UE. L’incontro tra la candidata von der Leyen e la delegazione dei Conservatori è stato fissato per martedì prossimo ma FdI ancora non ha deciso cosa farà il 18 luglio. Il […]
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, la premier italiano Giorgia Meloni e il premier ungherese Viktor Orban durante un Consiglio europeo - Ansa
L’incontro tra la candidata von der Leyen e la delegazione dei Conservatori è stato fissato per martedì prossimo ma FdI ancora non ha deciso cosa farà il 18 luglio.
Il voto diversificato da parte delle varie delegazioni di Ecr non sarebbe un problema: 5 anni fa il Pis polacco votò per Ursula e FdI contro.
Il problema è che il programma concordato con la vecchia maggioranza Ursula non lascerà molti spazi di manovra ai Fratelli. «Al momento non ci sono le condizioni per votare von der Leyen», ammette il capogruppo di FdI a Strasburgo.
Anche la formula per cui si vota la presidente salvo poi riprendere le distanze è diventata una via d’uscita molto stretta dopo i veti ostentati da Socialisti e Liberali e dopo l’irrigidimento sul versante opposto dei neonati Patrioti. Meloni, insomma, non sa che fare.
Vorrebbe votare per l’amica e alleata, come stabilito da mesi. Non è detto che riesca a farlo senza perdere troppo la faccia.
Ma il vero problema, per lei, è che si trova di fronte a un bivio di quelli in cui la strada giusta non c’è. Dopo aver passato due anni a dimostrarsi affidabile in Europa, a tessere relazioni strategiche con il Ppe, a vantarsi in ogni dove del ritrovato protagonismo dell’Italia votare contro la sua principale alleata, o astenersi che in sostanza è la stessa cosa, finendo fianco a fianco con i reprobi antieuropei degli altri due gruppi di destra equivarrebbe a una ammissione di fallimento.
È probabile, ma non certo, che von der Leyen le lascerà aperta una via per il rientro. I Popolari devono tener conto del condizionamento degli alleati essenziali, Socialisti, Liberali e appena in subordine i Verdi. Ma, se appena possibile, non intendono chiudere tutte le porte a destra e in ogni caso il peso specifico dell’Italia è tale da consigliare l’uso della diplomazia. In questo caso, però, la leader di Ecr e del governo italiano salverebbe in parte l’immagine ma nulla della sostanza.
La sua scommessa, quella nella quale ha investito di più nel primo anno e mezzo a palazzo Chigi, era spostare drasticamente a destra l’asse di Bruxelles, se non con un cambio di maggioranza che si profilava sin dall’inizio impossibile almeno con un sostegno esterno tanto necessario quanto condizionante.
Se il disegno si fosse realizzato, la premier italiana avrebbe svolto il ruolo di perno degli equilibri europei, senza entrare in quella formula poco significativa che è «la maggioranza europea» ma ponendosi a metà strada tra il Ppe e la destra, ruolo già dimostratosi prezioso quando si era trattato di convincere Orbán a far passare gli aiuti per Kiev.
Quello spostamento a destra non c’è stato e non ci sarà. Il ruolo di canale di comunicazione tra Popolari e destra è reso impossibile dalla nascita dei Patrioti.
A ritrovarsi fortemente sbilanciata verso il centro in compenso è proprio Meloni. Non era questo il quadro che aveva in mente appena due mesi fa. Si avvicinava di più all’opposto