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Marco Revelli da "Il Manifesto" del 19.11.2015

Ma anche perché la guerra è entrata nella testa dei nostri governanti, nell’agenda e nel lessico delle istituzioni europee, ne ha colonizzato l’immaginario e i protocolli, il linguaggio dei leader e gli ordini del giorno delle assemblee parlamentari.
Il socialista Francois Hollande — il presidente della Francia repubblicana, un tempo emblema delle libertà politiche e dei diritti dell’uomo — che parla con le parole di Marine Le Pen è il simbolo, tragico, di questa metamorfosi regressiva. Il governo “de gauche” francese, che si propone di modificare la Costituzione fino a intaccare le regole sacre dei diritti individuali e addirittura a ipotizzare il ritorno alla pratica primordiale della «proscrizione» — della cancellazione della cittadinanza per i reprobi che «non ne sono degni» trasformandoli in “eslege” -; e poi, appellandosi all’art. 42.7 dei Trattati, trascina l’Europa intera nella sua guerra — in un formale «stato di guerra» -, non rivela solo il compiuto fallimento del socialismo europeo, diventato col tempo non solo altro da sé ma l’opposto di se stesso. Mette in mostra anche uno «stato dell’Unione» ormai gravemente degenerato, incapace di tener fede nemmeno alla più elementare delle sue promesse originarie: tutelare la pace. Difendere i diritti. E intanto si rialzano muri e si chiudono confini contro le prime vittime di questa guerra di massa. Tutto questo la dice davvero lunga sul percorso a ritroso condotto in questi anni di crisi e di resa. E sull’urgenza che, a livello continentale, nasca e si consolidi una sinistra autorevole in grado di colmare quel vuoto. Una sinistra con le carte in regola — e senza scheletri negli armadi, bombe sulla coscienza e operazioni neo-coloniali nel curriculum — per parlare di pace, di giustizia sociale internazionale, di diritti (degli ultimi) e di doveri (dei primi).
I segni dell’emergere di una sinistra nuova, capace di emanciparsi dalla crisi delle socialdemocrazie novecentesche e di ritornare a contare nello scenario inedito attuale sono d’altra parte già visibili, soprattutto sull’asse mediterraneo, dalla Grecia, naturalmente — dove la riconferma del mandato a Tsipras con un voto plebiscitario fa di Syriza un punto fermo di contraddizione e di resistenza nel contesto europeo -, al Portogallo come alla Spagna. E anche in Italia, finalmente, le cose si sono messe in movimento. Il documento Noi ci siamo. Lanciamo la sfida, elaborato e condiviso da tutte le principali componenti di un’articolata area di sinistra — da Sel al Prc, da Futuro a sinistra a Possibile e ad Act, fino a Cofferati e Ranieri e, naturalmente a L’Altra Europa che per questa soluzione si è spesa senza risparmio -, indica finalmente una data, la metà di gennaio, per dare inizio al processo costituente con un appuntamento partecipato e di massa. E contemporaneamente offre una piattaforma politica di analisi e di prospettiva chiara e condivisa in una serie di punti qualificanti: la fine conclamata del centro-sinistra, la constatata natura degradata del Pd oggi incompatibile nel suo quadro dirigente con qualsiasi prospettiva di sinistra, la necessità di costruire, in fretta, un’alternativa autonoma, non minoritaria né testimoniale, competitiva e credibile.
Nello stesso tempo si lavora nelle città che andranno al voto nelle prossime amministrative: è di sabato scorso la formalizzazione, a Torino, di una candidatura forte,

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Governare è rischioso poiché implica di fare i conti con l’esistente, col rischio di soccombere. Ma l’alternativa non può essere rinunciare a governare, sarebbe rinunciare alla politica . Al radicalismo teorico appartiene anche il calcolo delle forze, delle energie e delle alleanze necessarie. Non le velleità maggioritarie
di Carlo Galli
Merita una risposta articolata la serie di questioni poste lo scorso 13 novembre da Paolo Favilli su questo giornale. Iniziamo dalla più facile: la “cosa rossa”. Termine che mi infastidisce molto non per l’aggettivo ma per il sostantivo: non credo infatti opportuno che un soggetto (politico) sia reificato (reso cosa, oggetto); che ciò che deve essere determinato sia indeterminato; che ciò che deve avere una forma sia relegato nell’informità. C’è nel termine “cosa rossa” il sapore di un’indecisione, di un’imprecisione, di un velleitarismo inconcludente, che lo rendono caro a chi ci è avversario, a chi non vuole fare neppure la fatica di raccogliere e decifrare la sfida di pensiero e di proposta che il soggetto “sinistra” vuole lanciare nella politica italiana. È un termine che nel dibattito pubblico risulta irridente e liquidatorio, che allude a un conato e non a un successo, a passate sconfitte e non a possibili affermazioni, a una minoritaria litigiosità e non a una azione concorde e plurale. Utilizzarlo è accettare di essere definiti da altri, da chi ci è ostile. Il nuovo soggetto politico — per ora un gruppo parlamentare — ha un nome e un cognome, “Sinistra italiana”, che sono un programma, non una Cosa.
Un’ulteriore questione è la asserita scarsa congruenza fra l’analisi della fase, contenuta in un mio breve testo, e, se capisco bene, un documento del Comitato Politico Nazionale e di un altro documento, istitutivo del soggetto “Sinistra italiana”, fatto circolare nei territori. Potrei rispondere — e sarebbe la verità — che il mio testo impegna solo me stesso; mentre gli altri due non sono di mia mano, e impegnano ripetitivamente i firmatari e l’intero gruppo di Sinistra italiana. Ma sarebbe una risposta formalistica: infatti, al di là di usi terminologici un po’ diversi e delle diverse autorialità, destinazioni e fruizioni, mi pare si possa dire

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Il documento Noi ci siamo…, ad esempio, risulta essere piuttosto generico e assai debolmente analitico
Carlo Galli non intende partecipare alla costruzione di una «cosa rossa»

di Paolo Favilli da "il Manifesto" del 13.11.2015

In questi ultimi giorni la nostra parte (sinistra? «cosa rossa?») ha registrato due positivi segnali: la firma dei rappresentanti di tutta l’area impegnata nella costruzione del nuovo soggetto politico «di sinistra» sotto un documento comune intitolato Noi ci siamo, lanciamo la sfida e la nascita del gruppo parlamentare di Sinistra italiana. Certamente ambedue questi avvenimenti possono essere soggetti a critica per il ritardo — colpevole e dai rischi esiziali — con cui siamo arrivati a questo primo passo.
E per il fatto che nella loro manifestazione appaiono evidenti «eredità di sconfitte, arretramenti, traversie e divisioni che hanno creato sfiducia e lacerato relazioni» (Carra, il manifesto, 7 novembre).
Il documento Noi ci siamo…, ad esempio, risulta essere piuttosto generico e assai debolmente analitico; nello stesso tempo, però, contiene anche impegnative discriminanti che, se prese sul serio dai contraenti — e devono essere prese sul serio — saranno certamente portatrici di una stagione politica veramente nuova per la nostra parte. Sarebbero gravissime le responsabilità di chi facesse fallire il processo per il prevalere delle logiche che hanno portato a «sconfitte, arretramenti, traversie, divisioni».
Anche nei modi della formazione del gruppo parlamentare di «Sinistra italiana», del resto, sono presenti tracce di quelle antiche (e recenti) vicissitudini. In particolare la scarsa propensione ad andare alla radice dell’attuale fase politica di cui gli assestamenti in corso restano fenomeni di superficie. Da ciò la ripetizione di logore litanie sulla necessità di tenersi a distanza da tutte le sfumature del «rosso» in quanto inesorabilmente «vecchie» ed affette da congenito «settarismo minoraritario». Coerentemente il colore del simbolo scelto per il nuovo gruppo parlamentare è l’arancione.
Comprendo assai bene le ragioni di tale atteggiamento in coloro che solo di recente hanno abbandonato il Pd ed in coloro che a suo tempo avevano scommesso sul centrosinistra «buono» di Bersani. Ma il compito assai difficile che tali componenti del processo in corso si sono date necessita di un salto di qualità analitico, ed insieme di un senso forte delle responsabilità assunte, in grado di relegare nella sfera del contingente, e di un contingente ormai alle spalle, tutti i tatticismi. Quelli sì davvero vecchi, oltre che deleteri.
Condivido il fastidio per l’espressione «cosa rossa». Il termine «cosa» ci tormenta dai tempi delle continue metamorfosi del Pds, ma l’ idiosincrasia

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IA Faenza, a cinque mesi dalle elezioni comunali, un'affollata assemblea sancisce la nascita dell'Associazione "L'Altra Faenza" che mantiene unita e rilancia la sinistra plurale che aveva presentato la lista omonima.
A Roma nasce alla Camera dei Deputati il nuovo gruppo parlamentare "Sinistra italiana"; intanto continua sulle colonne del Manifesto il dibattito sul futuro della sinistra.
Crescono i nuovi interlocutori e sembra accellerare il processo di ricomposizione e di innovazione della proposta politica.
Segnaliamo un articolo di Paolo Favilli, una risposta di Carlo Galli e un intervento di Marco Revelli. Buona lettura!

la redazione

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Oggi a Torino è morto a 88 anni Luciano Gallino. Sociologo ed economista, docente universitario, è stato uno degli intellettuali più sensibili ai bisogni ed ai diritti dei lavoratori. Uomo di sinistra, fino all'ultimo non ha mai fatto mancare la sua voce critica. La sua sensibilità e la sue analisi rigorose ci mancheranno. In numerose occasioni abbiamo riprodotto sul nostro sito i suoi preziosi interventi: Uno Tsipras per l'Italia 
La differenza visibile tra destra e sinistra
Lo ricordiamo mettendo qui in rete un suo recente articolo, apparso su "Repubblica" del 4 maggio 2015

La Troika e i diritti umani.

di Luciano Gallino

"La gestione delle crisi nell'Unione Europea ha condotto a massicce violazioni di diritti umani. Inoltre il modo in cui le crisi sono state gestite ha esposto una serie di buchi neri quando si tratta di individuare le responsabilità per la violazione di diritti umani", lo ha scritto di recente una giurista del Centro per lo Studio dei Diritti umani della London School of Economics, Margot E. Salomon.

Il suo saggio e uno dei più approfonditi finora apparsi sul tema, dopo quello del 2014 di Andreas Fischer Lescano, docente a Brema ("Diritti umani ai tempi delle politiche di austerità"). I tagli a sanità, pensioni, stipendi, diritti del lavoro, istruzione, servizi pubblici imposti da Commissione Europea, Fmi e Bce a Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda, Italia e altri paesi hanno inflitto gravi privazioni a milioni di persone. E' sempre più evidente che le istituzioni Ue e il Fmi non avevano il diritto di compiere azioni del genere. Non soltanto: si può sostenere che compiendole hanno violato dozzine di articoli di patti, trattati, carte e convenzioni sottoscritti da esse medesime, a cominciare dal Trattato fondativo dell'Unione.

Vediamo qualche caso. Tra i diritti legalmente sanciti dalla Carta Sociale Europea (versione riveduta del 1996) figurano i seguenti: «Tutti i lavoratori hanno diritto a un' equa retribuzione che assicuri a loro e alle loro famiglie un livello di vita soddisfacente» (art. 4); «I bambini e gli adolescenti hanno diritto a una speciale tutela contro i pericoli fisici e morali cui sono esposti» (art. 7); «Ogni persona ha diritto di usufruire di tutte le misure che le consentano di godere del migliore stato di salute ottenibile» (art. 11); «Tutti i lavoratori e i loro aventi diritto hanno diritto alla sicurezza sociale» (art. 12); «Ogni persona sprovvista di ri­sorse sufficienti ha diritto all' assistenza sociale e medica» (art. 13); «Ogni persona anziana ha diritto ad una protezione sociale» (art. 23); «Tutti i lavoratori hanno diritto ad una tutela in caso di licenziamento» (art, 24); «Ogni persona ha diritto alla protezione dalla povertà e dall' emarginazione sociale» (art. 30).
Si potrebbe continuare citando articoli analoghi del Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (New York 1966); della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea; di una mezza dozzina almeno di Convenzioni del­ l'Organizzazione Internazionale del Lavoro, dal 1948 in avanti. Per finire magari con l'articolo 7 dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale,

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Molte fini, un nuovo inizio. – Tesi per una sinistra democratica sociale repubblicana

di Carlo Galli il 26 ottobre 2015

La sinistra – Metodo
È da superare il togliattismo senza Togliatti. Il realismo senza una grande idea da preservare e da realizzare non è sinistra, ma opportunismo. È finito il blairismo – l’applicazione pratica della tesi di Giddens che si è raggiunto il culmine della socializzazione e che ora la sinistra deve stare dalla parte del capitale. La terza via ha prodotto una più facile penetrazione del neoliberismo in Europa, mitigandone solo in parte gli effetti. La miseranda situazione in cui versa la socialdemocrazia europea (soprattutto quella tedesca – storicamente leader del socialismo continentale), incapace d’iniziativa e del tutto schiacciata sulla difesa dell’esistente, è la prova di ciò. Ed è anche finita l’idea che i problemi politici siano tecnici. Destra e sinistra sono ancora gli assi portanti della politica, per nulla sostituibili da ‘vecchio’ e ‘nuovo’.
Sinistra non è un catalogo di valori, né semplicemente lo schierarsi con i deboli, né occuparsi degli ultimi; è una interpretazione intellettuale della società volta a rilevarne le contraddizioni strategiche, a identificarne l’origine, e a porvi rimedio con azioni politiche. Se la sinistra è riformista, le riforme devono essere strutturali, non cosmetiche né populistiche. In ogni caso la sinistra è una parte che persegue egemonia, successo elettorale e orizzonte nazionale senza perdere il proprio carattere orientato.
Che la sinistra sia parte non implica che sia un’ideologia; ideologia è semmai, al contrario, il pensiero unico neoliberista (e ordoliberista) che pretende per sé la naturalità e la non-ideologicità, celando le contraddizioni reali che gli ineriscono.
Oggi ‘radicalità’ significa cogliere che la contraddizione centrale è quella che contrappone ristretti strati elevati, in grado di comprendere le dinamiche del capitale mondiale, e di determinarle attraverso leve economiche o tecnico-burocratiche (a tali strati si aggiungono infatti i tecnici esperti e le forze capitalistiche medie), e gli strati subalterni perennemente agiti e incapaci di protagonismo. La contraddizione centrale è insomma che la società degli individui concorrenziali, che vuol essere il trionfo dell’umanesimo moderno, è organizzata economicamente e culturalmente in modo tale che la grandissima maggioranza delle persone è spossessata della propria autonomia (materiale e intellettuale) spesso senza esserne pienamente consapevole (grazie al ruolo mistificatorio dei media, veicoli del pensiero unico). Questa inconsapevolezza si presenta come disagio, anomia, apatia, o protesta violentemente populista o in comunitarismo escludente (l’individualismo frustrato si rovescia in egoistico etnocentrismo).
All’interno di questa contraddizione strategica, non visibile, si formano poi altri cleavages, visibili, fra chi ha qualcosa e chi non ha nulla, fra integrati ed esclusi (o semi-esclusi, o pericolanti), che derivano in ultima istanza dalla contraddizione principale. I cleavages che molti si compiacciono di enumerare ammonticchiati l’uno accanto all’altro – come se la nostra società fosse davvero liquida e imprendibile concettualmente (il che è falso: questa è l’ideologia del neoliberismo) – implicano in realtà una dimensione dura, strutturale, che li ricodifica: appunto la dimensione dell’accesso (o dell’esclusione) alle (dalle) decisioni che danno forma al mondo d’oggi. Insomma, come i conflitti teologico-politici non avvengono su punti di dottrina islamica, così la fuga dall’Africa e dal Medio Oriente non avviene per una generica ‘miseria’, e la xenofobia non si fonda primariamente su pulsioni psicologiche naturali. Il primum movens è la spinta contraddittoria del capitalismo, e il suo impatto diverso in diverse aree geografiche e in diversi strati sociali.
Compito della sinistra, certo, è scegliere la parte debole ma non restare ferma al livello della sua semplice difesa compensativa; anzi, deve cercare di ricondurre il fuoco dell’attenzione politica sulla contraddizione principale, per non restare intrappolata nelle contraddizioni derivate. Compito fondamentale della sinistra è agire a livello critico e intellettuale per rompere questa inconsapevolezza, per criticarne in modo non moralistico le derive, per spostare l’attenzione dai livelli – pur importanti – della corruzione e della illegalità alle contraddizioni strutturali del presente stato di cose. Insomma, è dare forma politica a contraddizioni crescenti che fino a ora non trovano espressione concettuale e politica. E mostrare concrete alternative, anche attraverso una fisiologica conflittualità democratica.

Economia
È finita l’era del neoliberismo trionfante, anche nel discorso pubblico. Lo Stato non è né un ingombro né un mero regolatore, né mai lo è stato. Non esiste un mercato, un’economia, senza una politica che la sorregga. Ciò che è avvenuto negli ultimi trent’anni non è semplicemente il trionfo del mercato ma di una politica che ha voluto agevolare il mercato e indebolire il lavoro e lo Stato sociale, e che – soprattutto ma non solo in Europa occidentale – non ha creato né lavoro né sviluppo né ricchezza da ridistribuire, ma piuttosto bolle finanziarie di debito privato il cui periodico esplodere mostra la natura strutturalmente di crisi di questa forma del capitalismo.
È finita l’idea neoliberista che ci sia una spontanea convergenza di interessi fra democrazia e mercato, fra capitale e lavoro. La convergenza è semmai episodica, contrattata volta per volta; è il risultato di un parallelogramma di forze, non un a priori indiscutibile.
È finita l’idea che si possano sacrificare i diritti per l’occupazione. Abbiamo avuto il sacrificio reale ma non il beneficio sperato. L’attuale modesta ripresa si fonda quasi esclusivamente sugli incentivi statali alle assunzioni (le esportazioni dipendono dal ciclo internazionale). Intere aree del Paese – il Sud – sono immerse in una depressione senza fine.
Nel linguaggio corrente e anche nel discorso pubblico si sono poste in alternativa equità ed efficienza, e i diritti e l’uguaglianza sono stati sostituiti da concetti come opportunità e merito. Ma è uno schema mistificatorio (fornisce una lettura individualistica e non strutturale della società) e fallimentare (destinato a essere frustrato continuamente), che nasconde la trasformazione oligarchica e plutocratica della società (ormai fondata sulla nascita molto più che sul merito). Il disposto dell’art. 3 Cost. è sostanzialmente violato: è la disuguaglianza e non l’uguaglianza a strutturare l’esistenza collettiva; l’ingiustizia e il privilegio economico, non la giustizia e il diritto (ciò concorda con le ‘leggi’ di sviluppo del capitalismo indicate da Piketty – al netto della valutazione complessiva del suo lavoro). Ciò resta non visto, tranne quando casi di particolare impatto vengono mediaticamente trattati attraverso la mozione degli affetti e l’enfatica promozione di facili quanto effimeri sentimentalismi.
Analogamente, l’analisi della società italiana come un insieme di caste che devono essere liquidate e

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