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CUTRO E NON SOLO. Protezione dei confini esterni e lotta ai trafficanti di migranti. Ecco la risposta del presidente del Consiglio Giorgia Meloni alla strage di Cutro. È con la lotta ai responsabili che […]

Alessandro Corso Alessandro Corso

Protezione dei confini esterni e lotta ai trafficanti di migranti. Ecco la risposta del presidente del Consiglio Giorgia Meloni alla strage di Cutro. È con la lotta ai responsabili che andrà risolto il pesante fardello dell’immigrazione clandestina. A Cutro si identificano ancora i cadaveri. Alcuni corpi sono ormai difficilmente riconoscibili. Nel mentre, chi ha scampato la morte resta segregato, in detezione. La fortuna di essersi salvati non vale il pass per la legalità. Per i vivi ci sarà tempo. Bisogna pensare a chi è morto. Ci si inchina di fronte alla tragedia. Palloncini colorati, lettere d’ affetto, dolci croci improvvisate. Si piange, ci si dispera, si chiede giustizia. I resti del naufragio abitano le coste di Cutro. Scarpe, pantaloni, giacche, salvagenti, giocattoli. Le telecamere si soffermano sui resti dei bambini. C’erano erano bambini tra i morti, si dice a voce bassa. Bisogna essere bambino per suscitare un po’ più di compassione.

L’empatia, scrive la filosofa Nussbaum, è la capacità di sapersi mettere nei panni altrui, di sentire ciò che si potrebbe provare al loro posto. Tale viaggio verso l’altro è solo immaginario. Ma immaginare non è tempo perso. Immaginare è atto creativo che apre le porte verso la possibilità di qualcosa di nuovo, di diverso. È la condizione del cambiamento. Per cambiare ciò che sarà, occorre però ricordare quel che è stato. La strage di Cutro è strage annunciata. Il suo esserci è il risultato di un modus operandi e di un atteggiamento verso le politiche di frontiera che è ormai in atto da decenni. Risale a dieci anni prima, il 3 ottobre del 2013, la più famosa strage nel Mediterraneo, quella che ha dato ulteriore risonanza mediatica a Lampedusa, facendola diventare il più grande palcoscenico dello spettacolo del confine. Il confine è diventato ormai da tanti anni luogo privilegiato dello spettacolo che le politiche internazionali hanno messo in atto.

È un teatro, un grande teatro nel quale però, a differenza di quel che il termine vorrebbe suggerire, ogni scena viene vissuta sulla pelle di chi lo abita. Un Truman Show che vale solo dalla prospettiva di chi ha la fortuna di poterne stare fuori, ed è il caso storico e contingenziale, non il merito individuale, a determinare spettatori e attori.
Per chi ci sta dentro, tutto appare molto vivido, forte e chiaro. Per chi opera come medico ed è stato esposto alle ferite da torture di un giovane che è arrivato dalla Libia e ha visto una sorella massacrata di botte, è evidente che tutto ciò che sta accadendo ai confini d’Europa è solo una grande assurdità. Per chi è stato migrante e dopo anni di attesa ha avuto la fortuna di poter lavorare come mediatore culturale, la vista quotidiana di compagni che soffrono ciò che si è vissuto sulla propria pelle, non fa dormire la notte.

Gli incubi dei soprusi e delle percosse tornano alla mente ogni volta. Incubi che visitano anche la gente che questi li ha incontrati, che ha sentito gli odori del gasolio sui corpi nudi, a volte dovendone recuperare i resti dopo giorni in mare, putrefatti, irriconoscibili, sbiancati. Il puzzo di quegli incontri è rimasto dentro e non va più via. Così lo descrive l’ex custode del cimitero di Lampedusa Vincenzo Lombardo, uno dei primi testimoni di migranti morti in mare e recuperati sulle coste di Lampedusa. Il presente di Cutro affonda le sue radici in un passato lontano. Vincenzo parla del 1996 e dei primi morti che Lampedusa si ritrovò ad ospitare prima ancora che l’isola – che fino a pochi decenni prima non compariva su molte cartine geografiche italiane – divenisse fulcro del discorso migratorio internazionale.

Oggi Cutro piange i morti e chiede che ciò che si è verificato non accada più. Richieste antiche di chi abita ai margini d’Europa e vede quel che resta dell’umanità scomparirgli d’innanzi. Le risposte che arrivano dalle istituzioni danno una colpa a chi è partito, insultando la memoria storica di paesi dell’Africa e del Medio Oriente che vertono a fasi alterne in uno stato di privazione della libertà di espressione di parola, di pensiero, di orientamento sessuale, e forse più banalmente – ma questo è il punto cruciale – di movimento libero.

I migranti irregolari hanno avuto negata tale libertà. Mentre lo Stato italiano insieme all’Europa si accinge a dichiarare la sua ennesima battaglia contro gli illegali per proteggere i propri confini, la tela incolore del nostro futuro si è già macchiata di rosso. Il sangue di chi verrà sulle nostre rive a chiedere giustizia è già stato versato prima ancora che una strage si consumi. La storia dell’immigrazione ai confini d’Europa ci avverte che altra morte verrà a farci visita, se non tra le nostre coste, certamente tra le trame della nostra coscienza.

*Docente e ricercatore associato presso l’Università di Oxford