I NUMERI. A costo di peccare di eccessivo ottimismo, ci pare di poter dire che in Francia la partita è ancora molto aperta. Non solo non è scontata la maggioranza assoluta al […]
A costo di peccare di eccessivo ottimismo, ci pare di poter dire che in Francia la partita è ancora molto aperta. Non solo non è scontata la maggioranza assoluta al Rassemblement national, ma forse i rapporti di forza nella futura Assemblea nazionale potranno risultare sorprendenti, alla luce della facili, e precarie, “forchette” che sono state diffuse domenica sera. Il fattore decisivo, com’è noto, saranno le desistenze: ma qui, bisogna guardare prima i dati e le mappe.
Su scala nazionale, il Rn ha ottenuto il 33,2% (11 milioni e 600 mila voti, tra cui gli ex-gollisti); il Nfp il 28,3% (9 milioni di voti), il centro macroniano il 22,8% (Ensemble a altri, 7 milioni e 300 mila voti); i gollisti “ortodossi” il 7,2% (2 milioni e 300 mila). A questi va aggiunto un altro mezzo milione di voti raccolti da candidati etichettati come «diverse gauche» (1,6%), in genere candidati socialisti o France Insoumise (Fi) dissidenti, che non hanno avuto la nomina ufficiale dei partiti, ma hanno deciso di correre ugualmente (e due di loro, peraltro, sono stati già eletti al primo turno).
La somma, (28,3 + 1,6) dà il 29,9%, non molto distante dal 33 del Rn: c’è stata l’ondata di destra, ma non si può sottovalutare, per una volta almeno, la buona contro-ondata a sinistra, grazie anche (finalmente!) ad una saggia strategia di accordi elettorali. Con un sistema elettorale come quello francese, è decisiva la distribuzione territoriale dei voti: il vantaggio percentuale complessivo di Nfp su Ensemble è dovuto essenzialmente alla massiccia forza elettorale della sinistra in tutta la grande area parigina e dell’Ile-de-France; ma, nella vasta provincia francese, è spesso l’area macroniana a piazzarsi al secondo posto, dietro Rn. La logica della desistenza favore del candidato meglio piazzato, subito affermata con notevole tempismo e abilità da Mèlenchon, ha prodotto alla fine questo risultato: al momento della chiusura delle liste, ieri sera, si registrano 218 casi di desistenza, di cui 131 da parte dei candidati “terzi” della sinistra a favore dei “secondi” centristi (in qualche caso perfino a favore del candidato gollista); e 82 casi di desistenza del centro a favore delle sinistra. Un notevole sacrificio, per la sinistra, che la dice lunga, peraltro, sulla favola costruita ad arte di un Nfp egemonizzato da pericolosi estremisti.
Chi ha la pazienza di spulciarsi uno a uno questi casi scoprirà alcune cose interessanti: che, ad esempio, i casi eclatanti di rifiuto della desistenza a favore di un candidato Nfp da parte del candidato centrista non sono poi molti (ne abbiamo contato una quindicina). In molti altri casi, questi triangolari vedono in testa il Nfp o Ens, e solo in terza posizione il Rn: qui, il triangolare non danneggia il fronte anti-Rn.
Emergono anche altri elementi, che andranno meglio studiati: un notevole successo dei candidati socialisti (sarebbe una buona notizia registrare una ripresa di questo partito, annichilito dal macronismo) e l’impressione di una saggia strategia di distribuzione territoriale delle candidature del Nfp, con una maggiore presenza di socialisti e verdi nelle aree tradizionalmente più moderate. Naturalmente, il voto di domenica ci dirà se il meccanismo delle desistenze è stato apprezzato e seguito dagli elettori: in genere, si può ipotizzare una maggiore disciplina degli elettori di sinistra (nous allons la savuer, ha detto spiritosamente il segretario socialista Faure, a proposito della desistenza a favore dell’ex-prima ministra Borne, in precaria posizione in un collegio del Calvados: gli daranno retta gli elettori di sinistra, o si ricorderanno di lei per la riforma delle pensioni?); ma si può pensare ad un maggior numero di defezioni in senso inverso (verso Rn o verso l’astensione? Cambia molto). E tuttavia, anche in questo caso, guardando i dati collegio per collegio, non è necessario che tutti i voti centristi siano riportati a sinistra: in molti casi ne basta la metà.
Naturalmente, a conti fatti, si dovrà riaprire un serio discorso sulle prospettive: assistiamo in Francia al fallimento dell’ideologia «riformista» di cui Macron si era fatto espressione, salvo poi condurre politiche segnate dalla peggiore logica neo-liberista. I fantasmi di Vichy li hanno risvegliati costoro, e la sinistra è stata troppo a lungo cieca di fronte alle domande di protezione, di sicurezza sociale, di dignità del lavoro, e di fronte alle paure sollevate da questo modello di sviluppo capitalistico e dalle politiche che lo hanno assecondato. Speriamo che non sia troppo tardi