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Conflitto ucraìno Gazprom chiude le forniture dopo che Zelensky ha detto basta all’accordo di transito per bloccare le entrate russe che finanziano la guerra. Il vantaggio Usa all’ombra dell’attentato al Nord Stream

Una vista del Lakhta Centre, la sede centrale del colosso energetico russo Gazprom, a San Pietroburgo foto Anatoly Maltsev/Ansa Una vista del Lakhta Centre, la sede centrale del colosso energetico russo Gazprom, a San Pietroburgo foto Anatoly Maltsev/Ansa

L’Europa è entrata nella seconda guerra del gas con la Russia. All’alba di ieri nella pianura gelata di Sudzha,
al confine fra l’Ucraina e l’oblast russo di Kursk, la Gazprom russa ha chiuso le forniture attraverso l’Ucraina. La prima guerra del gas si è consumata nel 2022.

Nei mesi immediatamente seguenti all’aggressione dell’Ucraina da parte di Mosca. Allora Putin fece interrompere i flussi ponendo condizioni inaccettabili ai suoi clienti europei e in seguito fu sabotato nel Baltico anche il gasdotto Nord Stream, una sorta di cordone ombelicale dell’energia che legava Berlino a Mosca e rappresentava da anni per gli Stati uniti il vero nodo geopolitico tra l’Europa e la Russia.

PER WASHINGTON la guerra è stata l’opportunità di troncare questo legame e vendere agli europei il suo gas liquido (più costoso di quello russo), operazione che sicuramente non dispiacerà anche al presidente entrante Donald Trump che sulle vulnerabilità degli europei intende fare cassa. Tra l’altro l’aumento dei costi energetici incide sulla competitività delle industrie europee.

Basti pensare, come sottolineava qualche tempo fa Davide Tabarelli, presidente di Nomisma-Energia, che l’Italia qualche mese fa pagava il gas 40 euro al megawattora, gli Usa 7. Un divario destinato ora ad ampliarsi.

L’elemento che cambia i dati generali sulle importazioni di gas dalla Russia(e non solo) rispetto al passato è la crisi europea e italiana. Nel 2021, prima dell’inizio della guerra, l’Italia, per esempio, importava 29 miliardi di metri cubi di gas da Mosca su una domanda di 76. Lo scorso anno, invece, ne abbiamo consumati 63 e importati appena 3 dalla Russia: la domanda si è ridotta in modo pesante a causa del processo massiccio di de-industrializzazione che sta colpendo soprattutto Italia e Germania.

LA VICENDA del Nord Stream 1 e 2 ha è stata una svolta epocale nei rapporti tra Mosca e gli europei. Merita un flashback per capire come la pensano a Washington. Un’inchiesta della magistratura tedesca aveva indicato un gruppo di ucraini come responsabili del sabotaggio nel settembre 2022 del gasdotto Nord Stream. Secondo una ricostruzione del Wall Street Journal il presidente ucraino Zelensky era al corrente del piano ma aveva ritirato il suo consenso per pressioni della Cia.
La verità forse era meno fantasiosa e stava sotto gli occhi di tutti. All’indomani del sabotaggio, in un’audizione al senato americano il sottosegretario Victoria Nuland aveva affermato: «Penso che l’amministrazione Biden sia molto soddisfatta di sapere che il Nord Stream 2 sia ora un pezzo di metallo in fondo al mare».

La prima guerra del gas ebbe come risultato un aumento in Europa da un prezzo minimo di 20 euro a megawattora a oltre 300 euro durante il primo anno di combattimenti in Ucraina. L’Italia, come vari altri Paesi, rischiò di restare a corto della materia prima e normalizzò la situazione solo grazie a nuovi rigassificatori mobili di gas liquido, in gran parte dal Qatar, e a un nuovo accordo per ampliare le forniture con l’Algeria.

QUESTA VOLTA i prezzi europei del gas hanno toccato i 50 euro al megawattora, spinti anche dalle temperature in ribasso. Ma quali sono i possibili effetti dello stop del gas? L’Europa dipende ancora al 19% dall’energia russa. Alcuni stati europei, in particolare Slovacchia e Austria, accusano una dipendenza dalla forniture di Mosca che è rispettivamente al 70% e 60 per cento. Non è un caso che il primo ministro slovacco Robert Fico abbia dichiarato che «l’interruzione del transito del gas attraverso l’Ucraina avrà un impatto drastico su tutti noi nell’Ue, non solo sulla Federazione Russa».

E c’è subito chi sta peggio di tutti. La regione separatista moldava della Transnistria ha interrotto la fornitura di riscaldamento e acqua calda alle famiglie dopo che la Russia ha bloccato il flusso di gas attraverso l’Ucraina.

Ma c’è chi la vede in modo nettamente diverso da Fico e dall’ungherese Orbán, che con le loro recenti visite al Cremlino hanno entrambi cercato di acquistare il gas direttamente dai russi. Zelensky, rinunciando a 800 milioni di dollari di royalties, si è rifiutato di rinnovare l’accordo quinquennale per il transito di gas russo, perché dice che non intende facilitare ulteriormente nuove entrate del bilancio di Mosca che poi servono a finanziare la distruzione dell’Ucraina.

Secondo il centro studi Crea di Helsinki, grazie al gasdotto in Ucraina, Gazprom continuava a fatturare in Europa circa 350 milioni di euro alla settimana (più altri 200 milioni con il gas liquefatto). Da quanto incassa da Gazprom il governo di Mosca spende circa quattro rubli ogni dieci nello sforzo di guerra.

COME HA REAGITO l’Europa allo stop del gas russo dall’ucraina? Secondo la Commissione europea «l’impatto sulla sicurezza dell’approvvigionamento sarà limitato» indicando le rotte alternative di approvvigionamento per portare i volumi necessari in Europa attraverso quattro principali percorsi di diversificazione, con volumi provenienti principalmente dai terminali di gas liquefatto in Germania, Grecia, Italia, Polonia e forse anche dalla Turchia (il cui principale fornitore di gas è comunque la Russia).

L’Europa e l’Italia non rischiano di restare senza materia prima, ma è quasi scontata una nuova stangata sulle bollette di luce e gas. La seconda guerra del gas, le perdite umane e civili, la crisi politica ed economica nel cuore dell’Europa, ci dicono soprattutto una cosa: la tregua, qui come in Medio Oriente, sta diventando urgente.