Cioè di quanto i governi di tutto il mondo stanziano per armi ed eserciti, che secondo il Sipri di Stoccolma si è attestato lo scorso anno a ben 2.113 miliardi di dollari totali. Una crescita dello 0,7% pur in periodo di piena pandemia che conferma il rafforzamento già in corso dal 2016.
In media gli Stati hanno allocato quasi il 6% dei propri budget pubblici per le attività e strutture militari, con aumenti registrati in Asia, Oceania, Europa ed Africa e diminuzioni sia in Medio Oriente che nelle Americhe.
Ai vertici i “soliti noti”: primi gli Stati Uniti che, nonostante una leggera flessione in termini reali, hanno superato gli 800 miliardi di dollari (38% mondiale) seguiti dalla Cina che sfiora i 300 miliardi (14% sul globale); le due vere superpotenze globali superano dunque la metà del totale.
A una certa distanza troviamo India (76,6 miliardi), Regno Unito (68,4 miliardi) e Russia (65,9 miliardi) con la “Top 5” che raggiunge il 62% complessivo.
Nelle successive cinque posizioni Francia, Germania, Arabia Saudita, Giappone e Corea del Sud: i primi dieci Paesi da soli sono responsabili dei tre quarti della spesa militare mondiale.
L’Italia si colloca all’undicesimo posto con 32 miliardi di dollari, ma sappiamo già dalle stime previsionali per il 2022 dell’Osservatorio Mil€x che la crescita sarà ulteriore anche nell’anno in corso.
Se consideriamo i primi quindici paesi della classifica (dopo di noi Australia, Canada, Iran e Israele) raggiungiamo una quota dell’81% che conferma come siano pochi gli Stati con una potenza militare di un certo rilievo.
Anche nel 2021 la Nato ha speso per armi ed eserciti oltre diciassette volte e mezzo quanto messo a bilancio dalla Russia (che pure ha registrato il terzo aumento annuale di fila) mentre i 27 paesi dell’Unione europea spendono tre volte e mezzo il regime di Putin.
Per il futuro, visti gli annunci delle ultime settimane, lo stesso Sipri prevede aumenti ancora più consistenti che si concentreranno soprattutto in fondi per nuove armi: di norma circa un quarto della spesa militare finisce nelle tasche del complesso militare-industriale, che già nel 2020 aveva registrato un fatturato di quasi 550 miliardi di dollari.
Di fronte a tali scelte non certamente in grado di garantire maggiore sicurezza, men che meno Pace, alla comunità internazionale (altrimenti con gli aumenti registrati non dovrebbero esistere i sanguinosi conflitti presenti in ogni continente) è praticamente solo la voce della società civile a contestare ciò che papa Francesco ha definito ancora una volta una «pazzia» di cui vergognarsi e che «arricchisce solo i colossi delle armi» .
La Campagna Globale sulle spese Militari (Gcoms) in occasione delle sue giornate di azione internazionali ha diffuso una presa di posizione che sottolinea come «i Paesi che cercano di superarsi l’un l’altro comprando armi di tutte le dimensioni non stanno seguendo una corretta strategia di difesa e sicurezza. Non ha funzionato in passato e non funzionerà mai» ricordando inoltre che «la dipendenza globale dalla militarizzazione distrugge la fiducia tra popolazioni e mina gli sforzi di cooperazione tra i Paesi». La richiesta ai Governi è di «ridurre le spese militari impegnando i fondi per una sicurezza comune e umana, investendo nei veri bisogni delle persone e del pianeta al fine di costruire una pace giusta e sostenibile. Per darle una possibilità, dobbiamo dare fondi alla pace».
In Italia la Campagna internazionale è rilanciata da Sbilanciamoci e Rete Italiana Pace e Disarmo che, ricordando i sondaggi che evidenziano come la maggioranza degli italiani sia contraria all’aumento delle spese militari voluto dalla gran parte della politica, chiedono invece di spostare risorse da armi ed eserciti verso investimenti sociali e strumenti di pace.
Puntando in particolare su quattro richieste specifiche:
- moratoria di almeno un anno sull’acquisto di sistemi d’arma (nel 2022 previsti circa 8,2 miliardi complessivi per l’acquisizione di nuovi aerei, navi, blindati, sottomarini, droni, missili, munizionamento);
- spostamento delle risorse risparmiate su welfare, scuola, sanità e su maggiori iniziative umanitarie e di cooperazione a favore della popolazione ucraina e di tutti i civili coinvolti in conflitti;
- costituzione e pieno finanziamento del Dipartimento della Difesa Civile non armata e Nonviolenta proposto dalla campagna «Un’altra difesa è possibile»;
- completamento del progetto sperimentale dei Corpi Civili di Pace. Strade e percorsi concreti che potrebbero davvero portare più Pace nel mondo.
L’autore è Coordinatore Campagne Rete Italiana Pace e Disarmo