Fallisce il blitz ideato dalla presidente del Consiglio per portare alla Corte costituzionale il suo consigliere giuridico. Mancano i voti e le destre si rifugiano nell’ennesima scheda bianca, anche se tanti non seguono il contrordine di scuderia. E la maggioranza promette di insistere
Corte costituzionale Tutte le opposizioni fuori dall’aula, la destra lontana da quota 363. Schlein: «Li abbiamo fermati, ora dialoghino». Rabbia Fdi, Donzelli: hanno perso le elezioni, si rassegnino. Conte respinge i sospetti di un accordo con la premier: con noi nessuna trattativa. 25 assenti nel centrodestra e 19 schede nulle: segnali del malessere di Lega e Fi per la premier pigliatutto
Francesco Saverio Marini – foto Ansa
Era partita per suonare, la premier Meloni, e invece è stata suonata. Da giorni preparava il blitz per issare alla Corte costituzionale il suo consigliere giuridico Francesco Saverio Marini, i parlamentari di Fdi erano stati convocati con toni perentori, con l’ormai famoso messaggio nella chat whatsapp finito sui giornali. Così anche quelli di Lega e Fi.
IERI IL FLOP. Anzi, la clamorosa retromarcia. Poco prima delle 12.30, inizio della votazione a camere riunite, il contrordine: «Non ci sono i numeri, si vota scheda bianca». La tempistica della ritirata non è chiara: da lunedì pomeriggio era noto che le opposizioni non avrebbero partecipato. Su quali voti confidava la premier? Fino all’ultimo minuto i suoi fedelissimi hanno sperato che qualche pezzo delle opposizioni entrasse in aula. Invano. Che Marini sia «bruciato» o solo «congelato» si capirà solo nelle prossime settimane.
Per ora le opposizioni festeggiano per aver «fermato il colpo di mano». La scelta di non partecipare al voto è stata condivisa da tutti e non era scontato che Schlein riuscisse a convincere anche i più recalcitranti, a partire da Azione, ma anche Conte, con cui i rapporti sono al minimo storico. E si è rivelata vincente. «Abbiamo fermato una grave forzatura, ora accettino il dialogo», dice Schlein. «E quando parlo di dialogo non intendo chiamate spicce a parlamentari di minoranza per cercare dei voti per andare avanti sulla propria forzatura. Se esiste una maggioranza qualificata per questo voto (i tre quinti dei componenti delle Camere, ndr) è proprio perché la Costituzione prevede un dialogo tra maggioranza e opposizione. Spero che questa fermata sia la premessa per un dialogo».
ALLA DESTRA CHE ACCUSA le minoranze di «scarso rispetto delle istituzioni» per non aver partecipato al voto sul componente della Consulta vacante da quasi un anno, Schlein risponde: «Trovo molto ipocrita parlare di rispetto delle istituzioni: non ci saremmo trovati qui oggi se rispettando la Costituzione avessero intavolato un dialogo prima». Anche Conte appare soddisfatto: «Noi ovviamente non possiamo assecondare i blitz delle forze di maggioranza per eleggersi il proprio giudice costituzionale. Quando si tratta di istituzioni di garanzia non sono ammissibili logiche spartitorie. Non ci sono stati tentennamenti da parte del M5S». E ancora: «Li abbiamo lasciati da soli in aula con le loro paranoie, a scovare i traditori dentro Fratelli d’Italia».
IN TRANSATLANTICO GLI UNICI davvero in imbarazzo sono quelli di Fdi. «Le opposizioni non possono abusare del nostro senso delle istituzioni. Si rassegnino, hanno perso le elezioni, non possono decidere loro chi votiamo noi», tuona Giovanni Donzelli. Tra Lega e Forza Italia non si notano facce scure, e del resto gli alleati oggi avrebbero dovuto votare Marini «sulla fiducia», sperando di essere ricompensati a dicembre quando scadranno altri tre giudici costituzionali. Il quorum a cui la destra puntava era 363. Ma i votanti sono stati solo 342, le schede
Leggi tutto: Consulta, Meloni non trova i voti e batte in ritirata - di Andrea Carugati
Commenta (0 Commenti)Regionali Due ore di faccia a faccia a Roma. Il capo 5s ribadisce: «No al simbolo di Iv». Ma il candidato si dice «ottimista»: «Entro la settimana la questione sarà risolta, e tutte le forze che hanno lavorato con noi daranno il loro contributo»
Giusppe Conte con Michele De Pascale alla festa Pd a Reggio Emilia
Due ore di faccia a faccia tra Giuseppe Conte e Michele De Pascale, candidato del centrosinistra alle regionali in Emilia Romagna. Ieri mattina De Pascale, arrivato nella Capitale per un talk show sulla Rai, ha suonato a via Campo Marzio, sede del M5S. E così quella che doveva essere una telefonata chiarificatrice si è trasformata in un faccia a faccia.
Segno che ce n’era bisogno. E del resto dopo il veto di Conte alla presenza di Iv nella coalizione emiliana, seguito dall’immediato proclama di Renzi «Ci saremo col nostro simbolo», per De Pascale e il Pd la faccenda si è fatto piuttosto ingarbugliata. Anche perché il sindaco di Ravenna, che governa da anni la sua città con una coalizione larghissima, ha tutta l’intenzione di replicare questo schema alle regionali.
All’uscita il candidato si è detto «ottimista che nei prossimi giorni, entro la fine della settimana, troveremo un assetto complessivo della coalizione che consentirà a tutti di partecipare valorizzando il contributo di ciascuno». Fonti M5S ribadiscono che «Conte non ha fatto alcun passo indietro: il nostro simbolo non potrò ami essere a fianco di quello di Renzi». Certo, anche dall’entourage di Conte confermano «stima e fiducia» nei confronti di De Pascale. E lui, parlando col manifesto, ribadisce, «Non vedo a rischio la tenuta della coalizione che ha lavorato con noi fino ad ora». E ricorda: «Domenica a Bologna abbiamo fatto una giornata sul programma, c’erano esponenti del M5S e di Iv e tutti hanno lavorato ai tavoli programmatici».
Che può inventarsi De Pascale per accontentare i due litiganti? La soluzione più facile sarebbe liofilizzare gli esponenti di Iv dentro una lista di moderati, con altre forze centriste: quell’operazione che in Liguria proprio Conte ha fatto saltare pochi giorni fa. «In Emilia- Romagna una lista legata al presidente con esponenti di Iv per noi non sarebbe un problema», fanno sapere dai 5S. «Non ci mettiamo a fare l’esame del sangue ai candidati». Peccato che Stefano Mazzetti, coordinatore dei renziani in Emilia, confermi la linea: «Ad oggi stiamo preparando la nostra lista col nostro simbolo», spiega al nostro giornale. «Se altre forze vorranno unirsi siamo disponibili al confronto».
De Pascale sta cercando in tutti i modi di separare le tensioni nazionali tra Iv e M5s dalla vicenda emiliana. Ed è indubbio che, sul suo programma, non ci sono ostacoli insormontabili alla costruzione di un campo larghissimo che altrove non sarebbe replicabile. E tuttavia il nodo resta aperto. Per Conte sbarrare la strada a Renzi subito è un imperativo. Così come per il rottamatore è vitale non farsi sbattere fuori in una regione dove da anni governa insieme al Pd.
Dal M5S confidano che il nodo possa essere sciolto dal Pd. Gli uomini di Conte hanno apprezzato quanto detto da Schlein domenica sera su La7. E cioè che la leader Pd ha intenziomne di «mediare» rtra gli ellati. « Se gli altri hanno problemi, questi diventano i nostri. E se dobbiamo fare scelte come in Liguria, le facciamo, ha detto Schlein.Parole molto apprezzate a Campo Marzio, dove confidano che saranno i dem a spingere Iv a non presentare il simbolo.
Anche a destra si è aperto un problema, dopo che la candidata civica vicina Cl Elena Ugolini ha sposato la proposta sdi Forza Italia sullo ius scholae per i figli degli immigrati. «Penso che 10 anni di scuola siano sufficienti per far diventare un ragazzo un cittadino a tutti gli effetti», ha detto Ugolini. Immediato lo stop della Lega: «Il tema della cittadinanza è una questione di competenza del Parlamento, non della Regione. È importante non farsi distrarre da dibattiti su cui non abbiamo competenza diretta»
Commenta (0 Commenti)Corte costituzionale Oggi il voto sul giudice costituzionale. Contro il blitz le opposizioni non partecipano. Per arrivare a quota 363 servono i voti di Svp e nessun assente nella maggioranza
Roma, udienza dei giudici della Corte Costituzionale – Riccardo Antimiani /Ansa
Per Giorgia Meloni non sarà facile raggiungere l’obiettivo di 363 oggi, quando le camere riunite proveranno a eleggere un giudice della Corte costituzionale.
LA PREMIER HA improvvisamente fretta, anche se quel posto è vacante da ormai un anno nell’indifferenza della stessa maggioranza: vuole portare alla Consulta Francesco Saverio Marini, suo consigliere giuridico e padre della riforma sul premierato. E vuole farlo subito, prima che il 12 novembre la Corte si pronunci sui ricorsi di 4 regioni contro l’autonomia leghista. È anche uno stress test a cui vuole sottoporre la maggioranza alla vigilia della manovra: sulla carta i voti disponibili sono 355, per arrivare a 363 servono i 6 delle autonomie (i 4 della Svp sono i più probabili), più quelli dei vari parlamentari passati nelle fila della maggioranza, a partire da Enrico Costa, Mariastella Gelmini, Mara Carfagna e Giusy Versace da poco fuoriusciti da Azione.
MELONI SEMBRA CREDERE alla possibilità del «blitz», come l’ha definito Elly Schlein. Di qui i messaggi mandati la settimana scorsa dai suoi capiogruppo a tutti i parlamentari, in cui si chiede «tassativamente» la presenza in aula oggi alle 12.30. Messaggi mandati nella chat dei parlamentari Fdi, ma resi noti ai media, con la caccia alla «talpa» che è subito partita. Tanto che venerdì scorso Meloni si è sfogata sulla stessa chat: «Io alla fine mollerò per questo. Perché fare sta vita per eleggere sta gente anche no». E ancora: «L’infamia di pochi alla fine mi costringe a non avere più rapporti con i gruppi. Molto sconfortante davvero».
IN ATTESA CHE Meloni scopra la talpa, le opposizioni si preparano alla battaglia. La decisione presa da Pd, M5S, Avs e Iv è di non partecipare al voto, che è segreto, per evitare che qualche aiutino attivi al centrodestra. Visto che questa settimana si voterà in Vigilanza anche per la conferma della presidente Simona Agnes indicata da Fi, la scelta condivisa dalle opposizioni è di restare fuori dall’aula in entrambe le occasioni. Nessuno, a partire dal M5S, ha voglia di essere accusato di intelligenza col nemico. E se sulla Rai le opinioni tra Pd e M5S divergono, sulla Consulta è condivisa l’idea che la destra voglia strafare, scegliendosi un giudice troppo vicino a palazzo Chigi. «La destra esplicita la volontà, che non ha precedenti, di provare a consumare un colpo di mano sulla nomina di un giudice costituzionale», attacca il dem Dario Parrini. «Si è inevitabilmente indotti a pensare che il governo sia all’affannosa ricerca di scorciatoie per fermare il referendum sull’autonomia da cui è ogni giorno sempre più spaventato». «La premier non può trattare la Corte Costituzionale come se fosse di sua proprietà», rincara Angelo Bonelli dei Verdi. «È fondamentale che ci sia un confronto e, per questo, le rivolgo l’invito ad aprire un dialogo con le opposizioni».
I VARI PARTITI della destra oggi voteranno per Marini usando una formula diversa, in modo da contarsi. Senza i 4 voti di Svp il traguardo appare lontano, e dunque nelle ultime ore il pressing sui sud tirolesi (Fdi fa parte della maggioranza in Provincia a Bolzano insieme a Svp) si è fatto fortissimo. Tra le opposizioni il più scettico sulla scelta dell’Aventino è Calenda: i suoi 12 voti sarebbero preziosissimi per la destra. «Quello che non volevo fare è la figura degli imbecilli come l’altra volta sulla Rai», dice Calenda. «Penso che non si possa andare avanti continuamente sull’Aventino. Capisco la difficoltà perché la maggioranza non ha grande voglia di ascoltare, ma bisogna insistere. Ci sentiremo con le altre opposizioni e cercheremo una posizione comune». Non è detto che oggi tutte le minoranze faranno gioco di squadra. Per la premier il rischio di un buco nell’acqua resta alto: e sarebbe un boomerang molto pesante
Commenta (0 Commenti)Un anno dopo Le cerimonie per ricordare le 1200 vittime dell’attacco di Hamas: da un lato il governo, dall’altro le famiglie degli ostaggi. Polemiche contro il primo ministro che non ha saputo riportare a casa gli ostaggi. A Tel Aviv la rabbia di chi è deluso per il mancato accordo sullo scambio di prigionieri con Hamas
Persone si abbracciano tra le macerie del Kibbutz Be'eri durante il primo anniversario dall’attacco di Hamas – Ap
Nel giorno che descrive come il suo Olocausto, in cui nelle grandi città come nelle piccole comunità si sono svolte cerimonie e riti religiosi in memoria dei circa 1200 soldati e civili rimasti uccisi il 7 ottobre 2023 nell’attacco di Hamas, Israele si scopre diviso. Non è bastato a nasconderlo provare a far emergere solo il dolore e il cordoglio della nazione per quanto è accaduto un anno fa. Il governo e le autorità locali hanno tenuto le loro iniziative, in forme più contenute rispetto a quelle progettate inizialmente dalla ministra Miri Regev. Invece le famiglie degli ostaggi e delle vittime, i kibbutz ed i centri colpiti dall’attacco, hanno scelto un’altra strada e di riunirsi ieri sera al parco Yarkon di Tel Aviv.
Con l’aiuto di tre schermi giganti, familiari in lutto, sfollati e parenti degli ostaggi in video registrati hanno raccontato il loro 7 ottobre. Tanti fra il pubblico indossavano magliette con la scritta «Bring Them Home» o con i volti degli ostaggi vivi e morti.
Inevitabile, è riaffiorata la polemica con il premier Netanyahu che non ha mai davvero scelto la strada dell’accordo di tregua con Hamas e di uno scambio di prigionieri. Rafi Ben Shitrit, il cui figlio, Shimon, è stato ucciso il 7 ottobre, è intervenuto per chiedere che una commissione d’inchiesta faccia subito luce su quanto accaduto un anno fa e porti alla luce tutte le responsabilità. Netanyahu ha resistito sino ad oggi. Afferma che qualsiasi indagine deve attendere la fine della guerra. Un modo per evitare che l’inchiesta possa riflettersi negativamente su di lui. «Chiedo da questo palco la formazione di una commissione d’inchiesta statale, per indagare in modo approfondito ed esteso sul disastro del 7 ottobre», ha esortato Ben Shitrit. Il pubblico, rimasto in silenzio per tutta la cerimonia, è esploso in un applauso.
A Reim ieri, sul luogo del festival musicale Nova, dove secondo le autorità israeliane gli uomini di Hamas uccisero oltre 300 persone e sequestrarono una parte dei circa 250 israeliani presi in ostaggio, il capo dello stato Haim Herzog ha cercato di ricucire lo strappo tra lo Stato e chi è deluso e arrabbiato per il mancato accordo per uno scambio di prigionieri con Hamas. E anche per l’immunità che, credono in tanti, il primo ministro sta provando a costruirsi con la sua guerra infinita.
La folla a Reim ha dato il via alle cerimonie con un minuto di silenzio alle 6.29, ora di inizio dell’attacco del movimento islamista palestinese. Nello stesso momento a Gerusalemme, nei pressi della residenza di Netanyahu, circa 400 persone, guidate dalle famiglie degli ostaggi, hanno osservato anche loro un minuto di silenzio per i morti, mentre suonava una sirena. «Volevamo iniziare questa giornata insieme per ricordare a noi stessi, al primo ministro e al popolo israeliano che, anche se è un giorno di dolore, esiste ancora una sacra missione: riportare indietro gli ostaggi», ha ricordato Yuval Baron, il cui suocero Keith Siegel è tenuto in ostaggio.
Netanyahu ieri ha ripetuto che il suo impegno è liberare gli ostaggi, ma i detrattori dicono che a occupare i suoi pensieri è la crociata che ha avviato per sconvolgere gli equilibri mediorientali e garantire a Israele l’egemonia regionale a danno dell’Iran. «Siamo stati colpiti duramente, ma ci siamo rialzati come leoni» ha detto il primo ministro e leader della destra religiosa partecipando a una commemorazione di cittadini israeliani di Gerusalemme uccisi nell’ultimo anno. A quanto pare ha un nuovo nome per l’operazione «Spade di ferro» cominciata il 7 ottobre contro Gaza e ora in tutto il Medio oriente. Si chiamerà «Guerra della resurrezione», ha rivelato la Cnn.
Netanyahu parla di «guerra della resurrezione per garantire che non accada mai più»
Questa, ha detto Netanyahu durante la riunione del governo, è «la Guerra della resurrezione per garantire che il 7 ottobre non accada mai più. Questa è una guerra per la nostra
Leggi tutto: Il 7 ottobre che divide Israele - di Michele Giorgio GERUSALEMME
Commenta (0 Commenti)Alcuni gruppi di opposizione faentini hanno attaccato nei giorni scorsi Massimo Bosi candidato del Movimento 5 Stelle alla Regione, assessore comunale a Faenza con deleghe a legalità e sicurezza, Polizia municipale, Protezione civile, trasparenza, parchi e spazi verdi, diritti degli animali. Un attacco legato alle vicende dell’emergenza maltempo e al ruolo che vi avrebbe avuto Bosi, giudicato dagli oppositori inadeguato e senza titoli appropriati.
In difesa dell’operato di Massimo Bosi sono intervenuti sia il sindaco Massimo Isola sia il M5S.
“Non mi risulta che per certi ruoli occorra una laurea specifica e che alla nomina di Massimo Bosi come assessore qualcuno abbia avuto obiezioni sul suo curriculum. – ha dichiarato il sindaco Isola – Parlare ora, a seguito di eventi straordinari a cui nessuno poteva essere preparato, sa solo di speculazione e di attacco gratuito, confondendo tra l’altro ruoli politici con quelli tecnici. Non si capisce neppure quali siano i fatti specifici contestati. La delega alla protezione civile è principalmente di coordinamento di ruoli tecnici e l’assessore Bosi, anche nelle fasi più delicate, ha ricoperto il proprio ruolo con capacità e grande abnegazione. Le emergenze, inoltre, sono state gestite dalla Giunta in modo collegiale e ogni decisione è sempre stata condivisa da tutti. Il tentativo di delegittimare il lavoro dell’assessore Bosi è perciò chiaramente strumentale.”
In risposta agli attacchi provenienti da alcune forze politiche di minoranza nei confronti dell’assessore Massimo Bosi, il senatore e coordinatore regionale pentastellato Marco Croatti e il coordinatore M5S dell’Emilia-Romagna Gabriele Lanzi intervengono con una nota congiunta.
“I partiti di minoranza di destra di Faenza dovrebbero vergognarsi per lo squallido attacco all’assessore Massimo Bosi che a Faenza svolge il suo incarico politico con grande capacità, passione, dedizione, integrità. Tutte caratteristiche che evidentemente i partiti di destra non sono in grado di riconoscere, considerando quanti incapaci riescano a piazzare, da sempre, in posti di responsabilità. Fa addirittura sorridere che, confondendo ruoli tecnici e ruoli politici, pretendano titoli di studio legati alle deleghe politiche mentre i loro maggiori rappresentanti nazionali guidano il nostro Paese con semplici diplomi e senza aver mai svolto in vita loro un solo giorno di lavoro fuori dalla politica, come ad esempio il caso di Salvini che con un diploma di liceo classico ricopre l’incarico di ministro dei trasporti, vicepresidente del Consiglio ed è stato ministro dell’Interno. Non abbiamo mai attaccato Salvini e Meloni per mancanza di titoli di studio ma perché sono incapaci e inadatti politicamente. Questa è la cosa che davvero è importante in politica: essere in grado di svolgere il proprio compito con competenza e capacità. Gli attacchi all’assessore Bosi non sono di natura politica, sono squallidi attacchi personali, strumentali e pretestuosi”. Così il M5S.
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