioni? E invece no: era questo il momento giusto, proprio perché bisogna liberare il campo della (difficile) discussione programmatica dalla paralisi indotta da una indebita sovrapposizione tra accordi elettorali e accordi politici.
Quando sarà il momento – questo è il messaggio – ci sarà comunque un accordo sui collegi: chiarito questo, da qui alle elezioni dedichiamoci alla ricerca di ciò che ci unisce. Si può essere scettici o fiduciosi sull’esito di questo confronto, vedremo cosa accadrà, ma proprio per questo è stato utile aprire la discussione. Non si poteva continuare con il copione degli ultimi due anni: una sorta di tela di Penelope, con la sofferta e faticosa ricerca di qualche punto di convergenza su alcuni temi, e poi l’esplodere di un dissidio su un altro argomento, vanificando l’efficacia del messaggio unitario che si voleva lanciare.
Infine, gli effetti politici di questa discussione si stanno vedendo anche da un altro punto di vista. A destra, i conti li sanno fare e sanno benissimo che il Rosatellum può avere effetti molto diversi, a seconda di come lo si usa. E infatti pare stiano pensando ad una contromossa: insabbiatasi la grande riforma del premierato, sembra ora che vogliano rimettere mano alla legge elettorale, ipotizzando un Porcellum rivisitato (anzi, un «Porcellinum», come lo ha efficacemente ribattezzato Michele Ainis): coalizioni forzate e indicazione del «capo», con premio di maggioranza al 55%. Questo progetto non è di facile realizzazione: sono molte le questioni di ordine costituzionale che andrebbero affrontate, prima fra tutte quella della soglia minima necessaria per l’assegnazione del premio, così come indicato dalla Corte. Vedremo se e come questa contromossa prenderà corpo.
In ogni caso, l’altro campo, quelle delle non-destre, dovrà attrezzarsi ad una battaglia parlamentare, presentandosi con proposte alternative di riforma elettorale. Ma, a maggior ragione, saranno validi i ragionamenti fatti sin qui: un eventuale Porcellinum impone comunque un assetto rigidamente bipolare della competizione e quindi obbliga ad adottare una qualche strategia politica ed elettorale che riesca a tenere insieme unità e diversità. E’ bene che tutti tengano conto di questi possibili scenari: non è politicismo.