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Sinistra. Il partito è un organismo vivente. Se vengono meno il senso di appartenenza, valori e ideali condivisi, dirigenti riconosciuti, si riduce a poco più di un guscio vuoto

Le dimissioni di Zingaretti non riguardano solo il Pd, ma quanti a sinistra lavorano per un campo largo, democratico e progressista. I tempi sono stretti. C’è stata la rottura del fragile equilibrio su cui si reggeva l’alleanza di tra Pd, 5S, Leu e Italia viva. E le espressioni del potere economico- finanziario hanno segnato un punto a loro favore. In questa cornice è esplosa la crisi del Pd.

È una crisi che viene da lontano, dalle contraddizioni che si porta dietro dalla sua fondazione nel 2007. La cosiddetta «fusione a freddo» tra gli eredi della tradizione comunista e cattolico-democratica della Dc non si è mai trasformata in una vera convergenza politica. Alla perdita di insediamento sociale e radicamento territoriale ha corrisposto il lungo corollario di sconfitte e battute d’arresto.

Aver tagliato i ponti con un passato grande e ingombrante, come se questo bastasse a definire una nuova soggettività politica, è stato un imperdonabile errore. Il partito è un organismo vivente. Se vengono meno il senso di appartenenza, valori e ideali condivisi, dirigenti riconosciuti, si riduce a poco più di un guscio vuoto. Così, molti di quelli che si erano crogiolati nella temperie delle lotte operaie e del sessantotto hanno cavalcato l’onda impetuosa del liberalismo economico e culturale e dei processi di globalizzazione, approdando felicemente sulla sponda liberal-democratica.

Oggi il Pd è un «partito-istituzione». Al rapporto democratico tra militanti e dirigenti si sono sostituiti legami amicali, fiduciari o, peggio, clientelari. I dirigenti di partito si identificano tout-court con i sindaci, i presidenti di regione, i parlamentari, i ministri e via scendendo per i rami. Il Pd si configura come un insieme di correnti, tenute insieme da piccoli e grandi interessi. Valori e idee, principi etici sono considerati inutili orpelli. I programmi e le riforme rimangono sullo sfondo della gestione quotidiana dell’esistente.

La crisi del Pd ci parla dunque dell’urgenza di avviare un processo di rigenerazione della sinistra, con forme, modi e tempi adeguati alla gravità della crisi. La terribile esperienza della pandemia ha messo in evidenza i limiti di un sistema che mette al centro l’interesse privato lasciando allo stato sociale una funzione residuale. Per gli apologeti del capitalismo è ineluttabile che ciò avvenga. La «cupidigia» è il motore che spinge l’economia, sostiene Milton Friedman. La diseguaglianza, la disumanità, il saccheggio della natura e dell’ambiente sono effetti collaterali della crescita economica. Se, però, questo non è il migliore dei mondi possibili, per imporre un punto di vista diverso serve una sinistra forte e uno schieramento democratico e progressista inclusivo.

Si potrebbe partire dalla riforma dello stato sociale per impostare una strategia che colga due obiettivi fondamentali: l’unità del mondo del lavoro e l’uniformità di trattamento su tutto il territorio nazionale, non solo in campo sanitario, ma anche nell’istruzione, nell’assistenza domiciliare agli anziani, nella dotazione di asili nido.

La protezione di tutti i lavoratori, a prescindere che siano dipendenti, autonomi, precari, richiede il superamento di divisioni e contrapposizioni. Non lasciare indietro nessuno e garantire a tutti le stesse prestazioni sociali significa parlare un linguaggio comune, riconoscere il valore della solidarietà, accordarsi su un nuovo patto, ritrovare le ragioni del dovere di pagare le tasse, non considerandole una forma di estorsione o di oppressione.

Il trattamento sanitario, le cure, l’istruzione, i servizi sociali non possono essere più o meno efficienti o, addirittura negati in base al luogo di nascita o di residenza. Lo spettacolo di alcuni presidenti di regione in questi mesi durante la pandemia è stato assai eloquente. Ma non serve indignarsi. Bisogna rispedire al mittente il progetto di «autonomia differenziata», riformare lo stato sociale e far valere i diritti costituzionali, cambiando ciò che va cambiato. Non sarà una scampagnata.