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Il nord della Striscia è sotto assedio totale da sette giorni: la nuova offensiva di terra israeliana intrappola 400mila persone. I cecchini sparano su chiunque si muova, gli aiuti non entrano dal primo ottobre. È il «Piano dei Generali»: una zona cuscinetto senza palestinesi

Palestina Voci dal campo profughi di Jabaliya. Corpi abbandonati per le strade, spari su chi si avvicina, ma molti decidono di restare nel nord di Gaza sotto assedio totale: è il «Piano dei Generali», verso la cacciata di 400mila palestinesi

 Voci dal campo profughi: «Non lascerò la mia casa per morire in una tenda» Palestinesi in mezzo al campo profughi di Jabaliya, distrutto dall’offensiva israeliana – Ap/Mahmoud Essa

Pubblichiamo l’articolo della testata israelo-palestinese +972mag

L’esercito israeliano ha lanciato una nuova grande offensiva nel nord di Gaza, assediando le tre città più settentrionali della Striscia e i loro dintorni. Domenica 6 ottobre, all’alba, l’esercito ha ordinato ai circa 400mila residenti rimasti nel nord di trasferirsi nella cosiddetta «zona umanitaria» a sud, in vista di una nuova operazione militare.

Molti si sono rifiutati di lasciare le proprie case e da domenica pomeriggio i residenti di Jabaliya, Beit Hanoun e Beit Lahiya sono stati sottoposti a un intenso bombardamento, tagliati fuori da Gaza City più a sud, mentre carri armati e droni sparavano a chi cercava di fuggire.

Più di 120 palestinesi sono già stati uccisi nell’area dall’inizio dell’ultima operazione, a causa di attacchi aerei, colpi di artiglieria e sparatorie da parte dei soldati israeliani e dei droni quadricotteri. Nessun aiuto umanitario entra nelle zone assediate e Israele ha bombardato l’ultimo panificio funzionante di Jabaliya. L’esercito ha anche ordinato l’evacuazione di tutto il personale medico e dei pazienti delle tre principali strutture mediche della zona: l’ospedale Kamal Adwan, quello indonesiano di Beit Lahiya e l’Al-Awda di Jabaliya. I residenti del campo profughi di Jabaliya, epicentro dell’attuale invasione di terra, riferiscono che i corpi sono sparsi per le strade e le ambulanze non riescono a recuperarli.

«I QUADRICOTTERI si librano a bassa quota sopra le strade, sparando a tutto ciò che si muove – ha raccontato Mohammed Shehab, un residente di 27 anni, a +972mag – I cecchini sono posizionati sui tetti e prendono di mira chiunque esca. Allo stesso tempo, soldati e carri armati si sono spinti all’interno del campo, demolendo case e spianando strade e campi».

L’esercito israeliano, che ha avuto uno scambio di fuoco con le forze di Hamas nell’area e ha subito diverse perdite, ha dichiarato che la nuova operazione è stata progettata per stroncare i tentativi del gruppo di ricostruire le proprie capacità operative nel nord della Striscia. Ma l’offensiva arriva solo poche settimane dopo la notizia secondo cui il primo ministro Benyamin Netanyahu sta prendendo in considerazione una proposta, nota come Piano dei Generali, per ripulire l’intero nord di Gaza attraverso una campagna di fame e sterminio. Per questo motivo, vi è una diffusa preoccupazione – anche tra i gazawi che hanno parlato con +972 – che Israele possa ora mettere in atto quel piano.

«I pesanti bombardamenti sono iniziati all’improvviso domenica pomeriggio», ha raccontato Shehab. In quel momento era a casa con il suo amico Abdel Rahman Bahr e il fratello di Bahr, Mohammed. «Abdel Rahman è uscito per vedere cosa fosse successo: pensava che avessero bombardato una scuola o un rifugio. Non è più tornato. Ore dopo, Mohammed e io siamo usciti a cercarlo – ha continuato Shehab – All’improvviso, i droni hanno iniziato a sparare contro di noi. Mohammed è stato colpito e io sono riuscito a scappare. Non so ancora cosa sia successo a Mohammed o ad Abdel Rahman».

Le forze israeliane hanno preso di mira anche giornalisti palestinesi che riferivano dell’incursione dell’esercito a Jabaliya. Mercoledì, un attacco aereo ha ucciso il giornalista di Al-Aqsa TV Mohammad Al-Tanani e ferito il suo collega Tamer Lubbad. Un cecchino israeliano ha anche colpito al collo il fotoreporter di al Jazeera Fadi Al-Wahidi; i suoi colleghi sono riusciti a portarlo in ospedale, dove rimane in condizioni critiche. Solo pochi giorni prima un altro giornalista, Hassan Hamad, 19 anni, è stato ucciso da un attacco aereo che ha preso di mira la sua casa nel campo profughi di Jabaliya, portando a 168 il numero totale di giornalisti uccisi a Gaza dal 7 ottobre, secondo il

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La protesta Greta Thunberg nel corteo di Milano: «Nessuno sarà libero finché tutti non lo saranno». Manifestazioni da Nord a Sud

Fridays in piazza: No all’ecocidio, No al genocidio Milano, Greta Thunberg al corteo dei Fridays for future – Ansa

«Nessuno sarà libero finché tutti non lo saranno. Di fronte a un genocidio non si può restare neutrali». Kefiah sulle spalle, microfono in mano, Greta Thunberg ha chiuso così, applauditissima, la manifestazione milanese dei Fridays for Future. Si è fatta tutto il corteo in mezzo agli attivisti, dietro lo striscione «Stop Ecocide, Stop Genocide». Poi, sul finale, prende la parola. I manifestanti, la stragrande maggioranza studenti e studentesse delle superiori, accorrono sotto il pulmino, improvvisato palco da cui parla. Scattano foto, fanno video. Pochi minuti e il discorso di Greta è già su tik tok.

RIMBALZA di piazza in piazza, le decine di piazze italiane dove i Fridays hanno manifestato. Ognuna con la sua specificità: a Taranto c’è l’Ilva; a Torino lo striscione «giù le mani dal Meisino» contro la realizzazione di un centro per l’educazione sportiva all’interno di un parco alla periferia nord della città voluta dalla giunta di centrosinistra; a Roma si prende di mira il ministero dell’Istruzione per dire No a una scuola repressiva e lontana dalle esigenze degli studenti. E ancora, in Veneto, Toscana, Emilia-Romagna, dove i segni delle ultime alluvioni ci sono ancora.

IL CORTEO milanese, partito da largo Cairoli, appuntamento classico per le manifestazioni studentesche della città, si è concluso al parco Baden Powell, vicino a ripa di porta Ticinese. Simbolico, per chi è sceso in piazza per un’istanza ambientalista. È ancora tempo di cambiamenti, lo slogan con cui è stata convocata la manifestazione. Non sono stati moltissimi i partecipanti (sono lontani i tempi in cui a sfilare dietro le bandiere dei Fridays c’erano decine di migliaia di persone) per un corteo che, oltre alle tradizionali parole d’ordine del movimento ambientalista ha voluto portare in piazza anche altre istanze.

LA REPRESSIONE del popolo palestinese, come ricordato da Greta, ma anche la protesta contro il ddl Sicurezza. Giustizia climatica e giustizia sociale sono strettamente legate, dicono gli organizzatori. Dal pulmino che apriva il corteo, parole contro le multinazionali del petrolio, ma anche contro patriarcato, repressione e colonialismo. Il coro più ripetuto «Free free Palestine». Quando i manifestanti passano davanti al museo della scienza e della tecnica, finanziato da Leonardo, appare un missile di cartone, a cui viene subito dato fuoco. Così come, poco più avanti, di fronte a un distributore dell’Eni, compare la sagoma di un cane a sei zampe insanguinato.

VIA CRISTOFORO COLOMBO diventa «via degli indigeni resistenti», contro vecchi e nuovi colonialismi. Al fondo del corteo, ci sono i militanti di Extinction Rebellion e i sindacati di base. Dal furgone che apre la manifestazione si parla di cambiamenti climatici, di Palestina, di antifascismo e patriarcato. Una ragazza tiene tra le mani un cartello con scritto: «Non sono di proprietà di nessuno». Si urla contro il ddl Sicurezza, che sanziona anche le azioni non violente dei movimenti giovanili. A poca distanza, carabinieri e poliziotti osservano indifferenti. Quello che sta succedendo in Medio Oriente in certi momenti sembra sovrastare i «classici» slogan del movimento ambientalista. La global strike contro i cambiamenti climatici appare quasi una lotta globale contro il sistema, che sia capitalista, coloniale, patriarcale, repressivo.

GRETA, che percorre tutto il corteo in mezzo agli attivisti, sembra incarnare questa trasformazione. Parla di oppressione dei popoli, di sfruttamento delle persone, di impossibilità a tacere di fronte a quanto nel mondo succede. «Non si può pretendere di lottare per la giustizia climatica – dice – se si ignora la sofferenza dei popoli colonizzati ed emarginati di oggi». Tutto si lega. Applausi, foto di rito e il corteo si scioglie

 

 

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Unifil è un bersaglio. Israele spara ancora sulla missione Onu in Libano, feriti altri due soldati. Usa ed Europa costretti a indignarsi di nuovo. Biden: vorrei la smettessero. Francia, Spagna e Italia: attacchi ingiustificabili. Ma Netanyahu va avanti: i caschi blu se ne vadano

Omissione di pace Biden: «Basta sparare ai peacekeeper». Nabih Berri, terza carica dello Stato, parla con Blinken e si incarica della mediazione

Unifil torna al centro del mirino. 22 morti  e 90 feriti a Beirut Caschi blu spagnoli della missione Unifil a Marjayoun, sud del Libano – Afp

«C’è bisogno di una presa di coscienza mondiale che metta fine a questa aggressione» ha dichiarato ieri Najib Miqati, primo ministro ad interim del Libano, in seguito all’ennesimo attacco sull’esercito libanese il quale nel pomeriggio ha confermato che due dei suoi soldati sono stati uccisi e altri tre sono rimasti feriti in un attacco israeliano che «ha colpito un posto di blocco» a Kafra, Bint Jbeil, nel sud del Libano, sud-ovest di Tiro.

LE REAZIONI di indignazione trasversali per l’attacco al contingente Unifil, che è continuato anche ieri, non hanno inciso in maniera significativa sul conflitto in Libano. «Questi attacchi costituiscono violazioni gravi del diritto internazionale e devono cessare immediatamente» le parole di condanna del ministro degli affari esteri francese Barrot, mentre convocava l’ambasciatore israeliano in Francia. «Torno a condannare quanto accaduto. Non è accettabile, viola la risoluzione 1701 dell’Onu. Stiamo «assolutamente» chiedendo a Israele di smettere di sparare ai peacekeeper, ha detto ieri il presidente statunitense Joe Biden alla stampa, ribadendo quanto già dichiarato dal segretario della Difesa Lloyd Austin nel suo dialogo con l’omologo israeliano Yoav Gallant.

L’esercito israeliano ha colpito ieri mattina una torre di sorveglianza Unifil all’altezza di Naquoura, sul mediterraneo a sud di Tiro, dopo gli attacchi di giovedì, in cui due soldati della missione di interposizione internazionale erano rimasti feriti.

LA MATTINATA di ieri è passata a Beirut contando i morti e i feriti degli attacchi sui quartieri di Ras-Nabaa e di Basta, centralissimi, fuori dalla Dahieh, la Beirut sud epicentro dei bombardamenti israeliani nella capitale. E questo è già il terzo fuori dal perimetro della Dahieh. 22 morti e circa 90 feriti nell’attacco nel cuore di Beirut. Metà di loro, sfollati provenienti dal sud, civili. Il target di Israele era Wafic Safa, responsabile dell’unità di coordinazione di Hezbollah, che dice di aver ucciso. Hezbollah non ha confermato. I quartieri di Ras-Nabaa e di Basta sono quartieri popolari, ad alta densità abitativa, in cui vivono anche sunniti e cristiani, oltre alla comunità sciita.

GIOVEDÌ il bombardamento annunciato in serata su

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 L’arrivo è previsto il 14 ottobre con 43 persone a bordo (foto Fiorentini)

Ravenna Porto di sbarco nuovamente per la Nave Ocean Viking con a bordo 43 persone recuperate.

Come comunicato da bordo nave l’arrivo è previsto per lunedì 14 ottobre alle ore 8 quasi certamente alla banchina del Terminal crociere di Porto Corsini, mentre dove saranno effettuate le visite sanitarie e gli adempimenti dei servizi Sociali del Comune e quelli di Polizia, si deciderà nel pomeriggio. Si tratta del quarto sbarco presso il porto cittadino della nave ONG. “Ocean Viking” SOS Mediterranee che sta già facendo rotta su Ravenna ed è ora a circa 800 miglia nautiche.

Il Prefetto Castrese De Rosa ha immediatamente informato le autorità cittadine ed insieme hanno concordato per le 16.30 una prima riunione di coordinamento in Prefettura con tutti gli Enti interessati per stabilire tempi e modalità per l’accoglienza dei 43 migranti. Sarà il 15° sbarco di navi ONG nel Porto di Ravenna, a partire dal 31 dicembre 2022. In totale fino ad ora saranno sbarcati al Porto di Ravenna 1513 migranti

 

 

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Spari sul quartier generale Unifil a Naqoura, in Libano. L’Onu: attacco «intenzionale». Crosetto convoca l’ambasciatore di Tel Aviv: «Inaccettabile, possibile crimine di guerra». Nessuna scusa da Israele: «Spostatevi 5 km più a nord, il nostro esercito farà ciò che è necessario»

Levatevi di mezzo Attacco intenzionale di Israele alle postazioni del contingente Onu nel sud del Libano. Due caschi blu feriti. Militari italiani sotto tiro

Blindati dell’Unifil nel sud del Libano foto Ansa Blindati dell’Unifil nel sud del Libano – foto Ansa

Ne avevamo parlato poche ore prima nell’ufficio di Unifil che domina Beirut fino al mare. «La situazione è imprevedibile e il rischio che i caschi blu siano interessati dagli scontri a fuoco lungo la Linea Blu è reale» ci aveva spiegato Andrea Tenenti, portavoce e capo della comunicazione della missione dell’Onu che gestisce le forze di interposizione tra Israele e Libano dal 2000. Poche ore dopo è successo.

UN CARRARMATO MERKAVA delle forze armate israeliane ha sparato verso una torre di osservazione del quartier generale dell’Unifil a Naqoura, «colpendola direttamente» e facendo cadere i due caschi blu indonesiani che in quel momento erano di vedetta. La dichiarazione di Unifil non lascia adito ad alcun dubbio: i colpi sono stati sparati su quell’obiettivo. Non c’è stato errore di mira, nessun incidente, si è trattato di un attacco intenzionale.

Per i due militari di Giacarta «le ferite sono fortunatamente, questa volta, non gravi, ma rimangono in ospedale». I soldati israeliani hanno anche aperto il fuoco sulla base di Ras Naqoura, dove si trovano i soldati italiani, che in codice è indicata come Unp 1-31. Qui hanno colpito l’ingresso del bunker e hanno danneggiato dei veicoli e un sistema di comunicazione. Subito dopo, mentre i militari si dirigevano verso i rifugi, un drone dello stato ebraico è stato avvistato all’interno della base mentre effettuava ricognizioni e seguiva il percorso dei peacekeepers fino all’ingresso nel rifugio. Il livello d’allerta è stato portato ai massimi gradi e i caschi blu sono rimasti per diverse ore nei bunker.

UNO DEI MILITARI ITALIANI ha raccontato la propria esperienza all’Ansa senza rivelare il proprio nome per ragioni di sicurezza: «Ero sotto la torretta. C’è stato un primo colpo che ci ha sfiorato. E poi quello che ha preso in pieno il posto di osservazione. Non è possibile che sia stato un errore. Il carro armato ha puntato

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È terminata all’imbrunire la giornata del generale Francesco Paolo Figliuolo fra Premilcuore e Portico i due comuni dell’alto appennino che ancora non aveva visitato dopo l’alluvione del maggio 2023 portano a 90 il numero di quelli complessivamente visitati. <Ho trovato tanto calore umano e pur con tutti i problemi dovuti all’esito di un’alluvione senza precedenti una grande voglia di continuare a ricostruire. Ho visitato due comuni virtuosi che hanno effettuato ormai quasi tutte le somme urgenze. Adesso è iniziata la fase di ricostruzione in cui come struttura assistiamo i comuni con la cosiddetta committenza ausiliaria. Questa giornata è stata importante anche per la possibilità di chiarire alcune tematiche sulla rendicontazione>.

Durante la visita il generale ha voluto chiarire anche i confini e le incombenze del suo ruolo. <Sono commissario alla ricostruzione legata agli eventi alluvionali del maggio 2023. In questo ambito ho inizialmente fatto un’integrazione con protezione civile con commissario allora delegato all’emergenza Bonaccini e ad oggi sono stati resi disponibili 2,7 miliardi per il territorio con circa 7 mila interventi. Poi abbiamo cercato di fare attività di prospettiva dando una mano ai comuni con la committenza ausiliaria con interventi presi in carico da Sogesit o da altre società in house Anas o Rfi. Finanziato anche opere di progettazione di ponti e di tratti di viabilità importanti ma per fare queste opere ci vuole tempo>.

Poi di nuovo una seconda alluvione lo scorso mese di settembre. <Sono solidale con coloro che hanno avuto danneggiamenti ma per quella c’è il commissario delegato per emergenza che è la presidente facente funzioni Priolo. Più avanti tornerò in quelle zone ma non ci sono andato perché in quei giorni ho coordinato dalla sala operativa gli aiuti delle forze armate ad intervenire nell’immediato. Il compito del commissario delegato è quello di effettuare lavori di somma urgenza. Ho partecipato alla videoconferenza in cui sono stati stanziati 20 milioni per lavori somma urgenza e questi fondi sono gestiti dalla Regione. Nel prossimo futuro occorrerà decidere anche come fare per i comuni che sono stati alluvionati due volte>. Riguardo alla situazione dei due comuni ha detto: <Sono presidi importantissimi ma occorre ripopolare questi territori perché altrimenti diventa difficile fare la regimazione delle acque, poi le conseguenze si pagano a valle. Questa è una regola base. A Premilcuore e Portico caratterizzati da numerosissime frane gli interventi di somma urgenza sono stati realizzati adesso ci sono quelli strutturali e quelli del Pnrr da terminare entro il 2026>

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