Il nuovo soggetto. Le forme partitiche del passato non possono essere riprodotte. Non c’è più un’avanguardia che reca il verbo a moltitudini. Non si può ricreare l’organizzazione del popolo di sinistra come un "paese nel paese"
Quasi in sordina, almeno all’inizio, si è venuto sviluppando nelle ultime settimane un dibattito sul tema della costruzione di un nuovo soggetto politico della sinistra italiana. Alcuni interventi su il manifesto, considerando anche le lettere pervenute alla redazione, vi hanno fatto esplicito riferimento, altri si sono limitati ad evocarlo, altri ancora lo hanno solo sfiorato. Ma certamente qualcosa di più che un oscuro oggetto del desiderio.
Non appaia strano che di fronte all’enorme problema che abbiamo davanti, la sconfitta della pandemia e la ricostruzione del paese alternativa al modello di sviluppo responsabile delle crisi economico-finanziarie quanto di quelle pandemiche, venga avanti il complicato problema della costruzione della sinistra. Anzi è proprio di fronte a grandi prove che prendono vita formazioni e partiti politici.
Così è stato nella storia del movimento operaio internazionale, in particolare nel nostro paese. Ma ora la ragione è ancora più profonda. La crisi economico-finanziaria prima e quella pandemica dopo hanno disvelato la fragilità intrinseca del sistema capitalista, che passa da una crisi all’altra, come scriveva Marc Bloch. Solo che la fragilità non porta di per sé alla catastrofe.
In realtà il capitalismo è un corpo sistemico mutante. Sa imparare, anche se di malavoglia, dalle crisi che provoca e dalle sconfitte o arretramenti che la lotta di classe ogni tanto gli impone. E’ doloroso dirlo ma appare più stimolante e dinamico lo scontro e la discussione che si è aperta a livello mondiale tra le classi dirigenti su come rispondere all’attuale crisi che non quanto fermenta nella sinistra di alternativa, in gran parte legata a vecchi cliché.
La crisi della politica, ridotta a tecnica per gestire l’esistente, su cui si celebrano cambi di maggioranza e di governo, come con l’avvento di Draghi, il costruttore del “pilota automatico”, è innanzitutto crisi della sinistra. La riconquista del primato della politica sarebbe compito suo.
Ma le infinite varianti del governismo d’abord sono in grado di strangolare sul nascere qualsiasi tentativo di costruzione di un soggetto di sinistra.
Così come l’anteposizione del tema delle alleanze a quello dell’esistenza in quanto tale della sinistra. Per quanto illogico sia il primo viene giustificato con la natura costrittiva di leggi elettorali dominate dal maggioritario e dalla tecnica coalizionale. La lotta per il proporzionale è necessaria quanto ardua.
Eppure non dovrebbe recare scandalo valutare, almeno come ipotesi, di saltare un giro, anziché legarsi a carri altrui, dedicandosi in luogo dell’ennesima campagna elettorale, ad aprire un processo costituente di un nuovo soggetto politico. Il che richiede tempo e cura.
Le forme partitiche del passato non possono essere riprodotte. Non c’è più un’avanguardia che reca il verbo a moltitudini. Non si può ricreare l’organizzazione del popolo di sinistra come “un paese nel paese”. Ma questo non pregiudica la necessità di una soggettività politica. L’enorme quantità di informazioni disponibili nella società digitale non costituisce di per sé coscienza, che è sempre interpretazione dell’esistente, o meglio “senso” che lega sentimenti, idealità, passioni, bisogni ad un’inesauribile indagine critica, vivificandola.
Nel cuore del dominio dell’algoritmo si sviluppa oggi un’inedita forma di lotta, quella dei riders e dei drivers, che non solo costringe i più grandi profittatori della crisi a discutere e concedere, ma realizza un’immediata simbiosi con i consumatori. Per di più su scala mondiale. Comunità disgregate o mai esistite che costruiscono una loro dimensione di protagonismo civile e di lotta. E’ un segnale, non ancora una corposa realtà, ma va colto.
Nella nostra società oltre a comitati, movimenti, organismi territoriali di lotta, dove le vecchie forme si alimentano con le nuove e viceversa, vi sono anche centri di pensiero sopravvissuti all’abbandono della cultura da parte della ex sinistra o di nuovo conio. L’incontro di un pensiero alternativo con i movimenti sociali è l’obiettivo. Aprire un processo costituente significa chiamare non solo le microforze organizzate dell’alternativa ma questa realtà puntiforme ad un percorso di elaborazione di un nuovo profilo ideale, politico e organizzativo dall’esito non predeterminabile.
L’importante è che la partenza e il percorso siano inclusivi, a partire da una griglia ideale e politica che muovendo dalla critica di questo capitalismo ne indichi almeno la direzione del suo superamento. Come ha scritto anche Bhashar Sunkara nel suo manifesto politico, le reti o le reti delle reti, così come le federazioni fra forze politiche – per tacere degli assemblamenti elettorali – hanno il fiato corto: nel migliore dei casi possono tenere vivo il conflitto, il che non è poco, ma non caricarsi sulle spalle la trasformazione sociale.