USA. Mancano 111 giorni all’Election Day e la famosa election surprise che tante volte ha sconvolto la corsa presidenziale proprio nel tratto finale - tipicamente ai primi d’ottobre - sembra essersi prodotta adesso, per mano di un ventenne
Donald Trump ferito durante il comizio a Butler - Ap
Per un tipo anfetaminico, vulcanico, come Trump la politica è scontro rabbioso, agli antipodi del golf che ama praticare nella sua tenuta di Mar-a-Lago, tiri meditati e mirati, pause, una mossa dopo l’altra. Nessuna fretta nel silenzio del verde.
Dopo l’attentato di sabato sembra che il tycoon vorrebbe unire i suoi due mondi e provare a giocare a golf con la politica, basta boxe, basta urla e insulti, è il momento della gravitas presidenziale. The Donald sente di avere già la vittoria in tasca e si muove di conseguenza.
Non per questo ha mollato né mollerà mai la sua base militante, che tanto lo seguirà con religiosa disciplina qualunque maschera indosserà, quella del sovversivo o quella del presidente in pectore. Ora si rivolge a tutto l’elettorato, facendo leva sulla grande emozione suscitata dal pericolo mortale scampato. Un Trump ecumenico, che esorta all’unità, un Trump sulla via di Damasco che fa sapere di aver cambiato e diluito il testo d’attacco del suo intervento alla convention repubblicana di Milwaukee, iniziata ieri.
Un “nuovo” Trump, insomma. Davvero? E quanto durerà? Forse neppure i giorni della convention, visto che, non appena arrivato a Milwaukee, ha ripreso a sbraitare contro i giudici, promettendo vendette, dopo la clamorosa decisione di Aileen Cannon, giudice di sua nomina, che ha archiviato il caso a suo carico dei documenti riservati a Mar-a-Lago e ha praticamente messo sul banco degli imputati il giudice newyorkese Smith. Un’archiviazione dalla tempistica perfetta che consente a Trump di tradurre a modo suo l’appello all’unità che intende rivolgere all’America divisa e in cui spiccano la cancellazione degli altri procedimenti a suo carico, la fine di «tutte le cacce alle streghe» e dell’«uso della giustizia come arma politica».
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La convention sarà una cassa di risonanza di queste e altre minacce, ci sarà una gara tra gli oratori per conquistare un posto nel cuore del candidato presidente, in vista della formazione del prossimo esecutivo, dato che per i delegati di Milwaukee è scontata la vittoria di Trump, addirittura una valanga in grado di trascinare con sé la conquista della maggioranza nei due rami del Congresso. Il Make America Great Again ha egemonizzato il Partito repubblicano – la convention è l’apoteosi del MAGA – e ora s’accinge a conquistare la Casa Bianca e il Campidoglio stavolta con il voto. Sul carro di The Donald sono saliti negli ultimi giorni superpotenze del denaro come Elon Musk e altri grandi donor un tempo sostenitori del Partito democratico. L’uomo più ricco del mondo, il re dell’auto elettrica, alla corte del nemico giurato dell’auto elettrica? È l’effetto bandwagon.
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Il carro del vincitore è dunque partito da Milwaukee, guidato da Trump, con al fianco ora un suo vice, una carica che l’attentato di Butler fa capire come non sia solo decorativa. D’ora in poi è il ticket che peserà nei sondaggi, non solo Trump, conterà anche il numero due. L’accoppiata, se sbagliata, come spesso è accaduto nella storia dei presidenti americani, potrebbe rivelarsi un serio punto di vulnerabilità per il tycoon.
Mancano 111 giorni all’Election Day e la famosa election surprise che tante volte ha sconvolto la corsa presidenziale proprio nel tratto finale – tipicamente ai primi d’ottobre – sembra essersi prodotta adesso, per mano di un ventenne, un evento di cui si sa ancora molto poco.
Ce ne sarà un’altra, di sorpresa? Non potrebbe che essere il cambiamento del cavallo democratico, operazione resa più urgente ma al tempo stesso più complicata dal fallito attentato. Joe Biden si sente a maggior ragione il presidente in carica, nella situazione attuale. I sondaggi per ora non sono irrimediabili per il presidente/candidato ma se i prossimi rilevamenti indicheranno una forte spinta per Donald Trump prodotta dall’emozione del comizio di sangue, sarà inevitabile un intervento deciso dei big democratici per convincerlo a farsi da parte. Anche perché quello che avrebbe dovuto essere un referendum su Trump, il 5 novembre, è sempre più un referendum su Biden, peraltro prevalentemente interno al campo democratico.
La solidarietà al tycoon dopo l’attentato, l’appello dei due contendenti a smorzare i toni, all’unità, sono destinati a durare come il ghiaccio nel luglio infuocato di questi giorni, ma resta inquietante la domanda che sottende il moto ipocrita di sostegno del sovversivo: che sarebbe successo se il proiettile di Crooks avesse colpito il bersaglio? La guerra civile? Uno scenario da far impallidire quello del 6 gennaio 2021? Più probabilmente ci sarebbero state giornate drammatiche di scontri, ma un MAGA senza Trump non può essere più tale. Non può esserci una forza eversiva senza un capo carismatico. Trump è vivo e all’attacco e con lui il MAGA.
E, se vincerà il 5 novembre, saranno seri guai per la democrazia americana. Se perderà, e non accetterà la sconfitta, potrebbe essere ancora peggio. E allora sì, una guerra civile è da considerare uno scenario possibile. La foto/poster che immortala Trump ferito e combattivo a Butler annuncia questo