Nella foto: Manifestazioni per la giornata internazionale dell’aborto libero, gratuito e sicuro a Città del Messico @Gerardo Vieyra/NurPhoto via Getty Images
Oggi un Lunedì Rosso che esplora le derive autoritarie.
Reprimere ciò che sfugge alla norma. A partire dall’infanzia, con la riforma del voto in condotta voluta dal ministro dell’Istruzione.
Chiudere gli spazi di agibilità politica per il dissenso. Questo il rischioso orizzonte a cui tende il nuovo ddl sicurezza, al vaglio del Senato.
E se dentro i confini nazionali il pericolo si presenta sotto forma di silenziamento, sullo scenario internazionale perdura il fragore delle bombe. Israele attacca Beirut e uccide il leader di Hezbollah.
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i popolari ammettono la sconfitta. "Gli austriaci hanno fatto la storia. La popolazione si è espressa chiaramente a favore del cambiamento", ha detto il portavoce del partito della Libertà
L'onda nera travolge anche l'Austria e mette all'angolo il cancelliere popolare Karl Nehammer grande sconfitto di questa tornata elettorale, definita dalla stampa austriaca come un "terremoto politico". Sulla scia della grande avanzata dell'Afd in Germania, l'estrema destra del Fpo non solo diventa il primo partito del Paese alpino ma mette a segno un risultato senza precedenti sfiorando il 30% dei consensi, ben oltre le attese della vigilia. E guadagnando addirittura il 13% rispetto alle scorse elezioni.
Crollano invece i popolari dell'Opv: il partito del cancelliere Karl Nehammer si ferma al 26,2% incassando, secondo le prime proiezioni diffuse alla chiusura dei seggi, una debacle di oltre 11 punti rispetto al voto di 5 anni fa. La sinistra tiene ma non sfrutta il clima di grande polarizzazione elettorale: Il Spo (Partito Socialista Austriaco) si attesta al 20,4%, in leggera flessione rispetto alle precedenti elezioni. Male anche i Verdi, finora al governo con l'Opv, che non vanno oltre l'8,6% e i liberali di Neos, anche loro al 9,1%.
"Grazie, grazie a ogni singolo elettore: oggi gli austriaci hanno fatto la storia". E' stato il commento a caldo del portavoce dell'Fpo (partito della Libertà), Michael Schnedlitz. "La popolazione si è espressa chiaramente a favore del cambiamento", ha aggiunto.
Il cancelliere austriaco Nehammer ha ammesso che la sua forza politica non è riuscita a colmare il divario con il partito della Libertà. Nehammer ha detto che l'Ovp deve mantenere le promesse fatte prima delle elezioni, senza precisare se tra queste vi sia anche la sua frequente affermazione che non entrerà a far parte di un governo di coalizione guidato dal leader dell'Fpo, Herbert Kickl.
Rispetto alle elezioni del 2019, questo rappresenta un grande risultato per l'Fpo: allora il Partito della Libertà ottenne solo il 16,17%. L'Ovp ha perso pesantemente rispetto al precedente risultato del 37,46%. Nelle elezioni precedenti invece la Spo aveva ottenuto il 21,18%, i Verdi il 13,90% e Neos l'8,10%.
Fondato negli anni Cinquanta da ex ufficiali nazisti, il Fpo (Freiheitliche Partei Österreichs) ha vissuto diverse stagioni, negli anni '80 fu persino alleato dei Socialdemocratici, quando visse una fase moderata, ma dalla segreteria di Jörg Haider in poi milita su posizioni nettamente nazionaliste ed anti-Ue.
L'Fpo, poi, si caratterizza per le sue posizioni filorusse in materia di politica estera: la continuità territoriale di Vienna con la Slovacchi di Robert Fico e l'Ungheria di Viktor Orban costituirebbe un blocco populista molto omogeneo nel cuore dell'Europa centrale. Tutto però ruota intorno a Herbert Kickl, attuale leader dell'Fpo. Già ministro dell'Interno nel 2017, aveva mostrato il pugno di ferro sull'immigrazione, promettendo di trasformare l'Austria in una fortezza, e si era lanciato in un assalto frontale ai servizi di sicurezza, con il risultato che i partner occidentali avevano sospeso la condivisione dell'intelligence. I suoi piani furono interrotti dalla caduta del governo, sull'onda dell'Ibiza-gate: nel maggio 2019, infatti, era emerso un video, girato nell'isola spagnola, in cui l'allora leader dell'Fpo si offriva di vendere favori politici a una donna che si identificava come la nipote di un oligarca russo.
In Germania «Ricette semplicistiche per problemi complessi sono adatte agli imbonitori». Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha rilanciato l’allarme clima con decisione intervenendo a un seminario nel polo Onu di Bonn, […]
«Ricette semplicistiche per problemi complessi sono adatte agli imbonitori». Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha rilanciato l’allarme clima con decisione intervenendo a un seminario nel polo Onu di Bonn, nell’ultima giornata della sua visita in Germania. Mattarella ha spiegato come non ci sia alcuna alternativa ad una rapida de-carbonizzazione del pianeta, sferzando quanti, in Europa e in Italia, negano o sottovalutano la portata del problema.
«Per troppo tempo – ha detto il Capo dello Stato – abbiamo affrontato in modo inadeguato la questione della tutela dell’ambiente e del cambiamento climatico, opponendo artificiosamente fra loro le ragioni della gestione dell’esistente a quelle del futuro dei nostri figli e nipoti». Il Presidente della Repubblica ha anche ricordato che «l’intensificazione della frequenza delle catastrofi naturali condiziona ogni aspetto della vita; Le conseguenze dei nostri ritardi sono sotto gli occhi di tutti e sempre nefaste».
«Quello per combattere il cambiamento climatico è un progetto ambizioso che potremo realizzare – ha concluso Mattarella – solo accettando una maggiore cooperazione che ci consenta di muovere verso una Unione dell’energia».
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Il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah è sotto le macerie dei sei palazzi bombardati da Israele a Beirut. Bombardamenti continui sul Libano, movimenti di truppe, la guerra totale forse è già iniziata, il mondo tace attonito. Tranne Joe Biden: «È stata una misura di giustizia»
Il ritratto di Hassan Nasrallah ieri nelle strade di Beirut – foto Houssam Shbaro/Anadolu via Getty Images
«Appena arrivata la notizia si sono fermati tutti, la gente trema, piange, grida e si batte il petto… è impressionante», commenta a caldo un volontario di una ong locale che distribuisce beni di prima assistenza al centro di accoglienza allestito nel complesso messo a disposizione dal ministero dell’Educazione, nella periferia a sud-est di Beirut, Dekwaneh. Da lì venerdì le esplosioni sono state nettissime, come fossero nel cortile della scuola. La notizia, in quel momento ancora non confermata, ha fatto il giro del mondo ieri: Hassan Nasrallah è morto. Tutti sanno che le cose sono cambiate.
LA COMUNITÀ SCIITA è sotto choc in tutto il Libano. A Beirut, nei quartieri meridionali, ma anche nei centralissimi Bashoura, Zarif o Basta si sentono le grida e il pianto a singhiozzi di uomini, donne e bambini per la perdita di un leader, di una guida politica, religiosa, militare, di un punto di riferimento. Perché considerare Nasrallah solamente un capo è profondamente riduttivo. Saranno giorni difficili, imprevedibili, di dolore e risentimento. Si sentono slogan come «‘aysh, ‘aysh!» (vive, vive) o come «Labbayka ya Nasrallah!» (Ai tuoi ordini, Nasrallah!).
Condoglianze sono giunte da molta parte del mondo politico libanese: Michel Aoun (ex presidente e alleato di Hezbollah), Walid Jumblat (capo della comunità drusa), Saad Hariri (ex premier e leader sunnita) hanno espresso messaggi di stima. Le Forze Libanesi, destra conservatrice cristiana e avversario storico della milizia-partito, non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali. Ma venerdì sera nella sede del partito di Geitawe, Beirut est, roccaforte del partito nella capitale, dopo il violento attacco e la notizia della presunta morte di Nasrallah, l’aria era di festa, con musica a volume alto fino a tardi.
TUTTA LA NOTTE tra venerdì e sabato l’aviazione israeliana ha continuato a bombardare la Dahieh, come è chiamata questa parte di Beirut. La gente si è riversata per le strade ed è
Leggi tutto: Morto Nasrallah, tutto cambia - di Pasquale Porciello Beirut
Commenta (0 Commenti)Caso Rai L’asse tra i due partiti è nato con l'approdo dei pentastellati in The left a Bruxelles
Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli e Giuseppe Conte
È possibile che dentro le maglie delle regole macchinose che determinano la governance Rai rimanga valido il vecchio assunto secondo il quale ciò che succede a viale Mazzini è un’anticipazione di quello che accade nella scena politica nazionale. Così è legittimo chiedersi: l’asse che ha condotto all’elezione nel consiglio di amministrazione di Roberto Natale (proposto da Avs) e Alessandro Di Majo (sostenuto dal M5S) è destinato a ripetersi anche su larga scala e a riprodurre la propria azione anche dentro l’alleanza tutta da costruire delle forze alternative a Giorgia Meloni? Il primo dato, ineludibile, è che l’intesa tra rossoverdi e 5 Stelle si è prodotta ormai da qualche mese al parlamento europeo, dove Avs (e anche Rifondazione, che fa parte del Partito della Sinistra europea e anche senza eletti ha voce in capitolo) hanno dato il loro assenso all’ingresso dei pentastellati in The Left.
Questo passaggio, dicono da Avs, ha ancorato Conte sul fronte progressista e costruito un innegabile canale di interlocuzione privilegiata tra le due forze politiche. La postura di Avs nei confronti della costituenda alleanza è sempre stata chiara: proposte programmatiche chiare e riconoscibili ma anche impegno unitario. Nicola Fratoianni ha sempre messo davanti l’esigenza di tessere fili comuni e punti programmatici per la coalizione. Conte si è mosso in modo diverso, garantendo la sua collocazione sul fronte del centrosinistra (ciò che costituisce uno dei punti di rottura con Beppe Grillo) ma non perdendo occasione per smarcarsi e sottolineare le differenze coi potenziali compagni di strada.
Tuttavia, più voci concordano nell’indicare che l’asse M5S-Avs è il frutto inevitabile del consolidamento della leadership di Elly Schlein. Con il buon risultato delle Europee, il rafforzamento della sua posizione nel partito e la consacrazione a leader naturale della coalizione venuta da Giorgia Meloni (che l’aveva scelta come interlocutrice per il duello elettorale prima delle europee) e Matteo Renzi (che la considera unica interlocutrice Vera circa il suo ritorno alla casa madre), diventa quasi automatico che le altre due forze rilevanti della coalizione (una data in crescita, l’altra in cerca di rilancio) costituiscano un contrappeso. Non per far saltare la leadership di Schlein (come Conte sperava fino a pochi mesi fa) ma per strappare spazi di agibilità.
Dal M5S, che ha una maggiore dimestichezza con i posizionamenti tattici sulla Rai, quando negano che il voto di ieri sul cda abbia rappresentato un voltafaccia verso il Pd e la sua linea aventiniana non mancano di sottolineare che l’attuale legge è opera del Pd renziano. «Una riforma per smantellare la legge attuale fatta dal Pd quando c’era Renzi non può essere pronta in un mese – spiegano -. Chi dice che il M5S e Avs avrebbero cambiato idea lo fa in maniera strumentale». Anche la presidente della commissione di vigilanza, Barbara Florida, attribuisce l’asse tra M5S e Avs a una scelta di garanzia più che a un disegno politico più generale: «Hanno condiviso un obiettivo fondamentale – sostiene – impedire che ci fosse un cda privo del presidio delle forze di opposizione e che la maggioranza nominasse tutti i consiglieri di amministrazione».
In Avs ammettono che Schlein ha bisogno di una scossa, il tema della guerra ne è un esempio. Secondo la versione che circola, la scelta aventiniana di Schlein era più un modo per sfuggire alle beghe del Pd, e a rischio di restare imbrigliata nelle richieste delle correnti. «Natale garantisce anche il Pd – rivendicano -. C’è spazio per ricucire»
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Tele-Meloni Eletti Di Majo e Natale per 5s e rossoverdi; Frangi e Marano per Fdi e Lega. Il Mef indica Rossi e Agnes come ad e presidente. Scontro Conte-Schlein. La leader dem: «Le opposizioni erano unite, qualcuno ha cambiato idea». L’avvocato: siamo lì per vigilare, il Pd faccia l’Aventino per le direzioni e le testate dopo decenni di segno diverso. Fratoianni: abbiamo ottenuto l'avvio della riforma della tv pubblica
Peggio di così non poteva finire: con il centrosinistra diviso e avvelenato, la destra compatta e il nuovo cda Rai pronto a dare un’ulteriore stretta a tele-Meloni, con l’arrivo al timone del meloniano Giampaolo Rossi. Ad agosto le opposizioni unite avevano provato a mettere in difficoltà la destre: niente nomina del cda Rai senza una riforma del servizio pubblico che recepisca le indicazioni Del Media freedom Act europeo.
UNA BARRICATA CHE HA tenuto fino a un paio di settimane fa, quando era stata la destra a imporre un rinvio per le proprie divisioni interne. Negli ultimi giorni il fronte di centrosinistra si è sgretolato, con Conte che per primo si è detto disponibile a procedere alle nomine: e così ieri M5S e Avs hanno partecipato alle votazioni sui 4 membri del cda di nomina parlamentare, ottenendone due (la conferma di Alessandro di Majo per i 5S, per i rossoverdi entra l’ex Fnsi Roberto Natale), mentre il Pd, con Azione e Iv, ha confermato la linea dura.
PER LA DESTRA BOTTINO pieno: ha eletto l’ex direttore di Rai2 Antonio Marano (quota Lega) e Federica Frangi (già a Porta a porta e poi un passaggio nell’ufficio stampa di Fdi). Mentre il ministero dell’Economia ha completato la squadra con le due nomine più pesanti: Gianpaolo Rossi, amministratore delegato in pectore e Simona Agnes, designata in quota Fi come presidente della tv pubblica ma ancora sub iudice, visto che deve ottenere il voto dei due terzi della commissione di Vigilanza. Fi Italia sta lavorando per trovarle i voti, per palazzo Chigi non c’è particolare fretta: se non li troverà il presidente ad interim sarà il più anziano, e cioè Marano, e così anche Salvini avrà ottenuto qualcosa (anche se dalla Lega arriva un pizzino a Meloni: «La riforma Rai è più che mai necessaria»).
PER ORA IL DRAMMA è tutto a sinistra. Per il Pd non c’è solo la solita inaffidabilità di Conte (sui temi Rai più frequente del solito), ma anche lo strappo con i cugini di Avs. «Noi siamo
Leggi tutto: Rai, 5s e Avs votano il nuovo cda con le destre. Pd furioso - di Andrea Carugati
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