INTERVISTA. Il deputato di Leu: «Il dissenso di Conte è su temi reali. Il premier non doveva drammatizzare. Si va avanti solo con un’agenda sociale. Insopportabile il ricatto dem sulla coalizione, dovevano riconoscere la fondatezza delle questioni poste
Stefano Fassina - LaPresse
«Le dimissioni del presidente Draghi sono state una grave drammatizzazione. E ha fatto bene il Capo dello Stato a respingerle e rinviarlo in Parlamento», spiega Stefano Fassina, deputato di Leu.
Il M5S non ha votato la fiducia in Senato.
Non aveva votato quel decreto neppure il 2 maggio in consiglio dei ministri, mentre la settimana scorsa ha votato la fiducia alla Camera. Quelli che oggi predicano senso di responsabilità perché allora non hanno ascoltato le ragioni del partito di maggioranza relativa? Dov’erano quelli che oggi danno lezioni quando il governo negava un intervento sul bonus 110% che, com’è oggi, soffoca migliaia di imprese? O quando lo stesso esecutivo dava parere favorevole a un emendamento della destra che sfregia il reddito di cittadinanza? Questa crisi ha origini nella società, non nel Palazzo. E il Movimento, con tutti i suoi limiti, ha tentato di affrontare alcuni di questi nodi sociali.
Cosa avrebbe potuto fare Draghi dopo il voto di giovedì in Senato?
Avrebbe potuto prendere atto di un dissenso importante del M5S che tuttavia non ha impedito l’approvazione del decreto. Si poteva non drammatizzare un passaggio serio, sapendo che i 5 stelle non avevano intenzione di uscire dalla maggioranza. Anche chi oggi ricatta il M5S sul futuro dell’alleanza doveva riconoscere la fondatezza delle questioni poste e insieme lavorare per un’agenda di risposte credibili alla crisi sociale.
Ce l’ha col Pd?
Il ricatto sull’alleanza è insopportabile. Vanno riconosciute le radici sociali della crisi politica.
In realtà in queste ore il M5S discute di ritiro dei ministri.
Questa ipotesi è stata smentita. Ma è evidente che c’è un problema profondo, che riguarda anche l’invio di armi in Ucraina. La reazione del premier e il linciaggio che viene dal resto della maggioranza non aiuta a ricostruire un rapporto di fiducia. Mi pare invece che ci sia l’obiettivo di buttarli fuori per una prospettiva centrista nella prossima legislatura. Altrimenti in Parlamento si sarebbe potuto lavorare sul decreto. In realtà, continua a imperversare un suprematismo morale, culturale e politico verso il M5S.
Il Pd sta cercando in tutti i modi di far rientrare Conte.
Spero che prevalga la linea di costruire una credibile agenda sociale insieme alle altre forze progressiste.
Per fine luglio era annunciato un decreto «corposo» per tutelare i salari. Conte poteva aspettare questo passaggio prima di rompere. O no?
Insisto, il M5S non ha votato la sfiducia. La drammatizzazione l’hanno fatta altri. E poi perché si chiede responsabilità solo a loro? C’era una larga maggioranza pronta a intervenire sul bonus 110% e il governo non ha risposto. C’è una parte della maggioranza e anche del governo che vuole stringere i 5 stelle in una tenaglia: o accettano l’omologazione oppure vengono tacciati di irresponsabilità. Ma se il Movimento diventa una fotocopia del Pd e prende il 5% non mi pare un grande successo per il campo progressista. Le periferie sociali, piaccia o meno, scelgono o la destra e, seppur ridimensionati, i 5 stelle.
Draghi ha detto che non presiederà un governo senza il M5s.
L’ho ascoltato. Spero voglia dire che presta attenzione alle questioni poste.
Ora che succederà?
Vedo difficile una ricomposizione della vecchia maggioranza, io lavorerò per una saldatura delle forze progressiste su un progetto comune, che tenga conto dei 9 punti contenuti nella lettera di Conte al premier.
Parla di un programma elettorale o di una piattaforma per proseguire con questo governo?
Può essere entrambe le cose. Il governo serve se affronta la crisi sociale, ad esempio con un intervento su salari e pensioni finanziato con gli extraprofitti. Non basta averne uno giusto per tirare avanti.
Al centrosinistra convengono le elezioni?
Le elezioni ora non convengono all’Italia. Non sarebbe utile neppure andare avanti ancora accrescendo il distacco con le fasce più deboli che vogliamo rappresentare.
Lei voterebbe ancora la fiducia a Draghi? La capogruppo di Leu in Senato De Petris è uscita dall’aula.
Vorrei valutare la credibilità degli impegni sulla base dei numeri. Sono mesi che chiediamo un tetto nazionale al prezzo del gas e interventi sui salari.
Non si unisce al coro che chiede al premier di ripensarci?
Mi unisco alle voci delle forze sociali, del M5S e di chi nel Pd chiede una svolta sul versante sociale.
La destra vuole il voto subito?
Credo che la Lega non lo voglia, Forza Italia è divisa. Solo Meloni ha questo obiettivo.