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Tomaso Montanari contesta l’astensione dell’Italia per la risoluzione Onu sul conflitto israelo-palestinese e lo schieramento unilaterale dell’Occidente 

 

Le risposte della comunità internazionale al conflitto israelo-palestinese tardano ad arrivare e la posizione del governo italiano continua a fare discutere, soprattutto dopo l’astensione al voto della risoluzione Onu per per una tregua umanitaria a Gaza approvata invece da 120 Paesi. Il rettore dell'Università per stranieri di Siena, Tomaso Montanari, ha reagito nei giorni scorsi alla notizia con un post in cui definiva “vergogna” e “follia” l’operato del governo italiano.

Montanari, da Palazzo Chigi la motivazione addotta è stata quella secondo la quale la risoluzione non comprendeva la condanna di Hamas per l’attacco del 7 ottobre. Perché non la ritiene valida? 

Sappiamo perfettamente come funzionano le Nazioni unite e quale sia la genesi del Consiglio di sicurezza, che serve sostanzialmente a non considerare i crimini di guerra compiuti dai membri del Consiglio. Questo ripasso storico serve a capire che dall’Onu si possono ottenere alcune cose e non altre, non si riesce a ottenere tutto nello stesso testo. Ora però l’emergenza non riguarda più il 7 ottobre, che ovviamente è una cosa mostruosa, un pogrom senza giustificazione e non è una questione chiusa per gli ostaggi, i feriti e i morti. In questo momento la risoluzione ha lo scopo di difendere la popolazione civile di Gaza e quindi è impensabile che, perché non c’è la condanna di un mostruoso crimine di guerra o attacco di terrorismo, ci si astenga su una risoluzione che potrebbe limitare i danni del nuovo atto mostruoso in corso e si proietta nel futuro. A me pare una cosa spaventosa: si rinuncia a difendere vite che si perdono ora perché non c’è la condanna di un evento successo giorni fa che non muoverebbe di una virgola i fatti. Questo significa solo una cosa: per il nostro governo le vittime palestinesi non valgono quanto quelle israeliane.

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Le decisioni del governo fanno il paio con il modo in cui i media affrontano questa guerra, veicolando messaggi all’insegna dell’equidistanza oppure della propensione verso il fronte israeliano?

Mi pare non ci sia nemmeno un invito all’equidistanza dai grandi quotidiani, ma piuttosto un invito a stare con Israele, con una parte sola. Molto banalmente: Putin è stato incriminato e non può venire nei Paesi occidentali senza essere arrestato e lo stesso dovrebbe valere per Netanyahu che si sta coprendo di crimini evidenti di guerra e contro l’umanità, come per altro ha dichiarato in maniera aperta l’Onu. Se però uno propone che Netanyahu sia incriminato per crimini guerra, viene trattato come un alleato di Hamas. A me pare ci sia un evidente schieramento occidentale con Israele contro il popolo palestinese.

Accade anche in Italia?

Questo accade in alcuni Paesi come il nostro, dove ci sono governi a matrice fascista che si devono fare perdonare la loro discendenza diretta mai rinnegata da chi ha costruito l’Olocausto e quindi la Shoah. Vorrei ricordare la grottesca accusa di antisemitismo lanciata a vanvera contro i pacifisti da Fratelli d’Italia, che intanto continuano a intitolare strade a Giorgio Almirante, che fu segretario di redazione della rivista La difesa della razza. C’è un enorme rimosso, un senso di colpa, un tentativo di lavare via le complicità spaventose con fascismo e nazismo dei loro progenitori, mai rinnegati, che li porta a lanciare accuse a vanvera di antisemitismo. In questa fase tutto l’Occidente delle destre evidentemente ha fatto una scelta per Israele e contro i palestinesi, che hanno il torto di essere islamici e un po’ più neri. C’è una forma di razzismo. C’è un pogrom mostruoso di Hamas, non mi stanco di dirlo, mostruoso anche per il trattamento degli ostaggi che hanno mostrato nei video, che merita le corte marziali internazionali e che ha provocato 1.400 morti. Ora tra i palestinesi abbiamo superato gli 8.000 morti, è una rappresaglia di 1 a 6 e, se va avanti così, arriveremo all’1 a 20.

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Questo però non scuote le coscienze dei grandi commentatori e delle cancellerie occidentali, perché una vita palestinese non è evidentemente considerata quanto una vita israeliana, che in questa fase è invece equiparata a una vita occidentale. È il motivo per il quale l’Occidente è detestato profondamente dal resto del mondo, che è diviso su tutto tranne che per l’odio nei confronti dell’Occidente, percepito come grande colonizzatore, grande ipocrita che parla di valori e crede solo nel denaro, come il grande nazista che tiene a una vita umana solo quando sua. È il punto fondamentale di questa terribile questione.

Davanti a tali considerazione, quali conseguenze può trarre chi sente di non aderire a questo tipo di visione?

Credo che chi crede nella pace debba denunciare le violenze da qualsiasi parte siano perpetrate e arrivi a schierarsi con le vittime e non con i governi. La domanda “con chi ti schieri?” ha una risposta che non ha una bandiera, non ha uno stato, non un governo. Io e tanti altri ci schieriamo con le vittime palestinesi e israeliane. È ovvio che Hamas, Netanyahu e il suo governo hanno devastato la speranza di pace per decenni e hanno colpito soprattutto le parti migliori del loro popolo, coloro che chiedevano e lavoravano per la pace. Questo la sinistra dovrebbe ricominciare a dirlo, ricominciare ad avere le parole di Rosa Luxemburg, per la quale il nemico peggiore è il nemico interno, il nemico dei popoli è il governo. Ecco perché mi schiero con i popoli, con le vittime, i morti, i feriti, gli ostaggi chiunque essi siano e contro gli apparati politico-militari che in Hamas e Israele stanno conducendo quel pezzo di mondo e forse anche qualcosa di più verso la rovina. È facile schierarsi da una parte, quello che questa situazione drammatica richiede è schierarsi con l’umanità e con l’umanità che non decide, quella degli ultimi, della povera gente. Questo dovrebbe essere il ragionamento della sinistra, che dovrebbe rifiutare ogni nazionalismo e ripassare a un conflitto di classe contro i conflitti nazionali.

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Sempre in tema di opinione pubblica, un tempo dalle scuole e dalle università le reazioni erano immediate e di mobilitazione nel momento in cui iniziava un bombardamento, una guerra. Lei che guida una facoltà universitaria non nota un certo rallentamento da parte dei giovani nel rispondere a quanto accade?

C’è una reazione diversa rispetto alle nostre generazioni e c’è la volontà di informarsi. Nel liceo che frequenta mia figlia a Firenze c’è stata subito un’assemblea alla quale hanno partecipato il presidente della comunità ebraica e l’imam e credo sia un modo molto bello e profondo per cercare di capire. Manca però la dimensione collettiva di piazza (fatti salvi i collettivi studenteschi, però minoritari e residuali), ma questa è una questione che non riguarda solamente gli studenti, ma tutte le società occidentali. Ricordo che siamo stati e siamo sull’orlo di una catastrofe nucleare in Ucraina e la piazze non si sono riempite: questa è disintermediazione, disarticolazione della società, il confinamento di noi tutti nelle nostre solitudini e la fine dei partiti di massa. La manifestazione più bella alla quale ho partecipato in questi giorni è una fiaccolata fiorentina organizzata da un monaco, l’abate di San Miniato molto vicino a papa Francesco. C’erano un rabbino e un imam ed era organizzata dalla Cgil: una cerimonia religiosa ma laicissima, aperta a tutti e alla quale sono state garantite fiaccole e servizio d’ordine dalla Cgil. In questo Paese le ultime forme di aggregazione di massa sono la Chiesa cattolica e la Cgil. Meno male che ci sono, ma forse qualcosa ci dovremmo chiedere