I giochi per il riassetto degli equilibri europei, che saranno sanciti dalle elezioni del 2004, sono ormai aperti nei singoli paesi e a livello continentale. E in Italia si incrociano le spade soprattutto tra gli alleati del governo di destra. Una competizione che può avere conseguenze non solo sui decibel della propaganda, ma anche sulle scelte concrete. E se Matteo Salvini fa squadra con l’estrema destra di Le Pen e dell’Afd, Giorgia Meloni non ha certo abbandonato al loro destino gli “amici” sovranisti.
La settimana scorsa a Bruxelles la premier, che non aveva esitato a definire «memorabile» l’intesa sui migranti contenuta nella bozza di conclusioni del Consiglio europeo, si è ritrovata subito nei guai. Il capitolo sui migranti è stato espunto dalle conclusioni perché il polacco Morawiecki e l’ungherese Orbán hanno contestato i contenuti e la modalità con cui era stato approvato il Patto sulle migrazioni che prevede il pagamento di 20 mila euro per ogni migrante non ricollocato dai singoli Paesi. E il tentativo di mediazione di Meloni è stato un buco nell’acqua. «Siamo d’accordo nel non essere d’accordo», aveva commentato Morawiecki, augurando buona fortuna alla leader di Fd’I. Il che è suonato come uno sberleffo a suggello della spaccatura del fronte sovranista.
Eppure la stessa Meloni, ieri sul Corriere della Sera, ha ripetuto proprio quella frase per minimizzare l’accaduto nella prospettiva di una alleanza in Europa tra il gruppo dei conservatori europei (Ecr) di cui è presidente e che comprende il Pis di Morawiecki, e il Ppe.
«Nel consiglio ognuno rappresenta gli interessi della propria nazione e ognuno fa bene a difendere i suoi. La posizione di Polonia e Ungheria non cambia nulla nei nostri rapporti» e appunto «siamo d’accordo nel non essere d’accordo su questa questione marginale. Tradotto significa ’è normale che ciascuno faccia il proprio interesse’». In sostanza la presidente del consiglio italiano difende il preminente «interesse nazionale» altrui anche quando questo va contro l’interesse della propria «nazione». Contraddizione apparente, perché il ragionamento corrisponde precisamente all’idea di Europa della leader di Fd’I: l’Europa delle nazioni, cioè dei nazionalismi. Anche a costo di entrare in conflitto con il nazionalismo dei più stretti alleati, ammesso che quello di Bruxelles sia stato il caso o che lo sia stato fino in fondo.
Perché la premier chiarisce anche che secondo lei il Patto migrazione e asilo che pure l’Italia ha votato non è una «soluzione efficace». Per Meloni la «priorità è fermare i flussi illegali prima che partano» e non «gestire gli arrivi». Non a caso parlando di «intesa memorabile» la premier italiana non si riferiva ai ricollocamenti da lei sempre considerati non prioritari, ma alla cosiddetta «dimensione esterna». Quella politica sulle migrazioni che appunto si preoccupa non di accogliere chi arriva in Europa, ma di impedire con ogni mezzo gli arrivi. Una linea ormai prevalente nella Ue e ancor più condivisa in tutto e per tutto dall’attuale governo italiano, la Polonia e l’Ungheria: la «fortezza Europa».
Se davvero spaccatura è stata, venerdì a Bruxelles Meloni troverà il modo di ricucire soprattutto con Morawiecki (con il quale l’alleanza è saldissima anche sul fonte della difesa dell’Ucraina): i due si incontreranno nei prossimi giorni a Varsavia per il seminario dell’Ecr e l’italiana saprà spendersi a sostegno delle rivendicazioni della Polonia (e dell’Ungheria) anche sul fronte dei contributi europei per l’accoglienza dei profughi ucraini e delle procedure d’infrazione aperte dalla Ue. A Varsavia non mancherà l’occasione di duettare su questioni come la “famiglia” (rigorosamente eterosessuale) o i tumulti francesi (tutta colpa dell’immigrazione irregolare…).
Nonostante l’inciampo di Bruxelles l’asse ideologico sovranista resta insomma solido. Malgrado le apparenze non è mai cambiato e mai cambierà. La Giorgia Meloni «mediatrice» prudente dai toni pastello risulta molto poco credibile: tanto più ora che in casa Matteo Salvini ha dato il fischio d’inizio della partita per le Europee 2024 e la sfida apertamente