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L’Aja-Roma Nella scelta di rispedire a casa Elmasry, l’Italia si è assunta la responsabilità di bloccare il processo, malgrado le tante vittime che avevano ormai un’unica speranza di ottenere giustizia da parte della Corte penale internazionale

Le conseguenze della scarcerazione

 

L’Italia finisce nel mirino della Corte penale internazionale. La gravità della decisione delle autorità nazionali di scarcerare e riaccompagnare immediatamente a casa Elmasry Njeem, accolto in patria con grandi festeggiamenti, affiora con grande chiarezza dalla decisione della Pre-Trial Chamber della Corte penale internazionale del 24 gennaio. La Camera, proprio tenendo conto dell’arresto e dell’immediato rilascio del funzionario libico accusato di crimini di guerra e crimini contro l’umanità, inclusi torture e stupri presumibilmente commessi nel carcere di Mitiga, ha deciso di svelare il contenuto del provvedimento con il quale ne aveva disposto l’arresto sin dal 18 gennaio (ICC-01/11). Da un lato, sono sicuramente venute meno le ragioni di segretezza che erano funzionali a facilitare l’arresto di Elmasry.

Dall’altro lato, svelando il contenuto del mandato di arresto, la Corte ha mostrato all’intera comunità internazionale la gravità della violazione dell’obbligo di cooperazione da parte dell’Italia. Nella scelta di rispedire a casa Elmasry, l’Italia si è assunta la responsabilità di bloccare il processo, malgrado le tante vittime che avevano ormai un’unica speranza di ottenere giustizia da parte della Corte penale internazionale. Ma c’è di più, perché è la prima volta che uno Stato che ha ratificato lo Statuto arresta un accusato su cui pende un mandato di cattura confermato dalla Pre-Trial Chamber e poi lo libera.

Almeno la Mongolia, che per di più si trovava di fronte all’esecuzione di un mandato di arresto di un Capo di Stato di un Paese che non ha ratificato lo Statuto, con diversi problemi sotto il profilo del rispetto dell’immunità, non ha proprio proceduto all’arresto di Putin. Invece l’Italia ha arrestato e poi riportato a casa l’accusato Elmasry. Inoltre, va considerato un ulteriore aspetto: la decisione della Pre-Trial Chamber che ne ha ordinato l’arresto ha il suo fondamento nella risoluzione 1970 del Consiglio di sicurezza del 2011 e, quindi, nei casi di mancata cooperazione, gli Stati parte non solo stanno violando lo Statuto, ma anche il capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.

Se, certo, la partita è chiusa sul fronte dello svolgimento del processo perché l’Italia è ben consapevole che i procedimenti dinanzi alla Corte penale internazionale non si possono svolgere in contumacia e perché è difficile che Elmasry si allontani dal suo Paese, non è chiusa sul piano delle responsabilità dell’Italia per violazione degli obblighi internazionali. Primo tra tutti quello di cooperazione fissato dall’articolo 86 dello Statuto di Roma e ribadito con forza proprio dall’Italia che, insieme agli altri Stati, ha approvato, il 6 dicembre 2024, la risoluzione dell’Assemblea degli Stati parte sul rafforzamento della cooperazione e ha indicato la Corte, in una dichiarazione del 6 dicembre, come la pietra angolare della giustizia penale internazionale, ricordando il ruolo dell’Italia sempre attivo nella cooperazione con la Corte e condannando gli Stati che non cooperano con l’Aja.

Dal canto suo, la Corte potrebbe prepararsi a nuovi passi. Se uno Stato non ottempera alle richieste dell’Aja, infatti, la Corte può contestare allo Stato la violazione e sottoporre la questione all’Assemblea degli Stati parte o al Consiglio di sicurezza, nei casi in cui la situazione sia stata rimessa alla Corte proprio dal Consiglio. Il caso italiano riguarda proprio quest’ipotesi, con la conseguenza che la Corte potrebbe contestare all’Italia la violazione e la Pre-Trial Chamber potrebbe deferire l’Italia all’Assemblea degli Stati parte o più probabilmente al Consiglio di sicurezza.