Attacco al cuore Al centro di questa rinnovata malvagità egemonica sta il ritorno all’arcaico diritto di sangue: sono veri americani (come, peraltro, sono cittadini italiani) quelli che possono vantare che nelle loro vene scorra il puro sangue della nazione
Donald Trump durante un comizio della campagna elettorale per le presidenziali americane al confine meridionale con il Messico, a Sierra Vista, in Arizona – Evan Vucci/Ap
Quando ho visto la foto delle persone in fila per essere deportate ho pensato che doveva essere un falso. Invece è proprio una comunicazione ufficiale della Casa Bianca: non solo non si vergognano delle deportazioni di massa di gente che non ha fatto nulla di male, ma se ne vantano – come tanti nostri governanti da anni si vantano del numero di espulsioni di migranti dalle nostre sacre e incontaminate rive.
Commentando certi episodi di mobilitazioni anti Rom nel mio quartiere, una giovane compagna diceva anni fa: questo non è razzismo, è cattiveria. È cattiveria, nel senso preciso di godere della sofferenza di altri, e invitare a fare di questo perverso godimento il senso comune del nostro tempo.
Al centro di questa rinnovata malvagità egemonica sta il ritorno all’arcaico diritto di sangue: sono veri americani (come, peraltro, sono cittadini italiani) quelli che possono vantare che nelle loro vene scorra il puro sangue della nazione.
A questo punta una promessa-minaccia ancora più radicale della presidenza Trump: l’abolizione dello ius soli, grazie al quale chiunque nasca sul suolo degli Stati uniti è cittadino americano. È qualcosa che sta nelle vene stesse degli Stati uniti, la spina dorsale di quella democrazia inclusiva e molteplice che sono stati e che l’Italia non riesce a diventare (tanto più che adesso potrà contare anche sul modello di un paese da cui scegliamo sempre di imitare il peggio).
L’abolizione dello ius soli infatti va anche oltre la minaccia alle famiglie non interamente «autoctone». Si tratta infatti di un principio garantito dal quattordicesimo emendamento alla Costituzione, varato subito dopo la Guerra civile: «Tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati uniti e soggette alla loro giurisdizione sono cittadini degli Stati uniti e dello Stato in cui risiedono».
Varato prima della grande immigrazione di massa, l’emendamento aveva una funzione ancora più radicale: serviva a dichiarare che erano cittadini degli Usa gli afroamericani, appena usciti dalla schiavitù. Pochi anni prima della Guerra civile una memorabile sentenza della Corte suprema aveva sancito, infatti, che gli afroamericani non erano, e non potevano essere, cittadini degli Stati uniti e non avevano nessun diritto che un bianco fosse tenuto a rispettare. C’era voluta la più grande strage che la storia avesse visto prima di allora per cancellare questo orrore.
Cancellare il principio sancito dal quattordicesimo emendamento significa, in ultima analisi, anche cancellare il fondamento della cittadinanza degli afroamericani – non necessariamente in modo esplicito, non necessariamente in tempi brevi (come stanno subito obiettando quei giudici che ancora ci sono in California e altrove, un ordine esecutivo non può cancellare un diritto costituzionale), ma sul piano dell’ideologia e delle pratiche quotidiane. Diventa, in altre parole, la sanzione ufficiale dì quelle pratiche violente e discriminatorie che il movimento Black Lives Matter e le proteste dopo l’assassinio di George Floyd avevano denunciato ma che continuano indisturbate e, adesso, ancora più protette.
C’è un’altra clausola nella prima sezione del quattordicesimo emendamento, che viene evocata da quella foto: «Nessuno Stato potrà privare nessuna persona di vita, libertà o proprietà, senza giusto processo di legge». Attenzione: non dice «nessun cittadino» ma nessuna persona, cittadino o non cittadino, legale o illegale. Le retate di massa, le deportazioni a tamburo battente violano anche questo principio. Ma niente paura: è tutto in regola, l’emendamento dice «nessuno Stato» e a deportare le persone non sono i singoli Stati, ma il governo federale e il suo autocratico presidente, che da oggi si proclama al disopra della legge e al disopra dell’umanità – e se ne vanta.