Sinistra. Con le dimissioni di Nicola Zingaretti, la campana suona per tutti noi, non soltanto per il PD
Per chi suona la campana? Con le dimissioni di Nicola Zingaretti, la campana suona per tutti noi, non soltanto per il Pd: noi, ossia quell’area di tre generazioni -dai traghettatori di Pci, Psi, Pri e Dc dalla Prima alla Seconda Repubblica alle “Sardine”- rimasta dentro o intorno alle sfrangiate filiere derivate dalla sinistra storica e dai movimenti cattolico-sociali. La decisione del leader del Pd è l’ennesimo, l’ultimo in ordine di tempo, indicatore dei nostri problemi di fondo, di senso politico, di funzione storica.
Guardiamo alle scomode verità: da tempo, i discendenti della sinistra storica e del cattolicesimo sociale, ovunque nell’Unione europea, o sono quasi estinti, come negli Stati dell’Est oppure rappresentano prevalentemente, non esclusivamente, i segmenti benestanti della società, le fasce alte delle classi medie, le ZTL, ossia i settori sempre più ristretti, capaci con maggiore o minore fatica di cogliere le opportunità presenti nei flussi globali e europei di capitali, servizi, merci e persone.
Per decidere che fare, si deve affrontare la domanda di fondo: chi vogliamo rappresentare? Il Pd, l’unico erede significativo delle tradizioni progressiste italiane, può andare avanti così. Convinto, nelle sue espressioni serie, da “Tina”: non c’è alternativa sul terreno economico e sociale. Certo, la sua rendita di posizione “europeista” viene ridimensionata dalla ri-emersione dell’anima liberista nella Lega. Ma, la bandiera dei diritti civili, in particolare per i migranti, e della retorica ambientalista può garantire al Pd la differenziazione sufficiente ad un 15% di consensi, così da consentire ai suoi abili dirigenti di continuare a risiedere nei Palazzi, in una maggioranza eternamente centrista.
Un atto fondativo è, invece, necessario se si intende riconquistare la rappresentanza delle vaste periferie economiche e sociali e esprimerla nell’alleanza Pd-M5S-LeU. Una coraggiosa e faticosa avventura culturale, prima che organizzativa, intorno alla questione lavoro, da rideclinare come condizione di dignità della persona e di fondamento della democrazia, l’articolo 1 della nostra Costituzione.
Un’avventura per insediare, di fronte all’insostenibilità sociale, ambientale e democratica del “libero mercato”, un paradigma alimentato da socialismo, keynesismo e dottrina sociale della Chiesa e promuovere davvero la transizione ecologica; per rideclinare il primato della Politica sull’economia e ricostruire la gerarchia costituzionale con lo Stato sopra le Regioni; per attingere, infine, alle forze sociali, civiche e culturali attrezzate per tale sfida, largamente attive fuori dai recinti dei soggetti politici in gioco. Qui, si opera per un sistema politico imperniato su due campi alternativi.
Attenzione: l’atto fondativo può essere proficuo soltanto se in esso si può re-inventare anche il mestiere specifico della sinistra. Non avrebbe senso ritrovarsi soltanto sulla base di un ecumenico richiamo a valori che possono essere anche della sinistra, ma non sono distintivi della sinistra, in quanto e meno male, sono praticati anche dalle forze liberali e dalle destre liberiste: le pari opportunità di genere, i diritti dei migranti, i diritti connessi all’identità sessuale, ossia il grande e decisivo capitolo dei diritti civili, ma astratti dai diritti sociali.
Nemmeno sarebbe fertile fondarsi in riferimento alla “lotta alle disuguaglianze” come dettata dal “Bruxelles Consensus” e indicato nel Pnrr: disuguaglianze di genere, di generazione e di territorio, astratte dalla loro dimensione sociale, di classe, segnata da drammatica svalutazione del lavoro. Non soltanto del lavoro subordinato tipico, ma del lavoro “autonomo”, professionale, micro-imprenditoriale privo di potere negoziale nell’offerta al mercato della propria attività, sfruttato dal capitale economico e finanziario, dalle imprese esportatrici e dalle figure apicali a loro servizio.
Per promuovere l’atto fondativo, LeU potrebbe dare buon esempio. Oltre a raccomandare la strada da seguire, potremmo cominciare a percorrerla. Potremmo dare consistenza politica e trama aggregativa alla promessa elettorale rimasta da tre anni a galleggiare in Parlamento. Le elezioni amministrative, innanzitutto a Roma, dovrebbero essere la prima occasione per accumulare credibilità: senza velleità di fare l’ennesimo partito, ma al contrario per incrociare le forze nel Pd e nel M5S orientate a costruire l’ “Alleanza per lo sviluppo sostenibile”.