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dall'Huffington Post del 4 novembre:

La sinistra si organizza: ecco il documento della nuovo progetto alternativo al Pd

  1. NOI CI SIAMO, LANCIAMO LA SFIDA
    Riteniamo non solo necessario ma non più procrastinabile avviare ORA il processo costituente di un soggetto politico di sinistra innovativo, unitario, plurale, inclusivo, aperto alle energie e ai conflitti dei movimenti dei lavoratori e delle lavoratrici, dei movimenti sociali, dell’ambientalismo, dei movimenti delle donne, dei diritti civili, della cittadinanza attiva, del cattolicesimo sociale.

Un soggetto politico in grado di lanciare in modo autorevole e credibile la propria sfida al governo Renzi e a un PD ridotto sempre più chiaramente a "partito personale del leader", in rappresentanza del variegato universo del lavoro subordinato e autonomo, degli strati sociali che più soffrono il peso della crisi, dei loro diritti negati e delle loro domande inascoltate, orientato a valorizzare la funzione dei governi territoriali e dei corpi intermedi. Dobbiamo rispondere in modo adeguato - con la forza, il livello di unità e la chiarezza necessarie - alla domanda sempre più preoccupata di quel popolo di democratici e della sinistra che non si rassegna alla manomissione del nostro assetto democraticocostituzionale, alla liquidazione dei diritti del lavoro e alla cancellazione del residuo welfare. Leggi qui l'intero articolo

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Nel 2018 o, meglio, alle pros­sime poli­ti­che, un nuovo sog­getto di sini­stra ci sarà. Sta­volta la deci­sione sem­bra presa e l’impegno sot­to­scritto. Il tavolo della «cosa rossa», che nelle scorse set­ti­mane aveva sfio­rato il fal­li­mento, lunedì sera invece ha tro­vato la qua­dra e par­to­rito il testo di un accordo, un «pre­am­bolo» sulle prin­ci­pali que­stioni sul piatto.
La prima, appunto, la par­tenza imme­diata di un sog­getto «alter­na­tivo e auto­nomo» al Pd. Una par­tenza «non più pro­cra­sti­na­bile» di un pro­cesso costi­tuente demo­cra­tico «di sini­stra inno­va­tivo, uni­ta­rio, plu­rale, inclu­sivo, aperto alle ener­gie e ai con­flitti dei movi­menti dei lavo­ra­tori e delle lavo­ra­trici, dei movi­menti sociali, dell’ambientalismo, dei movi­menti delle donne, dei diritti civili, della cit­ta­di­nanza attiva, del cat­to­li­ce­simo sociale», ed «euro­peo» in quanto «parte di una sini­stra euro­pea anti­li­be­ri­sta, che, con cre­scente forza e nuove forme, sta lot­tando per cam­biare un qua­dro euro­peo insostenibile».
Nel testo si sciol­gono due nodi che fin qui ave­vano rischiato di por­tare allo stallo. Il primo è una que­stione di fondo, e cioè il cer­ti­fi­cato di morte del vec­chio ’cen­tro­si­ni­stra’: in Ita­lia quella sta­gione «è finita», dice il testo. Il secondo è la diretta con­se­guenza sulle pros­sime ammi­ni­stra­tive. Sel, il prin­ci­pale azio­ni­sta del nuovo sog­getto — in quanto a numeri, almeno — fin qui ha deciso di par­te­ci­pare alle pri­ma­rie mila­nesi, anche se i com­pa­gni

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AUTORITARIA e INCOSTITUZIONALE

Con la “riforma” del Senato e l’italicum, Renzi stravolge la Costituzione, nel segno dell’uomo solo al comando

di GIANNI FERRARA (costituzionalista)

da “Sinistra Sindacale” N. 8 www.sinistrasindacale.it

Una premessa è dovuta. Il Parlamento italiano è illegittimo perché eletto con un sistema elettorale giudicato tale con sentenza 1/2014 dalla Corte Costituzionale. In qualsiasi paese civile sarebbe stato sciolto. In Italia invece tale Parlamento legifera, anche in materia costituzionale. In perfetta coerenza con l’incostituzionalità che avvolge tutto l’ordinamento, il Senato ha approvato in prima lettura un progetto di legge che ne modifica la composizione, le funzioni ed il ruolo attribuitogli dalla Costituzione finora vigente. Contribuisce così a concretizzare un disegno. Un disegno eversivo della forma di governo e della forma di Stato e che stravolge l’identità della Repubblica. Eversivo non solo, e non tanto, perché il Senato perde il potere di concedere o revocare la fiducia al governo e conserva, assieme alla Camera, soltanto per alcune materie il potere legislativo: revisione costituzionale, ordinamento dello stato, leggi elettorali, referendum, minoranze linguistiche, organi di governo, comuni, trattati, estensione dell’autonomia regionale.
Il Senato perde quindi la funzione di deliberare sulla maggior parte dei disegni di legge, per i quali ha solo un potere di emendamento che la Camera dei deputati, provvista dell’intera potestà legislativa, può benissimo disattendere. Non tanto per queste menomazioni, la “riforma” del Senato è eversiva; lo è per gli effetti che esse producono sull’intero sistema costituzionale combinandosi con la legge elettorale, l’italicum.
Va intanto rilevato che la configurazione del Senato, approvata martedì 13 ottobre, si colloca fuori dei modelli di seconda camera esistenti nel mondo. In nessun paese, a sistema bicamerale, i membri del senato sono eletti dai consigli regionali “su indicazione” degli elettori, mediante listini abbinati alle liste che competono nelle elezioni regionali. È del tutto evidente, comunque, che “indicazione” non significa voto, e l’ambiguità della formula può permettere non poche e gravi distorsioni. Si aggiunga che

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La proposta di legge costituzionale che il senato voterà oggi dissolve l’identità della Repubblica nata dalla Resistenza. È inaccettabile per il metodo e i contenuti; lo è ancor di più in rapporto alla legge elettorale già approvata.

Nel metodo: è costruita per la sopravvivenza di un governo e di una maggioranza privi di qualsiasi legittimazione sostanziale dopo la sentenza con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del «Porcellum». Molteplici forzature di prassi e regolamenti hanno determinato in parlamento spaccature insanabili tra le forze politiche, giungendo ora al voto finale con una maggioranza raccogliticcia e occasionale, che nemmeno esisterebbe senza il premio di maggioranza dichiarato illegittimo.

Nei contenuti: la cancellazione della elezione diretta dei senatori, la drastica riduzione dei componenti — lasciando immutato il numero dei deputati — la composizione fondata su persone selezionate per la titolarità di un diverso mandato (e tratta da un ceto politico di cui l’esperienza dimostra la prevalente bassa qualità) colpiscono irrimediabilmente il principio della rappresentanza politica e gli equilibri del sistema istituzionale.

Non basta l’argomento del taglio dei costi, che più e meglio poteva perseguirsi con scelte diverse. Né basta l’intento dichiarato di costruire una più efficiente Repubblica delle autonomie, smentito dal complesso e farraginoso procedimento legislativo, e da un rapporto stato-Regioni che solo in piccola parte realizza obiettivi di razionalizzazione e semplificazione, determinando per contro rischi di neo-centralismo.

Il vero obiettivo della riforma è

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Lotta all'Isis. Il governo Renzi si caratterizza per mancanza di visione, subalternità ai rapporti di forza e di potere internazionali e un inconfessato perseguimento di alcuni interessi economici e geopolitici

I bom­bar­da­menti ita­liani in Iraq sono dun­que sul tavolo. La mini­stra della difesa Pinotti — ascol­tata in Par­la­mento insieme a Gen­ti­loni mar­tedì scorso — ha dichia­rato: «Valu­te­remo nuovi ruoli» e poi: «Quando il governo avrà sta­bi­lito un suo orien­ta­mento, rife­rirà in Par­la­mento». Cioè, tra­dotto in ita­liano: stiamo valu­tando se bom­bar­dare e quando il governo deci­derà, lo farà sapere al Par­la­mento. Bontà sua. Ma le valu­ta­zioni (e le deli­be­ra­zioni) le deve fare il Par­la­mento, non la Pinotti.

La noti­zia di un pos­si­bile inter­vento mili­tare ita­liano in Iraq l’aveva data l’altro ieri il Cor­riere della Sera. Infor­mato, pare, da fonti interne (assai auto­re­voli) del mini­stero della Difesa, sulle cui gerar­chie mili­tari la mini­stra Pinotti sta per­dendo pro­gres­si­va­mente il con­trollo. La richie­sta — più o meno espli­cita — di una par­te­ci­pa­zione ita­liana ai bom­bar­da­menti viene dal governo ame­ri­cano (anche per con­tro­bi­lan­ciare il pro­ta­go­ni­smo russo in Siria) e da quello ira­cheno.
Ma c’è anche la pre­oc­cu­pa­zione delle gerar­chie mili­tari di un pos­si­bile taglio (pre­fi­gu­rato nella legge di sta­bi­lità) del 3% delle spese per la difesa: l’intervento mili­tare usato come pre­te­sto di bot­tega per scon­giu­rare i tagli.
Fin­ché c’è guerra, c’è spe­ranza, reci­tava il titolo di un film con Alberto Sordi.

In Iraq, nella coa­li­zione anti-Isis, l’Italia c’è già con una mis­sione di sor­ve­glianza e di adde­stra­mento. Abbiamo quat­tro Tor­nado che hanno com­piti di pat­tu­glia­mento. La loro influenza (qua­lora doves­sero anche bom­bar­dare) sul corso della lotta anti-Isis è inin­fluente. Ma è la clas­sica ban­die­rina che serve per rita­gliarsi un ruolo nella coa­li­zione (come ai tempi di Cavour con i sol­dati man­dati in Cri­mea) ed impe­dire che la spen­ding review riguardi anche le armi (e non solo gli ospedali).

In audi­zione al Par­la­mento, il mini­stro degli esteri Paolo Gen­ti­loni ha fatto un inter­vento cauto e sobrio, esclu­dendo l’intervento mili­tare, men­tre la mini­stra Pinotti — «la mini­stra con l’elmetto», l’ha defi­nita il vice pre­si­dente della Com­mis­sione Esteri, Era­smo Palaz­zotto nel corso dell’audizione — è stata ambi­gua ed opaca, facendo un mezzo sci­vo­lone. Non è la prima volta: già di fronte al disa­stro della guerra in Libia, alcuni mesi fa, la Pinotti evocò la pos­si­bi­lità di inviare 5mila sol­dati — sti­vali sul ter­reno — salvo poi essere smen­tita il giorno dopo da Mat­teo Renzi alla dire­zione del Pd, che escluse ogni inter­vento militare.

L’«attrazione fatale» verso la guerra è il segno dell’assenza di una stra­te­gia poli­tica verso la lotta all’Isis (che deve essere una stra­te­gia per la solu­zione dei pro­blemi di quell’area geo­gra­fica) e delle dina­mi­che geo­po­li­ti­che dove ogni potenza, grande o media o pic­cola (dalla Rus­sia agli Usa, dalla Fran­cia all’Italia), cerca di rita­gliarsi un pro­prio spa­zio. Il tutto senza fare i conti con l’enorme com­ples­sità dei con­flitti in quell’area, con le con­se­guenze dei flussi migra­tori, con le dina­mi­che poli­ti­che e reli­giose degli attori in campo.

Abbiamo già visto cosa è suc­cesso con l’intervento mili­tare in Libia, che molti con­si­de­ra­vano come riso­lu­tore oltre che per la fine del regime di Ghed­dafi anche per l’avvio di una nuova fase demo­cra­tica nel paese. Invece si è aperto il «vaso di Pan­dora» e l’Isis spa­dro­neg­gia ora anche in quell’area. La guerra è una scor­cia­toia e per para­fra­sare il vec­chio ada­gio non è la con­ti­nua­zione, ma il fal­li­mento della poli­tica con altri mezzi.

Non c’è, non ci sarà alcuna solu­zione mili­tare, nes­suna azione bel­lica, nes­sun bom­bar­da­mento capace di sra­di­care il ter­ro­ri­smo e risol­vere i con­flitti in quell’area, come d’altronde 20 anni di inter­venti mili­tari nel Medio Oriente ci hanno mostrato. Quello che carat­te­rizza que­sto governo è la man­canza di visione, la subal­ter­nità ai rap­porti di forza e di potere inter­na­zio­nali, l’assenza di auto­no­mia e di dise­gno stra­te­gico e l’inconfessato per­se­gui­mento di alcuni inte­ressi eco­no­mici e geo­po­li­tici nazio­nali. Così non si va da nes­suna parte. Anzi, si va dalla parte sba­gliata: quella della guerra.

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Curzio Maltese (giornalista e deputato europeo eletto nelle liste dell'Altra Europa per Tsipras) interviene sul "Manifesto" del 18 settembre nel dibattito "C’è vita a sinistra?" aperto da Norma Rangeri .

Piuttosto che confrontarsi con una società in movimento, ci si è chiusi nei soliti circoli. Il voto nei comuni può essere l’occasione per costruire una nuova storia, aperta a tutti.

C’è tanta vita a sini­stra, ma non c’è una poli­tica. La que­stione posta da Norma Ran­geri natu­ral­mente non riguarda sol­tanto l’Italia. La sini­stra è in crisi in tutta Europa. La straor­di­na­ria ope­ra­zione di ege­mo­nia cul­tu­rale lan­ciata oltre trent’anni fa dal libe­ri­smo ha rag­giunto oggi il mas­simo grado di suc­cesso. L’obiettivo dell’Europa a guida Mer­kel è demo­lire la costru­zione del wel­fare e di con­se­guenza ridurre all’irrilevanza la social demo­cra­zia euro­pea, ed è esat­ta­mente quanto sta acca­dendo, con la col­la­bo­ra­zione dei lea­der socia­li­sti, sor­pren­dente e per­fino entu­sia­stica, come nel caso del nostro Renzi.
Le poche forze che hanno cer­cato di ere­di­tare la rap­pre­sen­tanza sociale abban­do­nata dai socia­li­sti, come Syriza, Pode­mos, Sinn Fein o la Linke, sono cir­con­date e asse­diate da un sistema poli­tico che ormai gra­vita sull’asse di una perenne grande coa­li­zione, e attac­cate con vio­lenta astu­zia da un sistema media­tico mai nella sto­ria così ben con­trol­lato dai poteri domi­nanti. In Ita­lia, spesso labo­ra­to­rio del peg­gio in poli­tica, il pro­cesso è andato oltre. Oggi la con­tesa poli­tica da noi si svolge all’essenza fra varie forme di popu­li­smo di destra. Da una parte il lepe­ni­smo in salsa padana di Sal­vini, dall’altra il ren­zi­smo, che è la pro­se­cu­zione del ber­lu­sco­ni­smo con altri mezzi e con l’appoggio deci­sivo del ber­lu­sco­ni­smo resi­duale, nello schema con­ti­nen­tale di una grande coa­li­zione de facto.
L’ultima e più inte­res­sante forma di popu­li­smo è il Movi­mento 5 Stelle che è, per farla breve, un movi­mento gene­ti­ca­mente di sini­stra alla base, ogni volta modi­fi­cato da un ver­tice di destra estrema. Una con­trad­di­zione che finirà per esplo­dere. Ogni volta che la base del movi­mento si spo­sta su una cri­tica radi­cale del libe­ri­smo, Grillo e Casa­leg­gio inter­ven­gono, ripor­tan­dolo nell’ambito dell’ultra libe­ri­smo nazio­na­li­sta, dalle parti di Farage e ora addi­rit­tura del fasci­sta Orban.
In que­sto qua­dro i milioni d’italiani di sini­stra hanno ela­bo­rato diverse forme di resi­stenza. La mag­gio­ranza ormai

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